2024-04-02
«La liquidazione della cultura è un suicidio»
Il filosofo Henri Hude: «Stiamo sostituendo pilastri come le nostre radici cristiane, la filosofia laica e a suo modo perfino il marxismo, con un nichilismo che ci spinge verso una completa anarchia intellettuale e morale. E la guerra totale ormai incombe su di noi». Il filosofo francese Henri Hude da tempo ha colto e descritto le pulsioni mortifere dell’Occidente, che oggi sembrano toccare una fase parossistica con l’affacciarsi della possibilità di una guerra nucleare e con le derive etiche in atto in molti Paesi. Questa corsa disperata vede in prima fila la Francia, il cui presidente prima ha soffiato sul fuoco di una escalation in Ucraina evocando un intervento di truppe Nato; poi ha gioito per l’inserimento del diritto all’aborto in Costituzione; infine ha annunciato una legge sull’eutanasia. L’intervista a Hude parte da qui. Professore, l’angosciante tripletta di Macron è casuale o frutto di una precisa strategia? «Per quanto riguarda aborto ed eutanasia, non dobbiamo fissarci sulla persona del Presidente. Forze potenti, sia temporali che spirituali, sono costantemente all’opera su questi temi, in molte parti del mondo. Pertanto, se non ci fosse Macron ci sarebbe qualcun altro. Ma lei ha ragione: si ha l’impressione di un’improvvisa accelerazione del movimento. Come se fosse necessario fare, ora e in fretta, ciò che presto potrebbe diventare irrealizzabile; o semplicemente questo accade perché il frutto è maturo. Sulla guerra in Ucraina non so come spiegare l’impennata di Macron. O sta svolgendo un ruolo che gli è stato affidato nella strategia generale della Nato; o agisce così motu proprio, vuoi per ragioni elettorali interne che di politica estera e mondiale; oppure c’è qualcos’altro che ci sfugge».Il problema però non riguarda solo la Francia: il contagio si estende al resto d’Europa, che ora, Charles Michel dixit, «deve prepararsi alla guerra». Perché il vecchio continente sembra volersi suicidare?«Fa bene a parlare di suicidio. Da filosofo che cerca di non fare politica vedo che nell’Europa postmoderna si sta realizzando la liquidazione di ogni cultura funzionale, del cristianesimo e della filosofia laica di tipo kantiano, ma anche del vecchio marxismo-leninismo alla Giuseppe Bottazzi; e si assiste alla loro sostituzione con una cultura nichilista, che equivale a una completa anarchia intellettuale e morale, una sorta di bizzarro neo-politeismo. Questa cultura non è funzionale, perché non fornisce all’uomo un’approssimazione accettabile della verità. In queste condizioni, l’azione umana è completamente inadeguata alla realtà e il fallimento è inevitabile. Ma non c’è solo il fallimento: la “sublimazione”, l’auto-divinizzazione narcisistica della libertà individuale, è stata ormai spinta al punto che qualsiasi verità oggettiva diventa un crimine di lesa maestà e la sua espressione una bestemmia contro questo o quel dio di turno. Questa assurdità non è solo follia, è un suicidio, e per il seguente motivo: oggi è l'individuo a decidere cosa è bene e cosa è male, vero e falso, e quindi cosa è e cosa non è. Egli è il Creatore. Purtroppo per lui, tutto diventa un delirio, poiché egli è piccolo mentre la realtà è enorme. Questo individuo delirante diventa così un “uomo di vetro”, che si stringe agli altri per darsi forza grazie a un delirio consensuale. Ahimé basta l’urto di un singolo atomo di realtà per svegliare il sonnambulo, cancellare la sua illusione e frantumare la sua struttura mentale. L’individuo capisce allora che il nemico principale non è il malpensante, ma il reale, l’essere. Diventa così assolutamente necessario pensare senza essere, vivere senza essere, essere senza essere. Ma per i viventi, vivere è essere e vivere senza essere è smettere di vivere. È qui che, necessariamente, entra in gioco il suicidio». Cosa accade a questo punto?«Quando si rende conto di non essere Dio ma solo un povero pazzo, l’uomo di vetro non regge. Per questo, l’individuo-Dio umiliato dall’esistenza indipendente degli altri esseri, vuole distruggere tutto l’essere, incluso il suo. Sulla Terra, la realizzazione del suo ideale non può consistere in altro che nella massima derealizzazione della realtà. Il suicidio è perciò l’essenza di questa cultura. Ma non un suicidio qualsiasi: un suicidio collettivo, che lasci sopravvivere la minor quantità di esseri possibile». Lei sostiene che il legame tra l’avanzare dello spettro della guerra nucleare e la corsa a legalizzare il suicidio assistito è la ricerca della morte in Occidente: cosa sta alla base di questa disperazione autodistruttrice?