2018-10-10
L’ipotesi della Procura: nel Viminale c’era chi favoriva i traffici di Lucano
Per l'accusa, il sindaco di Riace ha spadroneggiato al ministero fino all'era Minniti. Negli uffici c'era qualche manina amica che lo aiutava a sveltire le pratiche e a trovare le pezze giuste anche quando le rendicontazioni erano carenti o addirittura assenti.Grazie a graduatorie che puntano sul reddito e non sull'anzianità di residenza, le politiche sociali del Comune diventano assist per la sostituzione di popolo: in lista per gli alloggi solo 62 italiani nei primi 200. E la bebè card è andata nel 72% dei casi a immigrate.Lo speciale contiene due articoli.Il re dall'accoglienza, che a parere il gip era solo il titolare dell'agenzia matrimonale per clandestine da sistemare con i vecchietti calabresi, secondo la Procura, fino almeno all'era pre Minniti, era anche un maneggione che riusciva a trafficare negli uffici del ministero dell'Interno e della prefettura di Reggio Calabria ottenendo vantaggi per i progetti per richiedenti asilo e rifugiati. Ed è proprio negli uffici ministeriali e nella Prefettura che si stanno concentrando i magistrati per l'ulteriore approfondimento investigativo dell'inchiesta che ha ristretto ai domiciliari il sindaco di Riace Domenico Mimmo Lucano e che ha mandato in esilio la sua compagna, Tesfahun Lemlem. Il sindaco secondo uno dei capi d'imputazione provvisori per i quali è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Locri, «controllando di fatto l'associazione Città futura (per la quale lavorava la sua compagna, ndr), curava i rapporti con le istituzioni, e in special modo ministero dell'Interno e Sprar, e con i dirigenti della prefettura di Reggio Calabria, al fine di individuare gli strumenti necessari a interferire sulla regolarità degli affidamenti e dei relativi pagamenti». Negli uffici, insomma, c'era qualche manina amica che aiutava il sindaco di Riace a sveltire le pratiche e a trovare le pezze giuste anche quando le rendicontazioni erano carenti o addirittura assenti. Il sistema Riace, stando alle accuse, si reggeva su rendicontazioni farlocche delle presenze degli immigrati, che ne attestavano una quota maggiore rispetto a quella reale (i nomi degli immigrati che erano già andati via continuavano a essere comunicati alla Prefettura, in modo da poter contare sulle somme destinate anche quando l'accoglienza era finita da giorni), tanto da produrre, hanno stimato i magistrati, un vantaggio patrimoniale pari a 2.300.615 euro, ma anche sulla gestione non limpida delle derrate alimentari che dovevano essere destinate ai migranti e che invece finivano nei magazzini di qualcuno. «Utilizzate per fini privati», è scritto negli atti d'accusa. Secondo la Procura veniva fatta la cresta perfino sulle spese di carburante e sulle prestazioni lavorative, a volte coperte da fatture taroccate e a volte fatturate nonostante le prestazioni fossero inesistenti. Il tutto, sospettano gli investigatori, era impossibile da immaginare se Lucano non avesse contato su adeguate coperture negli uffici giusti. Sarebbe bastato un accertamento amministrativo per far crollare il sistema Riace. E invece è saltato tutto solo dopo la prima ispezione della Prefettura. Per anni però tutto è filato liscio come l'olio. E, anzi, l'attività affaristica legata all'accoglienza, secondo i magistrati, ha raggiunto il suo massimo splendore tra il 2014 e il 2016 (triennio per il quale a Lucano e ai rappresentanti legali di 12 associazioni che si sono costituite tra il 2010 e il 2016 vengono contestati anche i reati di concorso in turbata libertà degli incanti). In pratica, secondo l'accusa, «mediante collusioni e altri mezzi fraudolenti» e «non ricorrendo ad alcuna reale procedura negoziale», venivano affidati, oltre al servizio di raccolta dei rifiuti (accusa che ha convinto anche il gip e che è alla base della detenzione di Mimmo Lucano), anche i servizi di accoglienza per i migranti, «in spregio», scrive l'accusa, «ai principi di trasparenza, concorrenza ed economicità». Operazioni impossibili, ipotizzano gli investigatori, senza connivenze. E ora insieme al sindaco potrebbe finire nei guai anche chi doveva controllare e, invece, si è girato dall'altra parte. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lipotesi-della-procura-nel-viminale-cera-chi-favoriva-i-traffici-di-lucano-2611176427.