2020-07-13
Gianni Cuperlo: «Sono un cassintegrato di Renzi»
L'ex deputato: «Il senatore mi tolse il posto da dirigente e mi mise a zero ore, senza stipendio. Ora ho il 50% del sussidio. Le regionali? Iv s'allea con noi solo dove pensa di vincere. Ma guai a fidarsi dei sondaggi».Onorevole Cuperlo...(Ride) «Non sono più onorevole. Né di nome né di fatto». Sui social si è diffusa questa voce: lei è cassaintegrato. «Non è una voce. Io sono un cassaintegrato: privilegiato, ma quello sono, sia dal punto di vista tecnico che economico. Solo da poco, ho ricominciato a respirare». Gianni Cuperlo, dirigente del Pd, ma atipico: ha rifiutato un collegio che (all'epoca) era blindato per cedere il posto a un altro. Si è dimesso da presidente del partito. Ha rifiutato di fare il ministro nel governo Conte bis. Oggi si ritrova in questa situazione tutta particolare, quasi un piccolo apologo sulla politica dopo l'arrivo dei «barbari». Ma lei, dopo una vita da funzionario, non era deputato?«Esatto. Per molti suonerà una bestemmia, ma considero la politica una professione nobile. L'ho esercitata con rigore, sobriamente, e non mi sono arricchito, anzi». Si è laureato a pieni voti, al Dams. Avrebbe potuto avere una agiata carriera accademica o trovare una professione redditizia. «Non voglio dare impressioni lacrimevoli. Ho avuto la possibilità e l'onore di essere l'ultimo segretario della Fgci, non avrei rinunciato per nulla al mondo». Questo la fa diventare un funzionario di Botteghe Oscure, poi uno strettissimo collaboratore nella squadra dei cosiddetti «lothar dalemiani», dove lei era l'unico con i capelli tra Claudio Velardi, Fabrizio Rondolino e Nicola Latorre.(Ride) «Tutto vero, a patto di non ammantare questo dettaglio di qualche significato politico». Corsi e ricorsi storici. Perdete le elezioni regionali del 2000 e D'Alema si deve dimettere dopo aver detto che avrebbe vinto nove a sei!«Arrivammo a dire addirittura che avremmo vinto undici a quattro, poi correggemmo il tiro. Il risultato fu effettivamente nove a sei, ma per Silvio Berlusconi». Come è possibile? Avevate ripetuto che le amministrative non contano sul governo nazionale. «Ci sono due risposte diverse. La prima tecnica: tutti i nostri sondaggi pronosticavano quel risultato, ma solo perché testavamo la popolarità dei candidati presidenti mentre quello fu un voto politico». La seconda? «È politica appunto: Massimo D'Alema, che era un premier non eletto nelle urne, contava su quel voto per ottenere una legittimazione piena». Mi ricorda qualcosa. (Sorride) «Da allora consiglio molta prudenza sui sondaggi». All'inizio dell'era di Matteo Renzi lei lo sfida alle primarie e perde. (Ride) «Vero. Pensi che c'era un sondaggio che mi dava vincente anche lì. Una vera maledizione». Ma resta il leader della minoranza interna: avrebbe avuto, in virtù di questo, seggio e incarico di partito assicurati. Perché, allora, si dimette da presidente del partito in polemica con Renzi? «Non mi piaceva il modo cesaristico in cui Matteo guidava il Pd». Poi rinuncia a un seggio certo a Sassuolo, una storia folle.«C'era stata la famosa notte delle candidature, quando non ci venne data neppure la possibilità di leggere i nomi dei candidati. Lorenzo Guerini li elencò a voce e a richiesta di Andrea Orlando, Michele Emiliano e mia di una pausa che consentisse di avere gli elenchi ci venne risposto che non c'era tempo. Ce ne siamo andati senza votare e il giorno dopo ho cortesemente “restituito" il collegio sicuro». Incredibilmente quel «collegio blindato» fu perso. «Era il 2018, l'onda del M5s era alta anche in Emilia Romagna, un segnale di protesta contro di noi, e infatti quello è stato il peggiore risultato della sinistra dopo il 1924, che vuol dire legge Acerbo e listone del fascio». Così torna al suo lavoro. Che però non esisteva più. «Le ultime gestioni avevano prodotto un cambio radicale, fino ad abrogare del tutto il finanziamento pubblico. Poi ci si era messa la campagna costosa del referendum costituzionale. Risultato, un cambio radicale del modello partito».Lei da dirigente aveva un ottimo stipendio. Se avesse puntato i piedi, come leader della minoranza, avrebbe potuto mantenerlo. «Mi consideravo un privilegiato, da ex parlamentare, in un quadro drammatico in cui al Nazareno due su tre finivano in cassa. E...».E poi? «Avrei preferito contrattare una cassa integrazione al 50% perché comunque da quando è finita la legislatura ho lavorato come sempre tutti i giorni». Però? «Mi venne spiegato, con garbo, che da ex parlamentare andare in cassa integrazione a zero ore e senza stipendio era una scelta “opportuna" prima di tutto per me perché mi avrebbe preservato da polemiche interne e dalla possibilità di diventare un bersaglio molto vulnerabile, anche sui social». È stato amabilmente ricattato. «No, nel modo più assoluto. Era un ragionamento