«Il suicida ha trovato nel suicidio collettivo un significato che gli permette di tirare avanti virtuosamente: rimanda il suo suicidio a domani. Prima di finire la sua misera vita, aiuterà gli altri ad andarsene per primi. Il suo eroismo e la sua gentilezza lo fanno piangere di tenerezza. Quanto alla guerra, per alcuni è sempre stata il modo più onorevole di suicidarsi. È chiaro che, all’interno di questa cultura nichilista, esiste un legame tra il desiderio inconscio di una guerra di annientamento, il suicidio assistito e l’aborto eretto inconsapevolmente a sacrificio alla divinità del disperato individuo-Dio».Se la legalizzazione dell’eutanasia è un «marcatore» fondamentale per uno Stato poiché lo priva del suo carattere rassicurante, protettivo e razionale, la guerra totale a breve termine diventa una certezza?«La deterrenza funziona solo a due condizioni, che sono due giudizi di valore: la vita è meglio della morte; il senso della vita è meglio della vita stessa. Nella cultura postmoderna vale il contrario e la deterrenza quindi non funziona più. Non abbiamo più a che fare con un attore razionale, ma con terroristi illuminati pronti a farsi esplodere se colti da un’ispirazione divina. Siccome il nichilista crede a ciò che vuole credere senza alcun vincolo posto dalla realtà oggettiva, ecco che la deterrenza perde la sua rassicurante stabilità. Rimane la paura di sopravvivere all’Armageddon in condizioni tutto sommato sgradevoli e senza il coraggio di farla finita nel proprio bunker a cinque stelle. Pure eutanasia e suicidio riguardano il dare la morte, anche se nella logica della disperazione uccidere non è rubare la vita, ma un dono. È la bontà stessa a darla: il dono della vita è sostituito dal dono della morte. Secondo questa logica, il diritto al suicidio dovrebbe essere sancito dalla Costituzione. Andrebbe sancito anche il diritto di una nazione alla guerra nucleare? Può darsi che l’eutanasia e l’aborto uccidano tante persone quante un conflitto nucleare. E può darsi che il sacrificio di un gran numero di uomini sia sufficiente a placare la disperazione dell’individuo-Dio, quantomeno di coloro che menano le danze: potrebbero trovare una ragione di sopravvivenza nella soddisfazione di aver dato la morte a tanti disperati e a tanti speranzosi che si ostinavano a credere che la vita potesse avere un senso diverso dal suicidio». Stabilito che darsi la morte è un diritto, quanto è concreto il rischio che esso diventi un obbligo, in determinate circostanze? «Se un atto è autorizzato dalla legge perché è fondamentalmente in linea con il senso della vita riconosciuto dalla cultura comune, non si vede come non possa essere anche un dovere, in certe condizioni. Può essere che un individuo non voglia farsi del bene morendo, ma io ho il dovere di fargli del bene dandogli la morte. Quindi gliela do e lui è costretto a subirla. Se non capisce che è amore, tanto peggio. A chi obietta: “e la libertà?”, rispondo come faceva Rousseau sulla necessità di subire la pena di morte: “sarà costretto a essere libero”. Mi sembra abbastanza probabile che il diritto e il dovere di ridurre la popolazione implichino, “alle condizioni stabilite dalla legge”, il diritto e il dovere di abortire e il diritto e il dovere di suicidarsi».Di fronte a questa logica folle c’è ancora speranza? «Siamo praticamente giunti alla fine di tutte queste mostruose assurdità cui le élite, e spesso il popolo, fingono ancora di credere. Nessuno ci casca più, se non i profondi nevrotici, i pervertiti e i tossicodipendenti. Si avvicina il momento in cui, in virtù di leggi naturali, tutte queste assurdità saranno consegnate alla pattumiera della storia».La costituzionalizzazione dell’aborto chiude un dibattito che è ancora aperto: quello sull’umanità del nascituro. Se si ammette un simile abuso su una questione così delicata, dove staranno i limiti? Quali le conseguenze per l’uomo?«Mi permetta una deviazione. Pensiamo alle politiche ecologiche, basate sul principio di precauzione: esso non dovrebbe a maggior ragione valere nel caso dell’aborto? O alla caccia: se qualcosa si muove nella boscaglia ci si chiede se è il compagno che si è perso di vista e si preferisce lasciar scappare la bestia piuttosto che rischiare di uccidere l’uomo. Eppure nel caso dell’aborto applichiamo esattamente il principio opposto: crediamo che serva un’assoluta certezza scientifica e filosofica su cosa siano l’anima e la persona, che è difficile da raggiungere in questo campo. L’unico modo per mantenere la coscienza pulita è allora negare che il nascituro sia una persona e un soggetto di diritti. Comunque credo che siamo già oltre, dal momento che la vita non ha più significato. Dal punto di vista nichilista, la morte non è un vero male. Se la maggioranza delle persone la pensa così, come potrà lamentarsi il giorno in cui sarà sottoposta a un dispotismo assassino? Lei parlava di limiti. Ma non ce ne sono. Dio fa quello che vuole però la Sua volontà segue la Sua saggezza, mentre la saggezza dell'individuo-Dio che fa tutto quello che gli pare è solo la sua volontà arbitraria. Le conseguenze le conosciamo già, in virtù delle leggi che da tempo la politica classica ha individuato: sono lo stato di natura hobbesiano, il dispotismo e la schiavitù. E, soprattutto, la guerra. Totale. La morte. A meno che...»
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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