
L'ex direttore del Corsera: «Se non sarà in deficit, l'Europa non può protestare. I soldi? Bisogna cercarli in mezzo ai 54 miliardi di detrazioni e deduzioni che spesso sono solo regali. Il populismo? Colpa delle élite».«Il governo deve sfidare l'Europa, ma con intelligenza». I sovranismi? «Non sono un errore della storia, c'è chi ha preparato loro il campo». La sinistra ha dimenticato gli italiani? «Anche noi giornalisti dovremmo fare autocritica: non abbiamo saputo comprendere la parte più sofferente del Paese, quella che si sente incapace di decidere della propria vita». Eppure, nonostante il momento delicatissimo, l'Italia non è perduta. Lo dice e lo scrive Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, presidente di Vidas e autore di un saggio dal titolo che oggi suona quasi fantascientifico: Ci salveremo. Appunti per una riscossa critica (Garzanti). La lettera del premier a Bruxelles. La gita di Matteo Salvini a Washington. La minaccia della procedura di infrazione sui conti. Il destino del governo ancora avvolto nell'incertezza. Crede ancora nel lieto fine, anche in questi giorni di tensione con l'Europa?«Credo che gli spazi per la trattativa ci siano. Se andiamo a guardare, alla fine i dirigenti europei non ci stanno chiedendo grandi sforzi. Solo alcuni miliardi, reperibili tentando una spending review, un contenimento delle spese». Questo mentre il Tesoro chiede alla Cassa depositi e prestiti un'extra cedola da 960 milioni. «Ecco, questa mi sembra una scorciatoia molto pericolosa. Si rischia di far passare la Cdp per una banca di Stato». Se l'Europa ci punisse, affonderebbe con noi? «L'Europa ha tutto l'interesse a non esasperare i toni di un conflitto con l'Italia, quindi non penso voglia metterci in un angolo. Non siamo certo la Grecia». Anzi. «Dal punto di vista della bilancia commerciale siamo in una situazione più equilibrata rispetto al 2011. Dunque spero prevalga il buon senso. Poi si potrà tentare benissimo l'introduzione della flat tax, come vorrebbe Matteo Salvini». Ci sono davvero le condizioni per una riduzione delle aliquote?«Sì, se Salvini dicesse: facciamola, ma non in deficit. Prima tagliamo le spese, e poi riduciamo le tasse. Se facessimo questo discorso, l'Europa non potrebbe dirci di no». Tagliamo le spese, dunque. Ma quali?«Le possibilità ci sono. Abbiamo detrazioni e deduzioni per 54 miliardi l'anno, che spesso rappresentano nient'altro che un regalo ad alcune categorie. In aggiunta possiamo ridurre alcuni sussidi alle Regioni o alle aziende, peraltro già beneficiate da quota 100. E poi bisognerà fare anche un ragionamento sull'Iva». L'incubo delle clausole di salvaguardia.«Aumentare l'Iva non sarebbe uno scandalo. Ricordiamoci che l'Italia ha aliquote agevolate più basse di altri Paesi». Non affosseremmo i consumi?«Non credo, se si interviene in maniera intelligente». Fin qui la sua visione ottimistica. Ma qual è il suo timore?«L'isolamento italiano è un dato oggettivo: non facciamo parte delle famiglie europee che decideranno gli equilibri delle istituzioni. E poi c'è il rischio di perdere credibilità nei confronti della Commissione, che pure ha le sue colpe evidenti». Quest'Europa è tutta da riscrivere? «È difficile proporre una riscrittura generale delle regole europee mentre si cerca di scongiurare una procedura d'infrazione. Conta la fiducia, adesso. La credibilità che mi auguro Giuseppe Conte e Giovanni Tria possano far valere».Insomma, bisogna affrontare l'Europa con il fioretto più che con la sciabola?«Giuseppe Conte dovrebbe sfidare l'Europa chiedendo flessibilità. Ma non per finanziare le spese, bensì, ad esempio, per promuovere la digitalizzazione del Paese. Oppure per aiutare i giovani. Così facendo metteremmo in difficoltà i burocrati di Bruxelles: faremmo debito, ma sarebbe debito di qualità, poiché finalizzato agli investimenti necessari a far ripartire la crescita». Salvini a Washington ha utilizzato Donald Trump in chiave antieuropea? O forse Trump ha utilizzato Salvini?