2019-12-05
L’intelligenza artificiale non legge le rughe
L'Osservatorio fondazione Prada ospita una mostra sull'Ai: un computer cerca di capire, osservando il nostro volto, chi siamo e cosa proviamo. Almeno con me la missione è fallita. La macchina non può decifrare cosa si nasconde dietro i segni del tempo.Quelli che non sono di Milano, quando vengono a Milano finiscono spesso in quello che, per i non milanesi, è il centro di Milano: piazza Duomo. Così anch'io, sabato scorso, con mia figlia e con sua mamma, dopo due giorni passati a Milano, prima di tornare in stazione per prendere il treno siamo finiti in piazza Duomo, e, da piazza Duomo, in Galleria, e, dalla Galleria, all'Osservatorio fondazione Prada, a veder cosa c'era, e abbiamo trovato una mostra che si chiama Training Humans, che è una mostra di Kate Crawford, studiosa dell'intelligenza artificiale, e Trevor Paglen, artista e ricercatore: è una mostra fotografica che riguarda le immagini di training, cioè i repertori di fotografie usati dagli scienziati per insegnare ai sistemi di intelligenza artificiale a vedere e classificare il mondo. È una mostra «su come i sistemi informatici rubano ai computer le nostre immagini, su come ci spiano e su come prendono appunti» (la definizione è di Kate Crawford). Ci sono una serie di fotografie sul modo in cui i giapponesi esprimono i sentimenti, c'è un video sulla stessa cosa riferita ai canadesi, c'è un video su un gatto che, per le prime settimane della sua vita viene tenuto in una scatola nella quale si trovano solo linee orizzontali, e, una volta liberato, vede le linee orizzontali e non quelle verticali, ci sono pannelli sul volto umano che compariva su Internet nel 2009 associato a varie parole (come looser, per esempio «sfigato») e, alla fine, c'è un grande schermo dove, se vi ci mettete davanti, un computer vi legge e vi dice chi siete e che emozione provate. A me, per esempio, il computer ha detto che sono: un «Clergyman, reverend, man of the cloth» uomo di chiesa, praticamente, un «bursar», economo, tesoriere, uno «psycholinguist», e non c'è bisogno di tradurre, un «econometric», che significa studioso di econometria, un «flautist», suonatore di flauto, uno skinhead, che ho un'età che va tra i 60 e i 100 anni, che sono un maschio, e che l'emozione che esprimevo, sabato scorso, mentre guardavo quella telecamera, era la paura. Adesso, a parte il fatto che sono calvo (skinhead), tutte le altre cose sono tutte false. Ho 56 anni, non 60, non suono il flauto ma la tromba (malissimo), non ho idea di cosa sia l'econometrica e ho un'idea vaghissima di cosa sia la psicolinguistica, sono anni e anni che non entro in una chiesa e nessuno mi ha mai scambiato per un prete, mentre più volte mi hanno scambiato per un ferroviere, mi vesto un po' come un ferroviere, credo, ho quell'eleganza da ferroviere che fa si che ogni tanto, in stazione, mi chiedano delle informazioni che non sono, purtroppo, in grado di dare. Quindi, con me, quella macchina messa in piedi dallo staff di Training Humans si è sbagliata. Anche Togliatti è stata definita «psycholinguist», oltre che, chissà perché, «flatmate», coinquilina, mente la Battaglia, che di anni ne ha appena compiuti 15, è stata definita, giustamente, «lass» (fanciulla), e, esagerando appena, «woman», «adult female». Allora, a me, l'altro giorno, nella strada che dall'Osservatorio fondazione Prada va alla Stazione Centrale, son venute in mente due cose, che si riferiscono a un unico fatto che noi, quello che siamo, le diversità tra me e un mio coetaneo, che sia più o meno «skinhead» come me, sono in alcuni segni, che ho sulla faccia e sulla testa, e sulle mani, e sulle gambe, e sulla schiena, e sono segni che le macchine, forse, fanno ancora fatica a decifrare, e che hanno a che fare con due episodi della mia vita che per me, nella miseria della mia biografia, son memorabili. Una decina di anni fa, quando la Battaglia di anni ne aveva 5, eravamo in bicicletta, lei era su uno di quei seggiolini che si metton davanti, sul manubrio, io non la vedevo in faccia ma sentivo quel che diceva e a un certo punto l'ho sentita dire «Io non le voglio, le righe», e io, non capivo, le ho chiesto «Che righe?», e lei mi ha detto «Le righe che ci son sulla faccia», e io ho capito che voleva dir le rughe e le ho detto «Ah, va bene, non c'è problema, ci son dei medici che ti addormentano, quando sei grande che cominciano