2020-08-24
Matteo Bassetti:«Hanno creato il virus del fornaio»
L'infettivologo: «Le direttive del governo producono allarmi esagerati. Un positivo al tampone non è un malato. Troppe colpe ai giovani e scarsa informazione: di questo passo in autunno negli ospedali sarà di nuovo caos».Professor Matteo Bassetti, infettivologo e direttore della clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, è giustificato il clima di allarmismo che si respira in Italia?«È un clima che non aiuta la comprensione di questa epidemia. Dal 20 febbraio giornali e tv non hanno smesso un giorno di parlare del virus, e va bene. Però negli ultimi due mesi nei quali il Covid ha allentato la presa sugli ospedali, avremmo dovuto cercare di fare una comunicazione corretta per prepararci all'autunno».Pensa a una seconda ondata?«Se per ondata si intendono ricoveri ospedalieri di casi gravi e gravissimi come in marzo e aprile penso di no, ma intendevo che bisognava piuttosto preparare la popolazione ad affrontare i malanni invernali, i virus dell'influenza e i batteri che causano patologie respiratorie. Gli allarmi esagerati danneggiano il sistema sanitario».Perché?«Con questo clima terroristico, il primo che avrà un colpo di tosse, o 37,2 di temperatura, o avrà sentito che nella casa a fianco c'è un malato di coronavirus, correrà in ospedale a farsi vedere credendo di avere una malattia mortale».Cosa si dovrebbe dire alla gente?«Che questa infezione a marzo e aprile ha fatto molto male, però oggi morde meno. I numeri dei contagiati crescono ma gli ospedali hanno pochissimi ricoveri in proporzione ai mesi scorsi».Però il numero dei positivi è ai livelli di maggio.«Appunto: abbiamo centinaia di contagiati, ma la stragrande maggioranza sono persone asintomatiche o individui venuti in contatto con queste persone».Che cosa significa per il sistema sanitario?«I positivi asintomatici vanno isolati a domicilio e tenuti in quarantena, ma non sono malati da ricoverare».Perché in alcuni il virus evolve in malattia e in altri no?«Motivi vari. I fattori principali sono la carica virale e la capacità di reazione del sistema immunitario. Può esserci un attacco più violento o una difesa più efficace».Quindi positivi al tampone e malati sono cose diverse.«Questo concetto sfugge a molti, e spiace che sfugga anche a parecchi miei colleghi che probabilmente non hanno la competenza per capire la differenza. Da infettivologo dico che un conto è il soggetto malato che presenta sintomi compatibili con il Sars-cov-2, un altro è il soggetto positivo privo di sintomi che quindi è un portatore sano».Non devono stare entrambi in quarantena?«Sì, ma dal punto di vista clinico la situazione è totalmente diversa. E così anche dal punto di vista prescrittivo. I positivi non hanno bisogno di farmaci, mentre i medici di base o che non hanno competenze specifiche tendono a prescrivere antibiotici o cortisone».Anche in assenza di sintomi?«È un esercizio ignorante della medicina, perché è trattare il nulla. Vedremo tra 6-12 mesi quali danni creeremo in questo modo».I medici di base vogliono tutelarsi da guai futuri?«Certo. Ma sono anche tra l'incudine e il martello, perché spesso i pazienti stessi vogliono un farmaco a ogni costo. Gli italiani sono profondamente male educati sotto questo aspetto: se vanno da un medico devono tornare con una medicina, a differenza degli anglosassoni, per esempio».Quindi è importante far capire che un positivo non è per forza un malato.«È la prima diapositiva che mostro alla prima lezione del corso integrato di malattie infettive che tengo al quarto anno di medicina. Qualcuno che non ha chiaro questo concetto potrebbe venire a seguire qualche lezione».Perché c'è ancora confusione?«C'è tanta approssimazione anche in alcuni considerati esperti. Non so quanti di quelli che oggi parlano a livello nazionale siano specialisti di malattie infettive. Non mi sembra tanti, anzi pochissimi. Spesso abbiamo proposto come esperti gente che fino al febbraio 2020 di malattie infettive non aveva mai sentito parlare».Si riferisce ai componenti del Comitato tecnico scientifico?«Anche. Gli infettivologi sono stati poco ascoltati, soprattutto quelli che hanno visto il virus in faccia».È mai stato interpellato dal ministero?«Mai nessuno mi ha mai interpellato. Nonostante abbia un ottimo rapporto e grande stima con il viceministro Pierpaolo Sileri, che secondo me è una persona valida e preparata, non sono mai stato sentito. E credo molti altri come me».Si è chiesto il perché dell'allarmismo?«Io faccio il medico, considerazioni politiche non ne faccio. Mi chiedo solo dove vogliamo arrivare».Che intende?«Vogliamo far sì che la popolazione sia maggiormente edotta sui rischi da virus? Se l'obiettivo è sensibilizzare a difendersi dal Covid, non ci si arriva in questo modo. Terrorizzare la gente porta all'iperprescrizione, alla corsa agli ospedali, alla caccia all'untore. La comunicazione è completamente errata».Che cosa bisognerebbe fare?