«Sia Trump sia Vladimir Putin hanno lo stesso interesse a disarticolare l'Europa. Gli americani evidentemente vogliono allontanare Salvini dalla Russia, e questa è una contraddizione che il leader della Lega prima o poi dovrà affrontare». Nel suo libro critica anche l'elite, quella «classe dirigente con i figli all'estero», graniticamente pro euro, quella che ha avuto il potere di salvarsi dalla crisi, mentre i cittadini si sono impoveriti. «La classe dirigente ha tutte le sue colpe evidenti. Spesso si dimostra italiana solo quando le conviene. Parlo anche di quelle realtà imprenditoriali che difendono il made in Italy, e poi se ne vanno in Svizzera o in Lussemburgo, ben inserite nelle reti internazionali. Di fronte a questi comportamenti non dobbiamo meravigliarci se la gente poi vota in un certo modo, o si fa prendere da dubbi legittimi sull'utilità dell'euro». Oggi la frattura è tra centro e periferia, tra ricchi e poveri?«O se preferisce, tra valle e collina. Vedo un abisso tra establishment e popolo, un distacco che in qualche modo va colmato». È la sinistra, in prima battuta, a dover prendersene carico? «Sì, ma qual è la proposta economica della sinistra italiana? Anche io francamente faccio fatica a capirlo». A sinistra si interpreta la vittoria del populismo come una malattia del Paese? «E non è così. La stagione dei sovranismi non è un incidente della storia. Sbaglieremmo nel pensare che si tratti d'una parentesi che si chiude con questo governo. Arriva da lontano. È stata preparata da altri populismi di governo, da un cattivo comportamento della classe dirigente e forse anche da una certa miopia del mondo dell'informazione». C'è un mondo di italiani a cui sono state voltate le spalle? «Questa critica ha del fondamento. Non abbiamo compreso fino in fondo il senso di esclusione di una parte del Paese, una maggioranza sofferente che non si sente più arbitra del proprio destino. Questo “spossessamento" sconfina nella solitudine, e talvolta si trasforma in indifferenza e rancore». Ci siamo fidati troppo dei numeri e troppo poco dei sentimenti delle persone?«Diciamo che come giornalisti avremmo dovuto essere più cronisti. Cioè più vicini alla gente. A volte le risposte possono essere sbagliate, ma le domande che arrivano dal popolo sono sempre legittime. E lo sono anche le paure sull'immigrazione. A prescindere dalle statistiche, il senso di insicurezza, la paura dello straniero, esiste e va compresa. E poi dovremmo occuparci un po' di più anche di un altro genere di migrazione». Quale? «Quella dei ragazzi italiani. Ci siamo persi una Regione grande come la Valle d'Aosta, fatta di laureati fuggiti all'estero. È uno spreco inaccettabile di capitale umano e finanziario. Spendiamo soldi per formare i nostri giovani, e poi li regaliamo agli altri Paesi». Insomma, prima gli italiani?«Se proprio vogliamo, mi lasci dire: “Prima i giovani italiani". Anzi, faccio una proposta: intendiamo occuparci dei due milioni e 800.000 ragazzi che non studiano e non lavorano? Chiediamo risorse straordinarie per aiutarli: nessuno in Europa potrebbe opporsi. Formiamo una sorta di esercito del bene, per effettuare una manutenzione straordinaria di questo Paese. Basterebbe un gesto di questo tipo per recuperare parte della credibilità perduta». Mentre infuriano i populismi, il mondo moderato cerca punti di riferimento. Forza Italia con una dirigenza rinnovata, da una parte, Matteo Renzi e Carlo Calenda dall'altra, intendono presidiare il centro del quadro politico. Chi prevarrà?«Forze moderate di centro sono sempre utili per riequilibrare spinte pericolose e nazionaliste. La politica è come la fisica, ci sono azioni e reazioni. Qualcosa nascerà e sarà comunque il prodotto della vitalità di questo Paese». Da dove partirà la riscossa italiana?«Dal settore del volontariato possono arrivare segnali di riscatto civico. È una realtà che spesso da 5 stelle e Lega viene vista con sospetto o accusata di buonismo. Però ha consentito di reagire alla crisi, soprattutto nelle piccole comunità. In generale credo che la società italiana sia molto più stabile della sua classe politica. Quindi il buon senso e la capacità di lavoro del nostro tessuto sociale consentiranno comunque di trovare un equilibrio. E di salvarci, senza correre rischi inutili».
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






