2018-09-24
Alberto Bagnai: «Ai mercati il deficit al 2% va benissimo»
Il presidente della commissione Finanze al Senato: «Agli investitori interessa solo la crescita. Tria? Rapporti ottimi, il Def sarà compatibile con il contratto. Se si fa bene a una parte si fa bene a tutto: l'Ue agisce al contrario».Alberto Bagnai, senatore leghista e presidente della commissione Finanze di Palazzo Madama, 55 anni, ha ricevuto (anche) l'incarico di interloquire con gli investitori che detengono il nostro debito. Il dibattito sulla manovra lo vede dunque occupare una posizione estremamente delicata. Accetta un dialogo con La Verità sui temi più stringenti.Professore, spieghi ai nostri letti chi sono «i mercati». «Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare leggendo certi giornali, non sono divinità infallibili, ma esseri umani cui viene chiesto di gestire un certo ammontare di denaro per conto di altri. Uomini che, come tutti, sono esposti a errori, e devono risponderne ad altri: i clienti e gli azionisti delle loro società. Per questo motivo, la cosa che più li preoccupa è l'incertezza». Le domandano, dunque, del famoso rapporto deficit/Pil?«In realtà, ciò su cui vogliono essere rassicurati non è quale sarà il rapporto fra deficit e Pil (purché si mantenga entro i noti limiti), ma se e quanto l'Italia riuscirà a crescere per effetto della prossima manovra. Il mio lavoro è spiegare loro con trasparenza le dinamiche istituzionali e politiche della legge di bilancio in corso, partendo da qual è il mio ruolo in Parlamento, e illustrare il potenziale di crescita delle misure del contratto di governo». Ecco, il governo sta preparando il Def. Quali sono le sue aspettative sull'impostazione della manovra? «Mi aspetto sia compatibile con il contratto di governo, perché a questo il Parlamento ha impegnato il governo nelle risoluzioni sul Def approvate a Camera e Senato, e sono fiducioso che così sarà. Gli elettori capiscono che “essere compatibile con il contratto" non significa realizzare in tre mesi un programma di riforma ambizioso, articolato sui cinque anni della legislatura. Capisco che i politici del Pd ci rimproverino di non aver fatto in tre mesi quello che loro non hanno fatto in tanti anni. I nostri elettori sono migliori della nostra opposizione. Il ministro Giovanni Tria propone un approccio graduale e rispettoso delle priorità della coalizione: abolizione della Fornero e reddito di cittadinanza».Il caso Casalino impone di domandarle dei suoi rapporti con Tria. Vuole un deficit più basso?«Ottimi: sia i miei, sia quelli degli altri membri della compagine di governo. Certo, per anni ci è stato venduto come politica il pensiero unico del “non c'è alternativa", e quindi a qualche giornalista potrà sembrare strano che nel governo ci sia un dibattito. Dibattiti simili ci sono sempre stati e in democrazia è sano che ci siano. Più raro e meno sano per la democrazia è l'accanimento dei media nell'evidenziare per meri fini di bottega politica interna divisioni che non ci sono. I dibattiti sull'1,6% del rapporto deficit/Pil, cui lei accenna, o quello sull'Iva, sono pure invenzioni giornalistiche: derivano dalla strumentalizzazione di dichiarazioni che in qualche caso non sono nemmeno state fatte! Questo atteggiamento danneggia gravemente il Paese, creando gran parte di quell'incertezza che disturba i mercati. Tuttavia, come non voglio sottomettere al mercato la politica, così non voglio sottomettergli la libertà di stampa». La sua avventura politica nasce dall'impegno divulgativo sulla insostenibilità dell'euro. Adesso non vede il rischio - paradossale - che gli sforzi per migliorare le condizioni del Paese possano, se positivi, prolungare proprio la permanenza nell'eurozona che lei giudica incompatibile con lo sviluppo?«Nessun economista serio può sostenere che l'eurozona nella sua forma attuale sia sostenibile, e infatti nessuno lo fa. Non sono io a dover confermare le mie ricerche: lo fanno i fatti. Ad esempio, non era difficile prevedere che per la sinistra difendere un sistema basato sulla “svalutazione interna", cioè sul taglio dei salari, sarebbe stato un suicidio. Per questo motivo tutta l'Europa sta dando una degna sepoltura ai partiti della famiglia politica socialista, che ovunque hanno difeso questo progetto. Migliorare le condizioni dei cittadini è un nostro preciso dovere, e ci riusciremo. Non risolveremo così il problema degli squilibri che l'eurozona crea per l'economia globale: ma questi sono un problema più tedesco che italiano».Parliamo di questi «doveri»: perché la cosiddetta flat tax e il reddito di cittadinanza non sono in contrasto tra loro?