a venirti le righe, ti taglian la faccia, ti cuciono che non si vede niente quando ti svegli hai una pelle liscissima che sei senza righe». Lei ha taciuto un po' e poi alla fine mi ha detto «No, io le voglio, le righe», e io le ho detto che anch'io le volevo, le righe, perché erano la mappa della mia vita. C'è una signora russa, che si chiamava Christina Danilovna Alcevskaja, che, nella seconda metà dell'ottocento, di fronte a Fëdor Michajlovic Dostoevskij, al «suo volto sofferente, ai suoi bassi, piccoli occhi infossati, alle sue rughe profonde, ciascuna delle quali sembra abbia una sua biografia», capisce che Dostoevskij è una persona che ha «molto pensato, molto sofferto, molto sopportato», e questo si legge nelle sue rughe, in quelle «righe» che i sistemi informatici forse fanno ancora fatica a decifrare. Questo per quel che riguarda i segni sulla faccia. Per via dei segni sulla testa, sulle mani, sulle gambe e sulla schiena, hanno a che fare con un verso di Boris Pasternak che chiude una poesia che si intitola Amleto, e il verso dice «Vivere una vita non è attraversare un campo». E dipendono, i segni, dal fatto che, 20 anni fa, nel 1999, mi sono ustionato, mi è bruciata la macchina e io c'ero dentro, e mi mancava un terzo della pelle, al posto della pelle avevo la carne viva, ho fatto 77 giorni di ospedale e sette operazioni, ed è stato il periodo più doloroso della mia vita, soprattutto i primi 30 giorni, che io ero tutto bendato, e tutti i giorni mi dovevano sbendare e ribendare, per lavarmi, e le bende, nella notte, con il sangue e con il pus, si erano attaccate, e, a staccarle, facevano un male che io non ho mai provato un male del genere, nella mia vita, e solo a pensarci, a quel male lì, io mi commuovo. Le infermiere, dopo, quando ero guarito, mi dicevano che, quei primi giorni, faceva impressione la mia faccia, quando arrivavo nel lavatoio, «Avevi una paura»; quella, era paura, per la prossima versione di Training humans consiglio di andare nei reparti grandi ustionati, a tirar giù le espressioni. È stato il periodo che ho conosciuto la morfina, ho scoperto che mi piace moltissimo, la morfina, sono così simpatico, subito dopo che mi hanno iniettato una dose di morfina, sono così curioso, del mondo, ma, morfina a parte, quel periodo lì, quel male lì, che c'era tutti i giorni, che mi veniva da strapparmi i capelli, anche con la morfina, e che quando passava io sapevo benissimo che il giorno dopo sarebbe ritornato, io tutti i giorni mi ripetevo «Vivere una vita non è attraversare un campo, vivere una vita non è attraversare un campo, vivere una vita non è attraversare un campo», e quel verso lì di Pasternak mi è sembrato di capirlo solo allora. Ecco, questo ho pensato venendo dalla mostra Training humans, all'Osservatorio fondazione Prada, bellissima mostra, bisogna anche dire. (4. Continua)
Siska De Ruysscher @Instagram
(Esercito Italiano)
Si è conclusa nei giorni scorsi in Slovenia l’esercitazione internazionale «Triglav Star 2025», che per circa tre settimane ha visto impegnato un plotone del 5° Reggimento Alpini al fianco di unità spagnole, slovene e ungheresi.
L'esercitazione si è articolata in due moduli: il primo dedicato alla mobilità in ambiente montano, finalizzato ad affinare le capacità tecniche di movimento su terreni impervi e difficilmente accessibili; il secondo focalizzato sulla condotta di operazioni offensive tra unità contrapposte. L’area delle esercitazioni ha compreso l’altopiano della Jelovica, nella regione di Gorenjska, e il massiccio del Ratitovec, tra i 900 e i 1.700 metri di altitudine.
La «Triglav Star 2025» è culminata in un’esercitazione continuativa durata 72 ore, durante la quale i militari hanno affrontato condizioni meteorologiche avverse – con terreno innevato e fangoso e intense raffiche di vento in quota. Nella fase finale, il plotone italiano è stato integrato in un complesso minore multinazionale a guida spagnola. La partecipazione di numerosi Paesi dell’Alleanza Atlantica ha rappresentato un’importante occasione di confronto, favorendo lo scambio di esperienze e competenze.
La «Triglav Star 2025» si è rivelata ottima occasione di crescita, contribuendo in modo significativo a rafforzare l’integrazione e l’interoperabilità tra le forze armate dei Paesi partecipanti.
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Richard Gere con il direttore di Open Arms Oscar Camps (Getty Images)