2019-06-18
L’ipocrisia dell’Ue sul «porto sicuro» per obbligarci a prendere i migranti
Quelli di Sea Watch giudicano pericoloso approdare in Libia. Ieri, a spalleggiarli, è arrivata la Commissione europea, anche se i fatti smentiscono entrambi. Per loro conta soltanto una cosa: mettere alle strette Matteo Salvini.Le Ong seguono il centralino che diffonde informazioni (e balle) sui naufragi. Ideatore? Padre Mussie Zerai, già indagato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.Lo speciale contiene due articoliLa capitana della Sea Watch 3 sfida il Capitano della Lega. E la Commissione Ue, sia pure n stato di decomposizione, non si perde quest'occasione per provare a scassinare i porti chiusi dell'Italia.La nave dell'Ong tedesca battente bandiera olandese è in mare con il suo carico di migranti dal 12 giugno. Il Viminale aveva autorizzato lo sbarco di dieci persone per cure mediche. L'altra notte, però, la Guardia finanza è salita a bordo dell'imbarcazione per notificare il divieto di ingresso in acque italiane, vista l'entrata in vigore del decreto Sicurezza bis. La Sea Watch 3, ovviamente, non ci sta. E Carola Rackete, la trentunenne al timone della nave, ha confermato che non farà indietro tutta, perché la Libia non è un porto sicuro. Posizione ribadita ieri mattina dalla portavoce italiana dell'organizzazione, Giorgia Linardi. Per quelli di Sea Watch, dunque, l'unico posto al mondo in cui si possono trasportare i nordafricani recuperati nel Mediterraneo è l'Italia. Nella fattispecie, Lampedusa. Malta? Manco a parlarne: raggiungerla richiede troppo tempo - mentre il tempo fermi in mezzo al mare non è mai troppo, se l'approdo finale è un porto nostrano. Ed eccoci al ruolo dell'Unione europea. Perché non è solamente l'Ong tedesca a considerare Tripoli un porto non sicuro. Ci si è messa pure la Commissione Ue. Quella in scadenza. Quella che dagli elettori italiani ha preso batoste. Pur ribadendo che non spetta a loro «definire in quale posto o porto debbano avvenire gli sbarchi», i membri dell'esecutivo comunitario, attraverso la portavoce, Natasha Bertaud, ieri hanno sottolineato che «le navi che battono bandiera europea sono obbligate a rispettare il diritto internazionale e il diritto sulla ricerca e il salvataggio in mare, che comporta la necessità di portare delle persone in un posto o porto sicuro». E, naturalmente, «la Commissione è convinta che queste condizioni non si ritrovino in Libia». Alla fine della giostra, tocca sempre all'Italia farsi carico dei migranti, pedine di un gioco tutto politico, di un braccio di ferro allestito ad arte dalle Ong per piegare il governo sovranista (con buona pace della democrazia e della volontà degli elettori, i quali, sull'immigrazione, si sono espressi inequivocabilmente). Ma è davvero così pericoloso avventurarsi in un porto libico? Pare proprio di no. Il sito della compagnia assicurativa marittima norvegese Gard, ad esempio, dal 3 giugno riporta un'informazione chiarissima: in Libia, «tutti i porti funzionanti sono da considerarsi sicuri per le navi e i loro equipaggi». La Verità ha raggiunto telefonicamente la società, la quale ha confermato che, almeno fino a ieri, la situazione non era cambiata: approdi sicuri per uomini e mezzi navali commerciali. E per le Ong? Qualcuno dirà: loro hanno a bordo gli immigrati, se attraccassero a Tripoli arriverebbero i kapò dei lager libici a sequestrarli. Improbabile: le operazioni di sbarco, infatti, sono seguite da personale dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, un'agenzia collegata alle Nazioni Unite, che controlla anche la situazione nei campi. Non ci fidiamo nemmeno di loro? Di più: la Guardia costiera libica, come hanno riferito alla Verità fonti di Eunavfor Med, meglio nota come operazione Sophia, viene addestrata dal 2016 dagli europei (dagli italiani in primis) a compiere operazioni di ricerca e salvataggio dei naufraghi. Giusto il 15 giugno, sul profilo Twitter di Eunavfor Med, è stata pubblicata una foto, che immortala il gruppo impegnato a Creta in una delle esercitazioni con i nostri militari. Evidentemente, della missione europea Sophia, in Europa non sanno nulla. Intanto, da un recente un comunicato dei guardacoste libici, è emerso che a non offrire abbastanza aiuto sono proprio i campioni dell'accoglienza, Onu e Unhcr. Eppure, ogni volta che sottraggono alle onde i migranti, quelli delle Ong fanno di tutto per portarli in Italia. Anche quando, come ha assicurato la Linardi a La 7, alcune città della Germania sarebbero pronte a ospitare i profughi. Ammesso che poi non ce li rispediscano sedati in aereo, a questo punto non sarebbe meglio se la Sea Watch 3, tedesca ma con bandiera olandese, facesse direttamente rotta ad Amburgo o a Rotterdam? O per consentire ai teutonici di profondersi in tutta la