2021-11-08
Gianfranco Rotondi: «Senza Draghi, al Colle va Berlusconi»
Gianfranco Rotondi (Ansa)
Il deputato di Fi: «Se il premier diventasse presidente si voterebbe, e per i grillini addio pensione. Si sfideranno un candidato di centrodestra e uno di centrosinistra: gli scontri fanno bene. E la vittoria del Cav non è esclusa»Gianfranco Rotondi, approfittando della sua arguzia avellinese, vorremmo da lei un manuale di sopravvivenza per la corsa al Quirinale. Da dove cominciamo? «La gara per il Quirinale è un classico italiano. Sono in Parlamento da vent'anni, ho vissuto l'elezione dei capi di Stato della Seconda repubblica. E avendo frequentato molti vecchi democristiani, dispongo dei loro ricordi anche sulla Prima. Sono mesi in cui può accadere di tutto».E stavolta fare previsioni sembra più complicato del solito. «Lei dice? A me invece stavolta lo scenario sembra chiaro, come quando le nubi concedono uno squarcio nel cielo: l'alternativa secca è tra il “metodo Cossiga" e il “metodo Leone"». Cominciamo dal «metodo Cossiga». «Fu quello con il quale Ciriaco De Mita impose brillantemente l'elezione di Francesco Cossiga in prima votazione, praticamente all'unanimità. Un metodo applicato anche con Carlo Azeglio Ciampi». Le sembra un sistema applicabile anche oggi?«Sì, se la maggioranza si compatta su un nome con l'assenso dell'opposizione di Giorgia Meloni. E in questo caso l'unica candidatura sul tavolo sarebbe ovviamente quella di Mario Draghi». Un semipresidenzialismo «de facto», come dice Giancarlo Giorgetti? «Non vedo il rischio di un Colle senza regole. Sarebbe semplicemente un presidente autorevole, una figura quasi regale». Appunto: non ha paura che governi dal Quirinale?«Presidenti interventisti ce ne sono stati. Presidenti governanti non possono esistere. Nemmeno Giorgio Napolitano e Oscar Luigi Scalfaro lo furono». Se Draghi lascia Palazzo Chigi per il Colle, la legislatura sopravvive? «Sul piano procedurale sarebbe possibile, affidando l'incarico a un tecnico: ma sul piano politico no. La legislatura non durerebbe, perché le forze politiche sono troppo stressate. Ha visto cosa sta accadendo nella Lega, in Forza Italia, per non parlare del Pd?».In che senso stressate?«Draghi costringe i partiti a governare senza comandare. E quelli soffrono. Difficilmente accetteranno un altro giro a queste condizioni. Dunque in caso di elezione al Colle di Draghi, per me il voto non è uno scenario impossibile. Però…».…Però buona parte dei parlamentari deve maturare la pensione. La poltrona non la molleranno così facilmente per andare alle urne. «I grillini avevano annunciato che avrebbero abolito i vitalizi, ma in realtà hanno ridotto i vitalizi dei vecchi parlamentari e hanno blindato i loro. Il solo rischio di veder sciolte le Camere porterà a cercare soluzioni diverse. E quindi arriviamo alla seconda strada, il “metodo Leone"». Proviamo a immaginarlo: Draghi resta a Palazzo Chigi, i generali dei partiti non controllano più le truppe. In questo caso che si fa?«In questo caos magmatico, nelle prime tre votazioni i partiti resterebbero a carte coperte. Potrebbero marcare il territorio, come i gatti, con delle candidature di area. Più probabilmente assisteremmo a una pioggia di schede bianche, perché nel buio pesto non si sa mai. E poi alla quarta votazione ci sarebbe un ballottaggio tra un candidato di centrodestra e uno di centrosinistra». Uno scontro drammatico? «No, che drammatico. Pensare che lo scontro politico produca un cattivo presidente è un codice retorico di cui dobbiamo liberarci. Penso a grandi figure come Giuseppe Saragat e Giovanni Leone, emerse da scontri all'arma bianca. Il valore della terzietà di un presidente si conquista durante il settennato, non necessariamente all'atto dell'elezione. Chi oggi viene percepito come divisivo può diventare uno straordinario presidente unificatore». E a questo punto della storia entrerebbe in scena la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, giusto? «All'inizio sono stato il primo a pensarlo: oggi lo dicono tutti. E io, in questa battaglia, mi fido di Salvini e Meloni. Secondo me loro ci credono davvero: non lo dicono per compiacere Berlusconi».Una sorta di seconda discesa in campo? «No, aspetti. Chi l'ha detto che Berlusconi deve materialmente scendere in campo? Quando i capicorrente della Dc andarono a casa di Aldo Moro per proporgli il Quirinale, lui li lasciò sul pianerottolo senza farli entrare, e disse: “Grazie della visita, ma