«Diverse proposte di riforma del sistema fiscale italiano, da quella avanzata da Vincenzo Visco nel 2000, a quella formulata nel 2017 da Nicola Rossi per l'Istituto Bruno Leoni, prevedono sia una drastica semplificazione delle aliquote, sia un trasferimento per i redditi più bassi. Questo approccio è trasversale in termini ideologici: lo hanno proposto economisti progressisti come Anthony Atkinson, o liberisti come Milton Friedman. Non ci siamo inventati nulla. L'esigenza di semplificare e alleggerire il sistema fiscale è riconosciuta da decenni. Quella di sostenere i redditi delle famiglie, considerando che quest'anno il reddito pro capite è ancora di circa l'8% inferiore a quello pre crisi, mi sembra si imponga». L'Europa, però, non sembra essere molto d'accordo.«Voglio ricordare che i redditi delle famiglie diventano domanda di beni e quindi profitti per le imprese: l'idea che la flat tax sia “per le imprese" e il reddito di cittadinanza “per le famiglie", è un po' rudimentale. I sistemi economici sono interdipendenti: se si fa del bene a una parte, si fa del bene al tutto. È proprio il contrario della filosofia politica “europea", che pretende di fare il bene del tutto facendo il male delle parti, cioè imponendo politiche di tagli ai Paesi in difficoltà».Ma non c'è il rischio che queste misure finiscano per accrescere la produzione all'estero, proprio in ragione del funzionamento dell'eurozona da lei spesso descritto?«Qualsiasi misura che accresca il reddito accresce anche le importazioni. Tuttavia, grazie alla forza delle nostre imprese, la nostra bilancia dei pagamenti è in surplus, e questo ci dà spazio di manovra, come ha sottolineato il ministro Paolo Savona. Certo, agli interventi espansivi bisognerà aggiungere politiche industriali che eliminino le strozzature della produzione nazionale nel soddisfare la domanda interna».Sul suo blog lei aveva paventato il rischio di un'alleanza Pd-M5s, che non si è verificata. Pensa possa tornare il momento politico per questa intesa, e come giudica fin qui l'esperienza di coabitazione in maggioranza con i grillini?«So che frammenti dell'opposizione vedrebbero in un simile scenario un'occasione di riscossa, ma temo che dovranno aspettare a lungo. La coabitazione è fruttuosa, nonostante gli sforzi creativi di certa stampa per creare incidenti».Più la coabitazione è fruttuosa, più c'è attrito nel centrodestra. La settimana scorsa si è tenuto un vertice, poi però tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini è calato un certo gelo. Crede che Lega e M5s potrebbero finire nello stesso raggruppamento all'Europarlamento? E come finirà la partita a Strasburgo e Bruxelles?«Sinceramente auspico che il Pse non faccia parte della prossima maggioranza al Parlamento europeo, semplicemente perché non se lo merita. Saranno gli elettori a decidere. Non sta a me definire le strategie del partito in vista di questo obiettivo».Poco fa citava Savona: cosa pensa del suo piano «Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa» presentato in sede Ue?«Non ho avuto tempo di approfondirlo. I ritmi della vita parlamentare sono frenetici: dietro ogni singolo provvedimento portato in aula c'è un lavoro di coordinamento fra governo e maggioranza, fra partiti di maggioranza, fra uffici legislativi e relatori, eccetera. Ritengo però di conoscere il pensiero di Savona. Le sue proposte sono razionali e animate da un genuino spirito di cooperazione. Il problema resta quello dei rapporti di forze con gli altri Paesi europei».A questo proposito, la fine del Qe è alle porte. Che problemi avrà l'Italia nel finanziamento del suo debito alla fine del programma della Bce? Chi succederà a Mario Draghi, e con quali conseguenze?«Le ultime notizie sono che la signora Angela Merkel ambisce alla presidenza dell'Ue, e che quindi in Bce non andrà un tedesco. I tedeschi sono convinti che Mario Draghi li abbia danneggiati con una politica di tassi di interesse molto bassi, che hanno compromesso la sostenibilità del loro sistema pensionistico e la redditività delle loro banche. Certo, questo ha portato anche a un cambio dell'euro molto vantaggioso per l'industria tedesca. La sostenibilità del debito pubblico dipende dal rapporto fra tasso di interesse e crescita dell'economia. Se l'economia europea ripartirà, un eventuale rialzo dei tassi non creerà particolari problemi a nessun Paese membro».Cosa risponde all'Ocse che chiede di non riformare la Fornero?«Di riformare il sistema pensionistico dei suoi dipendenti: un sistema retributivo che manda in pensione già a 63 anni con il 70% dell'ultimo stipendio, applicando quota 98. Ho idea che questo trattamento sia finanziato anche dai nostri cittadini, cui non si vuole concedere quota 100. A mio avviso organi privi di responsabilità politica non dovrebbero svolgere funzione di indirizzo politico. Non vale solo per l'Ocse...». Lei ribalta i termini della questione: allora vede giusto chi sostiene che alcuni nella maggioranza intendono destabilizzare l'Ue o cercare un incidente che porti alla disgregazione dell'eurozona? «Mi sembra una bizzarra teoria del complotto. Questa coalizione è qui per durare. Non è nostro interesse creare un incidente, per prenderci la responsabilità politica di squilibri creati da scelte altrui e che stanno compromettendo la stabilità politica altrui, e penso a Francia e Germania. Chiediamo solo la cortesia di giudicarci dai risultati».