loro generosità (tra i finanziatori di Sea Watch spiccano diversi nomi germanici, dal cardinale Reinhard Marx al capogruppo dei Verdi al Bundestag), dobbiamo trasformare il nostro Paese nel centro di smistamento immigrati? La sensazione è che le Ong si servano dei disperati per portare avanti la loro crociata e che in questi giorni, con il licenziamento del decreto Sicurezza bis, vogliano alzare il livello dello scontro, dimostrare di avere il coltello dalla parte del manico. Da questo punto di vista, l'aiutino dell'Ue non è casuale: gli eurocrati hanno il dente avvelenato con Matteo Salvini e molto probabilmente vogliono pure vendicarsi degli italiani, che, per citare il commissario Günther Oettinger, hanno votato male. Infine, una domanda ai «restiamo umani» sorge spontanea: se l'Italia, dove dilaga Salvini, è infettata dal virus del fascismo, come fanno i suoi porti a essere sicuri?Alessandro Rico<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lipocrisia-dellue-sul-porto-sicuro-per-obbligarci-a-prendere-i-migranti-2638893563.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ce-don-barcone-dietro-alarm-phone" data-post-id="2638893563" data-published-at="1757912599" data-use-pagination="False"> C’è don Barcone dietro Alarm phone Ma quanto sono credibili gli attivisti di Sea Watch? Per capire quanto ci si possa fidare di loro forse vale la pena di ricordare, tra le altre cose, che la Ong spesso si è lanciata nei soccorsi segnalati da Alarm phone. Ovvero, stando a quanto riporta Agensir, agenzia di stampa cattolica, è il network telefonico dell'agenzia Habeshia, rete dei volontari fondata nel 2006 e presieduta dal sacerdote eritreo don Mussie Zerai, in passato indagato dalla Procura di Trapani per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Questo network telefonico ogni tanto ne combina una delle sue. Il primo caso risale al 20 gennaio scorso, quando Alarm phone lanciò l'allarme perché un gommone al largo della Libia, che sembrava dovesse affondare da un momento all'altro, in realtà, stando alla foto scattata da un aereo militare della missione navale europea Sophia, non stava imbarcando acqua. Il centralino dei migranti era in contatto con un satellitare Thuraya, nelle mani di un africano con un pesante giubbotto rosso, al timone del gommone. Si scoprì, raccontò Fausto Biloslavo su Panorama, che era un sospetto scafista e fu segnalato dagli uomini di Sophia alla polizia italiana. Il telefono satellitare Thuraya di solito viene consegnato proprio allo scafista. I normali cellulari non hanno campo a 30 miglia dalla costa. E quando il credito del Thuraya si esaurisce, è lo stesso centralino dei migranti a ricaricarlo online. Neanche una settimana fa se ne sono usciti segnalando un barcone carico di donne incinte e di bambini. Ecco i tweet: «Alarm Phone è stato informato di un'altra barca in pericolo nella zona Sar Maltese. Ci sono circa cento persone a bordo che dicono di essere in mare già da 3 giorni!». E subito dopo la bufala per far pressione sui governi: «Le persone a bordo dicono di non aver più da mangiare e da bere, e che alcuni sono in panico. Alcuni stanno male e hanno bisogno di cure. Ci sono bambini e donne, alcune incinte. Urge soccorso immediato!». In realtà, tra i 97 immigrati, c'erano due minori e due donne. E solo una di loro era in attesa. Stessa tecnica messa in campo qualche giorno fa per il soccorso di Sea Watch 3: si parlò di una piccola migrante morta. L'Ong tedesca aveva richiesto più volte l'intervento della Guardia costiera italiana che, una volta intervenuta, ha smentito la notizia del decesso, confermando invece il buono stato di salute dei migranti. E, così, la Ong ha dovuto fare marcia indietro: Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italy, intervenuta a Tagadà, su La7, ha spiegato: «La nostra missione si limita alla ricognizione aerea. L'informazione sulla bambina deceduta è stata diffusa da Alarm phone, che era in contatto diretto con le persone a bordo del gommone». E alla fine, anche Alarm Phone ha dovuto rettificare: «In un tweet abbiamo trasmesso quello che i migranti ci hanno detto: che una bambina di cinque anni è morta. Non l'abbiamo mai confermato: speriamo non sia vero. Non è necessario che muoia qualcuno perché sia uno scandalo che 90 persone sono state lasciate a rischio per oltre 23 ore». In realtà è uno scandalo immettere in Rete bufale con la finalità di aggirare le disposizioni del governo italiano. Ma chi c'è dietro ad Alarm phone? Oltre a padre Zerai, che qualche tempo fa lo ha confermato ad Agensir, c'è Nawal Soufi, soprannominata Lady Sos. I centralinisti sono guidati da Marion Bayerm, attivista che vive ad Hanau, in Germania, da sempre dalla parte dei movimenti antirazzisti. Fabio Amendolara
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)