«Comunicare in modo ponderato, attento, dai toni bassi, spiegando che cos'è oggi la patologia Sars-cov-2, che differenza c'è tra un sintomatico e un asintomatico, quando bisogna o non bisogna prendere i farmaci, quando indossare la mascherina, perché bisogna stare a casa quando si ha la tosse, eccetera. Noi invece abbiamo passato due mesi a dire che l'unica cosa importante in questo Paese era la mascherina».Dopo altri due mesi in cui si diceva che non serviva...«Abbiamo perso un sacco di tempo. Ma le pare che a fine agosto, dopo che le scuole sono chiuse da fine febbraio, non abbiamo un'idea di come torneranno in classe i nostri figli? Se non si tornerà in classe a settembre questo sarebbe gravissimo per un paese civile. Abbiamo aperto le discoteche e i cinema, facciamo andare la gente in treno e in aereo, ma non sappiamo ancora come portare i nostri figli in aula in sicurezza. La scuola doveva essere la priorità numero uno di un governo e di un Comitato tecnico scientifico».I bambini dovrebbero mettere la mascherina in classe?«Bisognerebbe valutare con attenzione i rischi di portarla 8 ore al giorno, spiegare che i distanziamenti sono ancora più importanti, cercare di ridurre la composizione delle classi e vedere che cosa hanno fatto gli altri Paesi. In Europa molti sono già tornati a lezione».Il vaccino, quando arriverà, dovrà essere obbligatorio?«Quel momento è lontano, non credo che prima della primavera sarà disponibile».Fino ad allora che si fa?«Raccomando di fare il vaccino antinfluenzale e antipneumococcico». Combattono il Covid?«Noi dobbiamo sgombrare il campo dagli elementi confondenti. Senza queste vaccinazioni, a ottobre il primo che ha la febbre, la tosse o il raffreddore correrà in ospedale con il terrore del Sars-cov-2. E sarà di nuovo il caos». Dovrebbero essere resi obbligatori questi vaccini?«Non è detto. Meglio sarebbe informare la popolazione sull'importanza dei vaccini in generale. Contro l'influenza si vaccina un italiano su 5, e appena il 50-55% di coloro cui la vaccinazione è offerta gratuitamente. Nel personale sanitario quando va bene si arriva al 20%».Vaccino gratis o a pagamento?«Un vaccino costa sui 15 euro, come due aperitivi. È un investimento che facciamo sulla salute nostra e di chi ci circonda. L'importante è che cresca la consapevolezza, e il “gratis" non fa capire l'importanza di certi presidi. Molti non si rendono conto del bene prezioso che è in Italia la sanità per tutti. Il vaccino va dato gratis a chi non ha le possibilità, gli altri devono capire che è un investimento sul proprio futuro».Quindi niente obbligo di vaccinazione come per i bimbi a scuola.«Più che la vessazione, va capito il valore di proteggere sé stessi e gli altri, e il senso dei provvedimenti presi dallo Stato».A proposito di leggi: su Facebook lei è stato molto tagliente con il governo circa l'obbligo di mascherina serale e notturno. «Nelle ultime settimane c'è stato un atteggiamento esageratamente oppressivo nei confronti dei giovani, ma mi sembra che il maggior numero di contagi riguardi persone giunte dall'estero, non tanto la movida. Era ai confini che bisognava porre attenzione fin da giugno, soprattutto per chi arrivava dall'area balcanica».Ha parlato di «virus del fornaio».«Qualcuno mi deve spiegare perché alle 17,59 posso stare a viso scoperto mentre alle 18 devo indossare la mascherina».Anche questo contribuisce a creare psicosi.«Certo. La gente non ci capisce più niente, è confusa e disorientata. Ha paura. Negli occhi abbiamo ancora le immagini delle bare di Bergamo e i numeri dei morti. Io stesso sono stato spaventato da questo virus, in qualche momento ho temuto il peggio. Ma ora la situazione è molto diversa. Nel mio reparto oggi non ho un malato di Covid-19 in terapia intensiva. Il dato è evidente: il virus fa meno male rispetto a marzo e aprile, quando registravo una mortalità dell'11%. A giugno, luglio e agosto la mortalità è zero».Lei dice che la movida non ha grandi responsabilità, eppure l'età media dei contagiati è piuttosto bassa.«Non bisogna guardare l'età media dei positivi, ma dei ricoverati, e questa si è abbassata di poco. I bollettini quotidiani confondono: bisognerebbe spiegare quanti positivi vengono dall'estero, quanti sono i contatti, quanti gli asintomatici, quanti hanno un grado grave o critico. Una fotografia articolata. I numeri senza spiegazione riportano la mente alla memoria di marzo».E la gente come dovrebbe comportarsi?«Mettendo in atto tutte le misure di prevenzione che conosciamo ma vivendo con più tranquillità, pensando che è un virus nuovo, che è stato bastardo, ma che nel 99% dei casi passa. Oggi si vive in modo troppo allarmistico e terrorizzante».
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