schietto, diciamo che sono tra i pochi, forse il solo, ad aver conosciuto la cassa integrazione a zero ore “per il mio bene"».Lei passa dal super stipendio da deputato a zero ore nel Pd renziano? «Veramente quando io rientro al Nazareno, Renzi è alla fine della sua stagione alla guida del partito». Perché non lo ha denunciato? «Ho sempre pensato, per la scuola che ho avuto, che non si fa politica sui casi personali. Se non me lo fosse venuto a chiedere, non ne avrei parlato mai». Una domanda indiscreta, allora: come ha campato? Avendo una figlia che studiava, a Torino, non potendo fare altri lavori perché continuava a essere un dirigente politico impegnato a tempo pieno... «Malgrado il taglio di ogni vitalizio avevo una risorsa: la liquidazione accumulata da parlamentare». Non parliamo di grandi cifre: 50.000 euro in due anni? «Una somma maggiore».Situazione patrimoniale? «Non ho una casa di proprietà».E dove vive? «Non mi lamento: ho un appartamento in affitto a Roma, 90 metri quadri». Altri beni? «Una vespa 300 di cui sono molto orgoglioso, sfreccio tuttora sulle strade della Capitale». E la macchina?«Ho rottamato la mia Mercedes classe A acquistata usata nel 1999, e tenuta fino al 2020. Un record».Non l'aveva acquistata da Renzi, dunque. «Non sia malizioso. Ha ceduto nel 2020, quando è crollato fisicamente il serbatoio». E che ha fatto? «Ho rottamato questa eroica compagna. Adesso però, avendo due cani mi sono pentito. Se qualche lettore della Verità ha una buona monovolume a prezzo di occasione, se ne può parlare». Nel 2018 vince Nicola Zingaretti e lei torna maggioranza nel partito, poteva ritornare anche full time. Con Luigi Zanda non ci sono stati ricatti. «Ma glielo ripeto, quel termine non è mai esistito. Però la situazione che Luigi aveva ereditato era grave. Sono stato io a pormi un problema rispetto a tanti altri compagni che avendo stipendi più bassi». E quindi? «All'inizio ho recuperato il 50% della cassa e poi sono salito anche per l'incarico alla guida della fondazione. Si è trattato comunque di un bel salto». Tuttavia, in questa condizione si permette il lusso di non accettare un posto da ministro. «Telese! Noi ci conosciamo da anni: pensa davvero che io potrei scegliere un ruolo a partire dallo stipendio? Zingaretti mi ha dato l'incarico della fondazione che ho vissuto con passione costruendo la tre giorni di Bologna a novembre e ora un ciclo di formazione sul mondo del dopo Covid. Non mi sono mai vergognato di essere un uomo di partito. Posso dirle perché ho accettato questa intervista?».Certo. «Non perché ci sia nulla di grave che riguarda la mia vita. Io mi considero un privilegiato, gliel'ho detto. Il tema riguarda l'Italia, il sistema Paese, la politica. Non tutti possono avere la fortuna e le opportunità che ho avuto io. Ma l'esperienza degli ultimi anni ci dice che in politica - a destra e a sinistra - ci servono i migliori, non chi passa». Quando dominava la furia anticasta era un ragionamento impossibile da fare. «Leggo che persino Forza Italia, il partito dell'uomo più ricco d'Italia, è in difficoltà. Oggi il vento è cambiato. La gente si chiede: ma chi governerà sarà in grado di farlo? Anche il M5s, su questo, ha imparato che non si improvvisa». Vuole tornare al finanziamento dei partiti? «Non sfiderei gli italiani a un voto su Gesù o Barabba. Mi piace il modello tedesco, quello delle fondazioni. Si rimborsano le spese, non si danno contributi a fondo perduto». Una cosa utile della sua esperienza? «Sono tornato a fare il funzionario nel mondo reale. Sono un cittadino come gli altri. Meno garantito di un deputato del M5s». Ma è stato il suo Pd, non Beppe Grillo, ad azzerare il finanziamento pubblico!«Lo so. Questo fa parte della subalternità culturale con cui noi abbiamo vissuto il tema della rappresentanza».Chiudiamo con la politica di oggi. Alle regionali siete senza Italia viva quasi dappertutto. «Non mi spiego la logica di una alleanza a macchia di leopardo. E nemmeno “il metodo Renzi"». Cioè? «Si allea dove crede di vincere sicuro e non si allea dove pensa di perdere». Vorrebbe un alleato leale. «Temo altro. La cosa più grave, oggi, è la guerra tra università del Nord e del Sud». Perché la Regione siciliana ha stanziato un fondo di defiscalizzazione cancellando le tasse per chi torna?«I rettori del Nord parlano di concorrenza sleale. Penso anche all'uscita di Beppe Sala sulle gabbie salariali del pubblico». E che conseguenza ne trae? «Sono segnali preoccupanti. Senza una guida forte la fuoriuscita dal Covid può essere un detonatore che divide ancora di più il Paese».
(Ansa)
L'ad di Cassa Depositi e Prestiti: «Intesa con Confindustria per far crescere le imprese italiane, anche le più piccole e anche all'estero». Presentato il roadshow per illustrare le opportunità di sostegno.
Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)