2022-02-14
Angelo De Mattia: «Per le bollette 7 miliardi sono niente»
Angelo De Mattia (Imagoeconomica)
L’ex direttore di Bankitalia: «Già svanita la promessa di Draghi che “i soldi si danno e non si prendono”? Troppo drastica la frenata sui superbonus. Non si vive di solo Pnrr. E l’Ue si limita a fare da spettatrice».Angelo De Mattia, da veterano e poi direttore centrale in Bankitalia avrà avuto a che fare con il costo dell’energia. Problemi che vediamo ancora oggi.«Dalle domeniche a piedi di allora alle città con le luci spente di oggi. Negli anni Settanta - prima con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro e poi con il primo shock petrolifero - il governatore Carli affrontava il problema energetico che affliggeva l’economia e quindi le banche. Si parlava di riciclaggio dei petrodollari. Allora non era una brutta espressione. Significava reinvestire gli extra profitti in tecnologie alternative. La cosiddetta tassa dello sceicco. Il club di Roma guidato da Aurelio Peccei indicava le misure da prendere. Oggi sarebbero definite “ecologiche”. La critica era di eccessivo pessimismo. Ma fra questo e non fare nulla come oggi ce ne corre».Il governo ha escluso uno scostamento di bilancio ma parla di un intervento di ampia portata. «Visco ha detto una cosa che condivido. Se L’inflazione dipendesse non solo dalla crescita del prezzo dell’energia ma anche dalla spirale interna fra salari e prezzi, toccherebbe alla Bce intervenire. Ma se il problema fosse limitato al costo dell’energia e delle materie prime, allora tocca al governo. Un intervento di appena 5-7 miliardi sarebbe ben poca cosa. Non risolutivo. A meno che non fosse soltanto uno slogan, dovrebbe essere ancora vigente il principio che “in questo momento i soldi si danno e non si prendono”. Non pecchiamo di presbiopia». Cioè?«Che vedo meglio lontano piuttosto che da vicino. Non si vive di solo Piano di ripresa e resilienza. Mi spiego meglio. Come dicevo, serve un piano organico. Misure immediate di sollievo economico e quindi uno scostamento di bilancio adeguato. Accanto a misure più strutturali che incidano sul mix energetico del Paese nel medio-termine. Misure che si raccordino con il Pnrr». L’Ue invece?«Se l’Unione Europea dice di esserci allora batta un colpo. Se ha un potere negoziale nel mercato del gas lo eserciti. Non si limiti al solo ruolo di spettatore organizzando vertici. Va di moda dire “se non ora, quando?”». Negli Usa l’inflazione è al massimo storico. Ma anche da noi. «Catene di approvvigionamento interrotte ovunque. Ma in Usa è stata immessa molta più liquidità nell’economia reale che da noi. La ripresa e le conseguenze sui prezzi sono state più rapide. La Fed sarà comprensibilmente energica. La Bce invece ha commesso due errori».Il primo?«Errore nel prevedere dinamica e livello dei prezzi. Se si parla di inflazione, si parla di Bce il cui unico mandato riguarda la stabilità dei prezzi. Non è un dettaglio».Arriviamo al secondo errore.«Comunicazione confusa. Prima tranquillizzante. L’inflazione era “transitoria”. Poi la sorpresa. Un livello maggiore delle attese. Poi di nuovo è meno drastica. Le manovre restrittive non erano ancora all’ordine del giorno. Ma senza troppa convinzione nell’escluderle. Una gran confusione che ha avuto degli impatti sui mercati».Nostalgia della comunicazione decisa di Draghi? Con il suo «Whatever it takes» e tanto di pause cinematografiche?«Si è fatto molto cinema appunto su queste dichiarazioni. Quando Draghi pronunciava quelle parole a Londra aveva le spalle coperte dalla politica. Il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo si era pronunciato espressamente pur di calmare la tempesta dello spread. Chi poteva obiettare? Quando il governatore Fazio adottava le sue decisioni sul tasso di sconto, invece, le comunicava e le spiegava solo dopo alla politica. Ne scaturiva comunque una forte condivisione seppure quelle scelte fossero state prese in autonomia ma non in modo arbitrario. Nessuna comunicazione roboante.» A Draghi piacciono i toni decisi e un po’ smargiassi tipo «non ho bisogno della politica per trovarmi un lavoro». Un po’ arrabbiato per il Quirinale che gli è stato negato?«Caduta di stile che non commento. Mi preoccupa di più la superficialità che ha portato all’arresto improvviso di una misura come il superbonus 110%. Il governo sta peccando di chiarezza nell’indicare l’impatto di frodi e malversazioni sul totale. Le stime che affiorano dagli organi di informazione sembrano più circoscritte e tali da non giustificare l’arresto di una misura di fortissimo impatto espansivo». I suoi rapporti con Draghi?«Nel mio breve periodo di convivenza a Via Nazionale il rapporto è stato di fiducia leale e di stima. Anche dopo ho sostenuto lealmente la linea della Banca. Da analista ho commentato - là dove presenti - le carenze o le criticità anche successivamente emerse in merito all’operato della vigilanza. Non mi sono mai sottratto a critiche costruttive sull’operato della Bce ieri e dell’esecutivo oggi».Torno un attimo sull’inflazione e la Bce. Cosa pensano i tedeschi?