2021-12-13
«L’eutanasia metterà a rischio i più deboli»
Massimo Camiscasca (Ansa)
Il vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca: «Con le cure palliative si può fare molto per alleviare le sofferenze. Invece l’idea che possiamo disporre dell’esistenza di tutti a nostro piacimento finisce soltanto per agevolare chi è più forte».Monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, è un pastore amorevole e un teologo coraggioso.Eccellenza, sarà la voglia di ripresa post Covid, però mai come quest’anno ci stanno presentando il Natale in una chiave «commerciale».«Assistiamo ormai da decenni a un oscuramento del Natale. A un tentativo di ridurlo a una bella fiaba, cui rivolgersi per essere consolati. Solo che le fiabe non hanno fondamento nella storia e nella vita concreta degli uomini».Qual è il significato vero del Natale?«Non è una fiaba per consolare le persone buone, ma un avvenimento storico. Come documentano molti testi, oltre ai Vangeli, Gesù è veramente nato; il figlio di Dio si è veramente incarnato; ha veramente preso un corpo dal corpo di Maria».Gesù è nato proprio il 25 dicembre?«Direi che questo non è essenziale. La data è stata fissata in ragione del fatto che la nascita è avvenuta nel periodo invernale, ma soprattutto perché il 25 dicembre era la festa del “Sole invitto”, per i romani. I cristiani, dunque, volevano significare che il sole vero, quello che illumina ogni uomo, è Cristo».Allora, non c’entrano niente sincretismi religiosi, continuità culturali e presunte origini pagane del Natale? Sono stati i cristiani a voler deliberatamente «convertire» una preesistente ricorrenza pagana?«Esatto. Peraltro, originariamente, il Natale veniva celebrato il 6 gennaio: si univa la nascita di Gesù alla festa della sua manifestazione al mondo. Poi, a poco a poco, nel calendario cristiano, le due festività sono state divise».Il Natale, ormai, è una festa «politicamente scorretta»…«Sì, stanno provando a cancellarlo, nel nome di una falsa inclusività delle feste».Quello che ha tentato di fare l’Ue, con le sue - per fortuna ritirate - linee guida?«Proprio così. Il progetto è di cancellare ciò che contraddistingue il volto di un popolo. Ma noi possiamo essere veramente inclusivi solo se riconosciamo ciò che ci costituisce, e che ci apre alle altre storie delle nazioni. Questo equivoco, purtroppo, testimonia la grande povertà dell’Europa».Perché «povertà»?«L’Europa sta immaginando di potersi costruire solamente su principi economici, di mercato, e sulla cancellazione delle differenze. In questo modo nega sé stessa, nega la storia, nega la bellezza di ciò che l’ha costituita lungo i secoli».A quali radici culturali fa riferimento?«La grande sapienza greca; il diritto romano; la tradizione giudaico-cristiana; tutta l’eredità del mondo germanico, confluita nel Medioevo cristiano; l’Umanesimo, il Rinascimento; l’illuminismo; il socialismo».Ci mette dentro persino il socialismo?«Tutto ciò che ha reso ricca, magari drammaticamente ricca, la storia dell’Europa».Chi è il vero responsabile di queste «amnesie»? «Una burocrazia che pensa, per eliminare i problemi delle differenze fra i popoli, di far navigare l’Europa intorno a un minimo comune denominatore culturale: l’individualismo edonistico e tecnologico. In realtà, se i popoli non sono orgogliosi e felici della propria storia, diventano anche incapaci di cogliere i valori della storia degli altri». Anche papa Francesco, pur condannando le chiusure nazionalistiche, ha ammonito sul pericolo di «sacrificare i valori nazionali verso un “impero”, un governo sovranazionale».«Le parole che il Papa ha rivolto all’Europa sono di una forza enorme. Anche perché ha citato il nazismo, il comunismo, i totalitarismi che hanno proliferato proprio grazie alla cancellazione e alla riscrittura della storia a loro uso e consumo. Quello del Pontefice è un invito d evitare le insidie dei nazionalismi e, al contempo, a preservare il valore della storia dei popoli. Perciò Francesco ha sottolineato la differenza tra nazionalismo, populismo e popolarismo».Nondimeno, qualcuno ha voluto leggere, nei richiami del Papa contro il populismo, una tirata d’orecchie alla Polonia, che ora fronteggia l’ennesima crisi migratoria, con le migliaia di profughi stipati al confine bielorusso. Si può pensare di risolvere la questione semplicemente spalancando le porte ai migranti?«No. E infatti, se lette per intero, le parole del Papa appaiono di grande equilibrio».Perché?