2020-07-06
Umberto Smaila: «Per noi artisti nessun aiuto concreto»
Umberto Smaila (Johnny Nunez/WireImage)
Il «Gatto» di Vicolo miracoli: «I miei orchestrali non hanno visto la cassa integrazione. Ho dato fondo ai miei risparmi, ora devo vendere una casa. Ho temuto per mia mamma, ma per fortuna ora sono con Abatantuono».Buon giorno Umberto, come stai passando il post Covid? «In questo momento benissimo, perché mi trovo a casa del mio amico Diego Abatantuono in Romagna, vicino Riccione. Ma prima è stato una catastrofe». Come mai? «Noi Smaila abbiamo vissuto la quarantena nella paura». Addirittura? «Sì. In primo luogo per mia madre, 95 anni, che vive ancora da sola, a Verona, e che è stata ricoverata per un sospetto coronavirus».E invece? «Non era nulla di così grave: è sopravvissuta senza problemi ad una brutta influenza» Ex profuga istriana, generazione d'acciaio. «Fiumana, fiumana!». Tieni molto a questa differenza, dici di te che sei «un austro-ungarico cosmopolita». «Vero. Mia madre era una insegnante, colta, allevata nelle suggestioni letterarie asburgiche e novecentesche, innamorata di Svevo. Mio nonno nel 1920 prestò il telefono della sua officina a D'Annunzio». Nel 1920 aveva il telefono! «Esatto. Gli regalò un certificato di benemerenza». Addirittura. «Per chi veniva da quella Fiume la Verona del 1950, che non era ancora la grande capitale industriale e culturale di oggi, con gli occhi di allora a mia madre sembrò un bel paesone contadino». Fantastico come cambia il mondo. E quali altre preoccupazioni hai avuto nella quarantena? «Mia nuora. Per quanto sembri incredibile diventerò nonno ad ottobre, mia nuora è incinta, e ogni visita che ha fatto in quei giorni avevo il cuore in gola: ospedali, rischio contagio, mi capisci?».«Nonno Smaila» è il colmo. Suona strano. «Lo dici a me? Primo, sono felice come un re. Secondo: se mi guardo allo specchio non ci credo». A cosa? «Non ci posso credere che ho 70 anni, cazzo! Quando sono diventato un anziano a rischio vita?».Ti senti più giovane? «Il tempo è un concetto molto relativo: mi pare ieri che ho iniziato la mia carriera in mezzo a giganti come Paolo Villaggio...».E Diego.«Beh, se è per questo è lui che ha iniziato in mezzo a noi! Non tutti sanno che Diego (Abatantuono, ndr), per cinque anni, è stato il primo tecnico dei Gatti di Vicolo Miracoli». Il Covid ti preoccupa di più come nonno, come artista o come imprenditore?«Come Umberto. Ti basti pensare che sono fra gli italiani più colpiti, anche sul piano economico». Non sei diventato mai ricco? «Magari. Se avessi avuto 1 euro per ogni replica di Colpo Grosso camperebbero di rendita tre generazioni di Smaila». Ma i diritti non sono tuoi.«Figurati». Se non sei ricco, come ti consideri? «Benestante, al massimo. Fino alla pandemia. E la prova di questa condizione è che adesso, per riprendermi dopo l'emergenza, dovrò vendermi una casa». Scherzi? «Figurati se scherzo su questo».Umberto Smaila, un nome un marchio di fabbrica. Il suo Colpo Grosso, programma cult degli anni Ottanta-Novanta è ancora oggi uno dei più replicati della storia della tv, appena ritrasmesso durante l'emergenza Covid. Ma Smaila ha anche una serie di locali in franchising (gli “Smaila's") una intensa attività da crooner e da animatore di serate con le sue orchestre. E una - meno nota - da compositore di colonne sonore. Ma è vera questa storia della casa venduta? O stai beffandoti di me? «Ma figurati. Io sono comunque un privilegiato. Soprattutto se penso ai tanti musicisti che ho con me, tre orchestre che lavorano in Sardegna, a Milano e nel Centrosud». Siete ripartiti, adesso, no? «Si, ma con molta difficoltà. Noi siamo artigiani, mica rockstar. E di aiuti nel settore dello spettacolo ce ne sono stati pochi e tardivi». Parli della cassa integrazione? «E chi l'ha vista di loro? Io stesso ho dato fondo ai miei risparmi e adesso metto sul mercato una casa in montagna». Perché hai tre figli. «Esatto. Uno di loro, Rudy Smaila, ha messo su un forno insieme a mia nuora». Investimento azzeccato durante la serrata. «Sono molto orgoglioso di loro. Durante il lockdown se