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-milano-case-e-bonus-vanno-agli-stranieri" data-post-id="2611176427" data-published-at="1757547180" data-use-pagination="False"> A Milano case e bonus vanno agli stranieri Camila Priyanthi Polowitage. E poi Said Mahmoud, Ibrahim Rashad, Lorena Segura Herandez e Hussen Koti Hansa. Eccoli i primi classificati nella graduatoria stilata dal Comune di Milano per ottenere un alloggio popolare. Non troverete un Brambilla né un Fumagalli. La lista è dominata da nomi stranieri: a loro sono destinati gli alloggi che si libereranno nei prossimi mesi. Per trovare il primo italiano bisogna scendere fino alla sesta posizione, e poi sempre più giù fino al fondo della classifica. Scorrendo la lista dei nominativi abbiamo contato solo 31 cognomi italiani nelle prime 100 posizioni. Si tratta di meno di un terzo del totale. Nei primi 200 posti gli italiani in attesa della casa popolare ad affitto calmierato sono invece in totale 62. Insomma, meno di uno su tre. Questo perché, aspettando che venga adottata la nuova legge in materia della Regione Lombardia, i criteri di assegnazione si basano solo sul reddito. Che, nel caso delle famiglie straniere, risulta mediamente molto più basso. E quindi, seguendo tali regole, una ricca fetta del welfare comunale non va ad aiutare i cittadini italiani più bisognosi. Il fenomeno è già noto, ma che negli ultimi mesi ha subito un'impennata. «Abbiamo presentato diverse interrogazioni perché ci siamo resi conto che le misure a sostegno delle famiglie più bisognose vanno nel 70% dei casi in mano a cittadini stranieri», denuncia il capogruppo di Forza Italia a palazzo Marino, Fabrizio De Pasquale. E aggiunge: «Si tratta di un problema serio, ma finora mai affrontato dall'amministrazione. Adesso il rischio è che il governo, con il reddito di cittadinanza, possa replicare questo schema anche a livello nazionale». Quello che preoccupa non è infatti solo la situazione degli alloggi popolari. Se si considerano tutti i bonus messi in campo nel capoluogo lombardo, si nota come le graduatorie siano tutte sbilanciate a favore degli immigrati. Partendo dalla cosiddetta bebè card, cioè il reddito di maternità. Il contributo mensile di 150 euro erogato da ottobre 2017 alle neo mamme italiane o extracomunitarie con un reddito Isee inferiore o uguale a 17.000 euro è andato, nel 72% dei casi, a donne straniere. In pratica tre bonus bebè su quattro sono finiti a sostenere famiglie non italiane. Nello specifico, su 2.600 richieste arrivate negli uffici competenti ne sono state accolte 1.826. Di queste ben 1.307 sono andate a mamme extracomunitarie, mentre 519 a persone comunitarie. Impossibile però sapere quante italiane ci siano in questa categoria perché, su questo punto, la giunta di Beppe Sala non ha risposto all'interrogazione presentata dalla consigliera Silvia Sardone, del gruppo misto. Per tutti i bonus il discorso è lo stesso. Prendiamo, per esempio, il Sostegno di inclusione attiva e il Reddito di inclusione. Nel corso del 2017 sono arrivare 1.800 richieste per il Sia, di queste 1.290 sono state accolte a favore di cittadini non italiani. Si tratta del 71,4%. La misura era stata lanciata dal governo nazionale targato Pd. I requisiti richiesti erano Isee del nucleo famigliare non superiore a 3.000 euro, presenza di un minore, di un disabile, o di una donna in gravidanza. Per gli stranieri bastavano due anni di residenza in Italia, o per gli immigrati comunitari il solo permesso di soggiorno di un familiare. Successivamente è arrivato il turno del Rei, attivo dallo scorso gennaio. È cambiato il nome ma non la sostanza: a Milano il 67-68% del contributo è confluito verso famiglie extracomunitarie. Nell'universo di bonus a disposizione delle persone indigenti c'è anche il cosiddetto Sostegno al reddito. Si tratta di fondi per la povertà messi a disposizione dal Comune per i nuclei familiari con minori a carico. Ebbene, anche in questo caso gli italiani sono stati quasi del tutto esclusi. Questi i numeri forniti dalla direzione Politiche sociali di Palazzo Marino: del 64,77% dei fondi per il 2016 hanno beneficiato cittadini extracomunitari, contro il 31,96% erogati alle famiglie milanesi (il restante 3,27% è andato a stranieri provenienti dalla Ue). E come è andata a finire con le borse lavoro? Grazie a questa misura i disoccupati con particolare disagio sociale hanno la possibilità di effettuare un tirocinio in azienda, ricevendo un rimborso dal Comune. Il 50% del totale delle borse lavoro viene erogato agli stranieri. «I numeri non mentono e ad analizzare quelli forniti dal Comune si nota uno squilibrio esagerato a favore degli immigrati, sia per quanto riguarda le case popolari sia per i contributi a sostegno della povertà», commenta Sardone. «Ancora una volta si conferma l'ossessione della sinistra per gli immigrati», prosegue, «gli strumenti adottati per aiutare chi è in difficoltà si rivelano costruiti ad hoc per imboccare sempre nella stessa direzione. Per superare queste politiche sociali a senso unico bisogna puntare più sulla residenza e meno sull'Isee, perché è ovvio che un tetto Isee basso favorisce gli stranieri appena arrivati in Italia. Per le case popolari, per esempio, si devono fissare delle quote standard che premino giovani coppie, famiglie monoreddito, anziani e disabili che risiedono nel Comune. Non è una questione di razzismo, è soltanto buonsenso». In questo senso, almeno per le case a canone calmierato, dovrebbe migliorare la situazione la nuova legge regionale che prevede graduatorie ad hoc per anziani, giovani famiglie e studenti. Oltre a introdurre tra i criteri base per l'assegnazione anche l'anzianità di residenza. Ma di tutto ciò negli elenchi del Comune di Milano non c'è ancora traccia.
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