«Lui ha detto che non possiamo chiuderci di fronte ai bisogni di chi rischia di morire al freddo e nell’abbandono. Ma nello stesso tempo, ha invitato le nazioni europee a un atto di coraggio che finora non c’è stato».Quale?«Quello di delineare delle strade di accoglienza sicura. Ciascun Paese deve determinare quante persone può accogliere entro percorsi organizzati, senza i quali l’accoglienza non è vera e non è umana».Quando si parla d’accoglienza, si insiste sulla cura materiale dei profughi. E l’evangelizzazione? «L’evangelizzazione è la responsabilità primaria della Chiesa; il primo movimento di essa è proprio la carità. Dobbiamo presentare Gesù come fonte inesauribile e ineludibile della carità».E a questa dimensione si è prestata sufficiente attenzione, in questi anni?«No, non è stata tenuta sufficientemente in considerazione. Non certo da parte del Santo Padre, bensì da parte delle Chiese».A proposito del Natale: ha visto l’immagine dell’«ambasciatore» Lgbt presso l’Unione europea, vestito da Madonna trans?«Non seguo per niente i social, ma l’ho vista».Cos’ha pensato?«Guardi, sono espressioni, come minimo, di cattivo gusto, in cui comunque - sforzandomi di cercare il bene ovunque - io vedo anche un grido disperato di ricerca d’una identità cancellata».Parlavamo del Natale consumista. C’è un senso per cui il gesto del dono può rientrare, piuttosto che in una logica materialista, in un autentico anelito cristiano?«Certo. Il dono alla persona cara, a chi amiamo, ai poveri, rivela il profondo significato del Natale: per l’appunto, il dono gratuito che Dio fa di sé stesso a tutti gli uomini. Anche il dono è un’espressione della trascendenza. E anche il dono va custodito».D’altronde, a inventarlo furono già i Magi, no?«E forse, prima ancora di loro, i pastori».Pure quest’anno, il Papa ha scelto di pregare in solitudine di fronte alla statua dell’Immacolata a Roma. E ha rinunciato di nuovo alla messa di mezzanotte. Alcuni fedeli lamentano l’eccessiva condiscendenza della Chiesa alle restrizioni sanitarie. Che ne pensa?«Celebrare il Natale alle nove e mezza o a mezzanotte non cambia la sostanza. Però dobbiamo aiutare il nostro popolo a ritornare, pur nel rispetto delle regole, alla fisicità dell’incontro. Purtroppo, è vero: molte persone hanno abbandonato la frequenza della messa domenicale, in questo periodo di pandemia; si celebra con capienze ridotte. Ma senza fisicità, non c’è comunità e senza comunità, si torna a un rapporto individualistico con Dio, che non è ciò che Cristo ha portato nel mondo, che non rende felice nessuno».La Cei non ha esagerato, ad affermare che chi non si vaccina va contro il Vangelo?«Nel contesto attuale, io stesso, come vescovo, ho sempre sottolineato l’importanza della vaccinazione. Benché non ci sia l’obbligo di vaccinarsi, esiste un dovere morale nei confronti di sé stessi e della comunità».Non ha percepito una straniante retorica religiosa attorno al vaccino? Una sorta di messianismo sanitario?«Sì. Si è pensato che il vaccino fosse la salvezza. Esso è indubbiamente un aiuto, dopodiché il concetto di salvezza è più ampio. Altrimenti, dovremmo pensare che chi, pur vaccinandosi, ricade nelle conseguenze gravi del Covid e muore, come pure è accaduto, non sia “salvato”. Qui sta il problema».Cioè?«Invece di onorare la dedizione degli scienziati, si è elevata la scienza a religione e si sono trasformati i suoi proclami in dogmi».Oggi approderà in Parlamento la legge sul fine vita. Perché la Chiesa continua a opporsi a suicidio assistito ed eutanasia attiva? Per quale motivo bisogna imporre a malati, estremamente sofferenti, di abbracciare quella loro croce?«Non possiamo disporre a piacimento della vita. Quello che possiamo fare, è curare i malati, nel senso di prendercene cura. Oggi, con cure palliative e terapia del dolore, si può fare molto per alleviare la sofferenza delle persone. Ciò che temo, è che con un allentamento di questo principio fondamentale, si apra la strada a una concezione per cui ogni uomo può disporre della vita di altri uomini. Daremmo in mano a chi è più forte la vita di chi è più debole».Negli Usa, la Corte Suprema potrebbe rimettere in discussione la liberalizzazione dell’aborto. In Europa, permane una tensione tra i più liberali Paesi occidentali e l’Est conservatore. Per concentrarci sul diritto all’autodeterminazione della donna, ci eravamo dimenticati del diritto alla vita dei nascituri?«Ma è proprio di questo diritto che dovremmo preoccuparci, perché i nascituri sono i veri poveri, quelli che non possono difendersi».L’aborto non è un diritto acquisito? «No, l’aborto non è un diritto; è un dramma».
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