2019-04-06
Luca Ricolfi: «L’ira di Torre Maura non è razzismo. È soltanto statistica»
Il celebre sociologo di sinistra smonta la retorica sulla rivolta. «È l'esasperazione di chi si sente ignorato dalle istituzioni». Il sociologo Luca Ricolfi (insegna Analisi dei dati all'Università di Torino e preside la Fondazione David Hume) è noto per andare in direzione contraria rispetto al pensiero unico. Lo ha fatto anche commentando le vicende di Torre Maura, analizzandole con una profondità che raramente si trova sui giornali italiani. Professore, riguardo a questo caso non si parla d'altro che di odio e razzismo. La rabbia dei cittadini contro l'insediamento dei rom è razzista, secondo lei? «Chi, come lo storico Fredrickson, ha studiato approfonditamente (e senza pregiudizi) il razzismo, è giunto alla conclusione che, come fenomeno collettivo, esso si è presentato in modo massiccio solo in tre contesti storici: la Germania hitleriana, il Sudafrica dell'apartheid, gli Stati Uniti fino agli anni Sessanta. Parlare di razzismo oggi per fenomeni come quelli di Torre Maura è un abuso linguistico. Si dice razzista per dire “spregevole e di destra", ma il razzismo è un'altra cosa: razzismo è credere che certe razze o etnie siano intrinsecamente inferiori. Ma la gente di Torre Maura è semplicemente esasperata dall'assenza delle istituzioni, e indignata per la superficialità con cui esse scaricano i propri problemi sulla povera gente». Ogni volta che si affronta la questione rom viene tirato in ballo il pregiudizio che ci sarebbe nei confronti delle persone di questa etnia. Ma davvero chi non vuole il campo rom dietro casa è motivato da pregiudizi? «Nella vita esistono certamente anche i pregiudizi, ma sono molto più frequenti i post-giudizi, ossia le opinioni che ci formiamo in base alla nostra esperienza o a ciò che apprendiamo da altri. Se penso che avere in casa un rottweiler sia più rischioso che avere un cocker, non è che ho un pregiudizio nei confronti di quella particolare razza (etnia?) di cani, è solo che faccio tesoro dell'esperienza di milioni di proprietari di cani che hanno constatato che in certe circostanze un rottweiler può sbranarti mentre un cocker no, neanche volendo. E infatti nessuno ti accusa di razzismo se preferisci tenerti in casa un cocker e diffidi di un rottweiler. Né ti accusa di indebite generalizzazioni, perché “non tutti i rottweiler" sono aggressivi». Non è razzismo, dunque, ma statistica. «È normale che, nella vita quotidiana, si usi la statistica per difendersi (perdoni la deformazione professionale). Sono innumerevoli le scelte che ognuno di noi fa in base a considerazioni puramente “frequentiste" (ossia di frequenza di accadimento di certi eventi), e nessuno si azzarda a tacciarci per questo di avere pregiudizi verso qualcuno o qualcosa. Semplicemente, per sopravvivere e minimizzare i rischi, tutti quanti facciamo amplissimo ricorso all'esperienza nostra e altrui, diretta e indiretta. Curiosamente, questo normalissimo comportamento umano, che serve semplicemente a proteggerci dai pericoli e dalle delusioni, viene stigmatizzato non appena le nostre rozze conoscenze sulle probabilità con cui certi eventi negativi potrebbero presentarsi, le usiamo verso altri esseri umani. Eppure è esattamente lo stesso meccanismo: se proteggo il portafoglio quando sale una zingara su un tram non è perché penso che tutti i rom siano ladri, o che il popolo rom sia geneticamente inferiore: è solo perché penso che il rischio di essere derubato stia improvvisamente schizzando verso l'alto. È lo statistico che alberga in ognuno di noi a guidare i nostri comportamenti, non il razzismo».A Torino Said Mechaquat ha ucciso Simone Leo, accoltellandolo alla gola. Ai carabinieri ha detto: «Cercavo un bianco». Eppure di razzismo, in questo caso, non si parla. Anzi si cercano motivazioni psicologiche, si chiama in causa il «disagio». Perché ?«Non dobbiamo stupirci troppo. Usare due pesi e due misure è la norma, sfortunatamente. Semmai, dispiace che siano discipline che pretendono di essere scientifiche, come la sociologia e la psicologia, a fornire la maggior parte delle giustificazioni ai comportamenti più odiosi. Una distorsione che diventa quasi automatica, quasi un riflesso pavloviano, se per caso il comportamento odioso è messo in atto da un soggetto descrivibile come fragile, discriminato, oppresso, povero, debole».Lei ha scritto parecchi libri sulla sinistra e il suo atteggiamento nei confronti delle minoranze. Non sembra però che la sinistra abbia imparato la lezione. Anzi, sembra che si stia concentrando sempre di più sulla difesa dell'immigrazione, delle Ong, dei vari «diritti». Perché la sinistra è così ossessionata dalle minoranze? «Me lo chiedo anch'io. Forse perché è essa stessa una minoranza. Avendo ormai perso, da almeno trent'anni, la capacità di rappresentare i ceti popolari, la sinistra è continuamente alla caccia di nuove minoranze (o presunte tali) di cui farsi paladina. Una parabola che Augusto del Noce aveva visto lucidamente già alla fine degli anni Settanta, quando profetizzava che, nel lungo periodo, il Pci si sarebbe trasformato in un «partito radicale di massa», assatanato di diritti civili e dimentico dei diritti sociali. Il che, in soldoni, significa: espressione dei ceti medi, riflessivi e benpensanti, e dimentico dei ceti popolari, rozzi e malpensanti».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)