«Il pericolo non è immediato. Ma occorre cautela. La Germania è sensibile alla tutela del risparmio e soprattutto al pericolo che l’inflazione possa eroderla. La stabilità viene prima di tutto. E se i Paesi frugali assumessero una posizione comune, la spinta ad attuare misure restrittive sarebbe forte».Che succede alle nostre banche nel 2022?«La posizione patrimoniale al momento è sotto controllo, come ricordato da Visco. Se i tassi aumentano nell’immediato ne trarrebbe giovamento il margine di interesse (la differenza fra tassi sui crediti e sui depositi, ndr) ma nel medio termine ne potrebbe risentire negativamente la qualità del credito a famiglie e imprese. Una divaricazione che chiama in causa la Bce ma anche gli Stati. Le sofferenze e i crediti deteriorati dipendono anche e soprattutto dalla politica economica di bilancio di questi ultimi».Sempre a proposito dei bilanci delle banche, il ministro tedesco Lindner ha detto che gli investimenti in titoli di Stato da parte di queste ultime non saranno da considerarsi «a rischio zero» da un punto di vista di vigilanza. Le banche italiane dovrebbero mettere da parte molto più patrimonio. Brutte notizie per i loro azionisti.«Sarebbe grave e inaccettabile. La Germania ha una sua posizione. Arrivare a condividere i rischi delle banche con un’unione bancaria solo dopo aver drasticamente ridotto questi rischi al punto da rendere praticamente inutile la condivisione. L’unione bancaria prevedeva tre step. Al primo posto la vigilanza unica che tanto piaceva ai tecnocrati. Ed è stata fatta. Di fatto in un modo tale da violare apertamente i trattati e i loro principi fondanti. Alla Bce dovevano essere infatti trasferiti “compiti specifici” di vigilanza prudenziale. Non tutta la vigilanza. Questa deve essere principalmente di prossimità. Un trattato intergovernativo ha determinato questo trasferimento di competenze superando il Trattato Ue. È una violazione del principio di sussidiarietà, regola fondante della Comunità europea. Ciò che puoi fare e bene a livello nazionale non puoi trasferirlo a livello sovranazionale. Il secondo pilastro prevedeva un fondo di risoluzione unico per la soluzione delle crisi bancarie. Obiettivo raggiunto solo a metà. È stato fatto un pasticcio inserendo il paracadute del Mes. La ratifica del suo trattato è ancora in corso. E non si tiene conto della specificità delle banche. Che non sono imprese come le altre e non se ne può accettare il fallimento con leggerezza. Infine, l’assicurazione comune dei depositi. Questo progetto è in mezzo al guado».Dalle banche a una banca, Mps. Lei ha capito perché è stato allontanato l’amministratore delegato Bastianini?«No. Le motivazioni appaiono superficiali e tali da lasciare spazio a contenziosi. Sarebbero prese a pretesto alcune dichiarazioni riguardanti la sua audizione in commissione parlamentare. I poteri di quest’ultima sono peraltro equiparati a quello dell’autorità giudiziaria cui non è possibile sottrarsi anche in merito alle decisioni sulle secretazioni. Mi chiedo quanto sia fondata l’indiscrezione che vede l’allontanamento di una persona seria e preparata come Bastianini quale contropartita di “discontinuità” pur di ottenere la proroga dei termini che la Commissione sarà chiamata a concedere per la futura di vendita di Mps. Quanto al fallimento del negoziato Mps-Unicredit, il ministro dell’Economia ha concesso l’esclusiva a una controparte guidata da un negoziatore espertissimo come Orcel ponendosi peraltro il termine del 31 dicembre. Un caso di scuola su come non impostare un negoziato. Bastianini non c’entra nulla».Che fine farà Mps?«Il ministro Franco ha parlato di “partnership”. Cosa diversa dall’integrazione in altre realtà. Da evitare soluzioni tipo “spezzatino” per una realtà storica che merita rispetto. Mancano oggi adeguati strumenti normativi come il decreto Sindona. La riorganizzazione del sistema bancario promossa da Fazio dovrebbe costituire un esempio da seguire e uno stimolo da imitare. Rilevano gli interessi degli azionisti ma anche la tutela del risparmio e la salvaguardia dell’interesse delle famiglie e delle imprese clienti. In quest’ottica andranno valutate le voci non confermate di un’operazione Unicredit su Bpm. È una banca con una solida tradizione di vicinanza alle medie e piccole imprese».Il professor Giavazzi ha proposto che i titoli del debito in portafoglio alle banche nazionali siano trasferiti a un’agenzia autonoma come ad esempio il Mes. È d’accordo?«Una singolare avanscoperta per saggiare il terreno. Si tratta di capire il perché. I titoli in portafoglio di Banca d’Italia non sono debito e nemmeno un costo per il Tesoro. Non ne capisco il vantaggio. Una cosa è certa; il patto di stabilità e crescita con tutto quello che comporta in termini di penalizzazione degli investimenti pubblici o di pareggio di bilancio va superato. Non si può procedere con proposte a pezzi e bocconi».