al Quirinale non ci si candida: si viene candidati"». Vero fino a un certo punto…«Difatti subito dopo Carlo Donat Cattin bussò ancora alla porta di Moro e disse: “Aldo, volevo solo dirti che per fare figli bisogna fottere". Ecco, mi permetto di dire che questo consiglio, per Berlusconi, suonerebbe pleonastico». Circolano i nomi di Giuliano Amato e Pierfrancesco Casini. Figure meno divisive di Berlusconi. «Ma perché sarebbe divisivo? Dobbiamo trovare un candidato che dopo 27 anni “costituzionalizzi" il centrodestra. Dobbiamo superare il vulnus per cui il capo dello Stato deve necessariamente arrivare dalla sinistra democristiana. Chi meglio di lui? Sarebbe un momento di pacificazione nazionale dopo anni di eccezionalità». Pensa sia davvero fattibile? «Aggiungo un particolare: il centrodestra ama presentarsi come alfiere del presidenzialismo, che da decenni resta sulla carta. Ebbene, un signor presidente di 86 anni sarebbe l'unico a poter prendere l'impegno di dimettersi appena venisse deliberata dal Parlamento la riforma costituzionale presidenziale». Sì, ma dove andrebbe a prendere quei 50 voti mancanti per essere eletto? «Non lo so. Ma la simpatia e il carisma di Berlusconi entrano dove non immagini. Posso raccontarle un episodio commovente?». Commuoviamoci pure. «In un periodo in cui Berlusconi non stava bene, mi trovavo in un'occasione mondana insieme con alcuni giudici comunisti. Uno di loro, volto noto oggi in pensione, mi prese da parte e mi disse: “Non glielo dica, ma siamo preoccupati per la salute di Berlusconi". E aggiunse: “Al di là delle opinioni diverse, ci ha sempre rispettato, anche quando era al governo"».Morale della favola? «Mi creda: il “trauma" di vedere Berlusconi al Quirinale durerebbe soltanto 48 ore». Non sarebbe più semplice chiedere al presidente Sergio Mattarella di restare ancora un poco a Palazzo?«Come quando l'ospite è sulla soglia di casa con le valigie pronte, e gli si dice: “Ma dai, già te ne vai, perché non resti"? Nulla più che un codice di galateo, applicato in questi giorni da molti politici». Ce la vede la Lega nel Ppe?«Farebbe un affare. Ma Matteo Salvini rema contro, e siccome la Lega è ancora Salvini, il tema è archiviato. A me piaceva molto la sua idea di nazionalizzare la Lega: poi si è perso via. Invece di percorrere la filiera popolare che gli avrebbe fatto mettere radici anche nel Sud, ha preferito l'estremismo di destra, che non porta da nessuna parte. Anzi, nel Mezzogiorno porta a qualche indirizzo noto ai cronisti giudiziari». La tregua con Giorgetti durerà?«Una volta Forlani disse a De Mita: “Noi due andiamo d'accordo anche quando non andiamo d'accordo". Penso che valga anche per Salvini e Giorgetti». E Giorgia Meloni? «C'è sovranismo e sovranismo. Giorgia Meloni a parole lo è, ma a differenza di Salvini guida un gruppo conservatore europeo legittimato al pari del Ppe. Angela Merkel con la Meloni ci parla, con Salvini no». Che cos'è la «Variante Dc» che dà il titolo al suo ultimo libro? «Racconto la vita dei democristiani senza più la Dc, dal 1994 in poi. È la storia di un partito che non c'è più e di un altro che non c'è ancora. Il centrodestra non ha mai accettato fino in fondo l'eredità democristiana». Cosa avrebbe dovuto fare? «Dire una cosa del tipo: dottrina sociale della Chiesa? Nostra. Partito popolare europeo? Nostro. Sussidiarietà, interclassismo? Nostri. Il vecchio Popolo della libertà ci aveva provato, e infatti arrivò a percentuali da vecchia Dc. Solo grazie a Berlusconi c'è stato un centrodestra di ispirazione moderata e cristiana».Dunque spera in un ritorno del grande centro?«No, io al centro non ci ho mai creduto. Io credo in un partito unico di centrodestra. La Merkel lo ha fatto, in Austria e in Spagna lo hanno fatto. Noi democristiani italiani siamo l'eccezione: abbiamo voluto l'Europa ma non ci siamo adeguati ai canoni della politica europea». Forza Italia ha i numeri per essere il motore di un partito unico? «Vantiamo i ministri migliori e una grande classe dirigente. Abbiamo tutto: tranne che i voti. Se il centrodestra apre il cantiere del partito unitario io ci sarò, come sempre». Bisognerà federarsi con tanti altri personaggi? «Federarsi con Casini, Calenda, Renzi, come un catalogo di Vip? Sommando miserie si ottiene solo una miseria più vistosa. Io pongo una domanda molto semplice ai miei colleghi: chi ha voglia di essere maggioranza? Chi ha le palle di puntare al 40% con un unico partito, come ha fatto Berlusconi?».