n'è andato a portare il pane nelle case. È uno di quelli che non si è fermato». Però? «Gli altri due figli, appena ventenni, sono ancora a mio carico. E adesso, da buon padre, mi preparo a sostenerli all'università». Hai i tuoi locali, però. «Vorrei sfatare questo mito, nato su internet: gli “Smaila's" non sono di mia proprietà, ma hanno con me un accordo di franchising». Uno è a Sharm el Sheikh. Uno in Sardegna, a Porto Rotondo, uno a Tropea! «Si, ma l'accordo è che io offro loro il mio nome e la mia immagine ed in cambio suono per loro per un numero di serate l'anno». Stai dicendo che non sei un nuovo Ziegfeld.(Ride) «Macché! È una mossa astuta per cercare di continuare a lavorare». Non esagerare. «Dieci anni fa facevo 250 serate l'anno. Adesso poco più della metà, coronavirus permettendo». E tutti i giovedì sei al «Parioli». Locale romano nel cuore di Milano. «È come se fosse uno “Smaila's anche lui. Al di là degli annunci terrificanti e pessimistici, vedo che c'è di nuovo molta voglia di vivere e ballare». Che poi è il tuo marchio. «Il mio spettacolo coinvolge. E il coinvolgimento è un'arte. Lo sai che ho inventato io il karaoke?» Prima di Fiorello, intendi? «Uhhhhhh! Prima dei giapponesi! È nato tutto da Colpo Grosso. Perché voi mi vedete sempre come... maître a voyeur. Ma io cantavo una canzone a puntata». Ma registravi quattro puntate al giorno! «E infatti ho un repertorio sterminato: 800 puntate, 800 canzoni». Te le arrangiavi da te? «No, non esageriamo. C'erano dei musicisti molto bravi, nessuna prova, e poi gobbo, accordi, e via. Diciamo che ero bravino. Ma insomma, il repertorio lo avevo, e così nasce l'idea: “Perché non facciamo un locale?"». Cominci dalla Sardegna. «Me ne danno uno stupendo in Costa Smeralda a Poltu Quatu». Dove lanci i tuoi tormentoni: «scuotete i tovaglioli».«In realtà era una trovata di Paolo Villaggio, che veniva a trovarmi e gridava alle signore: “Simulate allegria!". Ah ah ah». Veniva anche Diego. «Uhhhhh quante volte! Adesso si è impigrito. Sta in questo splendido eremo in Romagna e non si muove manco con la gru». I tuoi cavalli di battaglia? «Battisti, i Beatles, i Rolling Stones! Dammi una chitarra, Ruby tuesday, Help o La canzone del sole e posso fare ballare i cadaveri. Queste sono canzoni che canta il mondo, in Italia “le bionde trecce" sono più note dell'Inno di Mameli». Come te lo spieghi? «Dopo gli anni Novanta una certa musica è finita. Adesso nessuno più si ricorda Sanremo». Non fare «signora mia che tempi», però, non è da te.«Scherzi? È scientifico. Vita spericolata la cantano anche su Marte. Ma se tu chiedi chi ha vinto Sanremo due anni fa non se lo ricorda più nessuno!». Hai scritto 32 colonne sonore. «Esatto: Soldati-365 giorni all'alba, Caramelle da uno sconosciuto, i Vanzina... è il mio lavoro meno noto, quello da artigiano». E adesso? «Faccio un disco di duets con le 15 canzoni più belle che ho scritto». Come Sinatra. «Ma non prendermi per il culo!». Hai scritto uno dei più grandi successi di Anna Oxa. «È tutto un attimo. Inizia le prime tre parole in una qualsiasi serata e parte un coro». E dire che da ragazzo ti eri iscritto a legge. «Ho dato gli esami per non fare il militare. Poi mi sono rotto le gambe in un incidente d'auto e sono andato al Derby. La fortuna della mia vita». Cosa volevi fare, l'avvocato? «Macché, quello che ho fatto». Hai composto anche il più famoso inno del Milan. «Molto prima di quello di Tony Renis. Adesso la rifarò in una versione tipo We are the world. Me lo sono ripromesso dopo il pareggio con la Spal perché noi milanisti siamo romantici». Come vivi con la mascherina?«In questo sono molto sgarbiano: le butterei nel cesso». E le tue preoccupazioni sanitarie? «Ho fatto dieci test sierologici, non metto a rischio nessuno». Sei contento che Colpo Grosso sia risorto ancora una volta? «Lo hanno rimandato in onda con la scusa del coronavirus». E ti sei rivisto? «No, ma mi fa piacere». Perché? «Sono come un Dorian Gray che rimane sorridente, giovane, in mezzo ai culi, mentre l'altro Smaila - il settantenne decrepito - invecchia, triste malinconico. Ah ah ah».