2024-12-29
«Ecco l’indagine che costò la vita a Borsellino»
Paolo Borsellino (Getty Images)
Generale dei carabinieri riapre una pista trascurata: il magistrato sarebbe stato ucciso con la scorta per impedirgli di scoprire l’azienda infiltrata da Riina per gestire direttamente gli appalti pubblici.C’è una pista poco battuta o, forse, persino trascurata, nelle indagini che riguardano la fine di Paolo Borsellino, trucidato con la sua scorta domenica 19 luglio 1992. La Procura di Caltanissetta e la commissione Antimafia, da tempo, stanno ricercando le ragioni profonde che hanno portato all’attentato. Gli inquirenti e i famigliari del giudice assassinato hanno individuato nel dossier «mafia-appalti», realizzato dai carabinieri del Ros e visionato anche dal magistrato eroe quando era procuratore di Marsala, un possibile movente. Un’ipotesi investigativa che molti magistrati non approfondirono con la dovuta determinazione, per non dire di peggio.Eppure, per anni, molti di loro hanno negato di aver sottovalutato quel filone e hanno sostenuto che il giudice scomparso si era occupato solo marginalmente dell’indagine. Come a dire che le cosche non potevano aver deciso di ucciderlo per un’inchiesta di cui non era il titolare. Adesso, però, la testimonianza di un importante investigatore dell’epoca, il generale dei Carabinieri in pensione Domenico Strada, smentisce quella semplicistica vulgata e offre una nuova possibile lettura di quei tragici fatti. Ma soprattutto riconosce a Borsellino un’incredibile intuizione investigativa, la stessa che probabilmente lo ha condotto a morte prematura. Una ricerca che approfondiva, e non di poco, la ricostruzione dei militari del Ros sui rapporti tra mafia e imprenditoria collusa. Il sessantacinquenne alto ufficiale, pugliese di nascita, ma fiorentino d’adozione, a marzo ha inviato alla commissione Antimafia un appunto di 77 pagine (più 8 allegati), che ha come oggetto la «vicenda mafia-appalti». Negli anni ’90, in qualità di comandante della quinta sezione del Nucleo operativo di Palermo, Strada ha indagato sul condizionamento mafioso nelle gare pubbliche e si è occupato dell’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di numerosi imprenditori, fra cui Antonino Buscemi, Giovanni Bini, Agostino Catalano, Benedetto D’Agostino e l’ingegner Giuseppe Montalbano, l’uomo che tra il 1985 e il 1993 ospitò in veste di locatore Totò Riina in una villa appena acquistata. Si tratta di imprenditori coinvolti più o meno direttamente nella vicenda «mafia-appalti».Nell’appunto inviato a Palazzo San Macuto il generale evidenzia come già nei processi degli anni ’80 fosse emerso l’interesse di Cosa nostra per i lavori pubblici e descrive l’evoluzione della Piovra che, dopo aver iniziato con estorsioni e pizzo, alla fine degli anni ’90, si era messa in proprio utilizzando la Reale costruzioni, azienda con cui partecipava direttamente alle gare.Borsellino, a giudizio di Strada, sarebbe stato vicino a importanti scoperte: «Sabato 18 luglio 1992, il giorno prima della strage di via d’Amelio, prese dall’archivio della Procura di Palermo il fascicolo riguardante l’omicidio dell’imprenditore Luigi Ranieri, avvenuto a Palermo circa quattro anni prima. Lo si evince da una nota che è stata divulgata recentemente». Il riferimento è al documento mostrato in tv da Massimo Giletti, in cui si legge che il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò, il 17 ottobre 1992, era andato alla ricerca del fascicolo sul delitto Ranieri ma, al suo posto, aveva trovato un foglio «a firma autografa del dottor Borsellino, recante l’attestazione che esso (il faldone, ndr) era stato prelevato il 18 luglio 1992». Strada attribuisce un significato particolare all’interesse del magistrato ucciso per quel dossier: «Il collaboratore nisseno Leonardo Messina, nell’interrogatorio reso allo stesso Borsellino il primo luglio del 1992, affermò che l’omicidio di Ranieri doveva ricondursi all’appalto per la realizzazione di un istituto per geometri di Caltanissetta, una gara di cui Ranieri non aveva voluto discutere, facendo saltare un incontro organizzato ad hoc con i fratelli Anzalone, predestinati all’aggiudicazione, e con il garante dell’operazione, Angelo Siino». Cioè colui che all’epoca era considerato il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra. «Nello stesso verbale Messina fa anche cenno a Riina, indicandolo come "il maggiore interessato nella Calcestruzzi spa che agisce in campo nazionale"». Un rapporto, quello tra la Piovra e il gruppo Ferruzzi di Ravenna, su cui stavano indagando più Procure e che è tornato di stretta attualità grazie alle recenti investigazioni di Caltanissetta: qui magistrati (in quiescenza) del calibro di Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli sono accusati di aver cercato di mettere la mordacchia agli approfondimenti sui legami d’affari tra i fratelli Buscemi, fedelissimi di Riina, e i manager romagnoli. Continua Strada: «L’omicidio di un imprenditore dell’importanza di Ranieri non può essere ricondotto solo alla poca collaborazione mostrata in vista di una singola gara di appalto, fatto che deve essere stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E allora quali erano le vere ragioni di quel delitto? «Possono essere connesse al rifiuto opposto a una richiesta ben più importante avanzata dai vertici di Cosa nostra. In tale direzione portano le dichiarazioni di Benedetto D’Agostino, un altro importante imprenditore palermitano, di area limiana (Salvo Lima è stato un politico dc ucciso nel marzo del 1992, ndr), sul cui conto, nel 1997, con la mia sezione, effettuammo importanti approfondimenti investigativi». E che cosa aveva capito D’Agostino sulla morte dell’imprenditore? «Ha dichiarato che dopo l’omicidio del suo amico Ranieri, si era reso conto che, per operare nel delicato settore degli appalti, non bastava più pagare il pizzo, ma occorreva adeguarsi alla nuova linea strategica di Cosa nostra nel settore degli appalti. D’Agostino comprende che l’omicidio di Ranieri è sintomatico di questo cambiamento e per questo chiede consigli e protezione ad Antonino Buscemi». Per Strada le «nuove dinamiche», introdotte da Riina e intuite da D’Agostino, sono ben descritte nella sentenza emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte d’assise di Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio, nel capitolo «I mandanti della stragi». Totò ’u curtu mirava a creare un «tavolo rotondo» a cui far sedere politici e imprese nazionali e a utilizzare per gli affari una ditta riconducibile direttamente a sé, impresa individuata nella Reale costruzioni srl che, nel 1988, si era trovata sull’orlo del fallimento. L’azienda doveva sostituire nella raccolta di appalti la Impresem di Filippo Salamone, il veicolo usato dalle cosche sino agli anni ’90.A questo scopo, a partire dall’ultimo trimestre di trentasei anni fa, entrano gradualmente nella Reale come amministratori e come soci proprio Benedetto D’Agostino e Agostino Catalano, consuocero del sindaco «mafioso» di Palermo Vito Ciancimino, e, quindi, Giovanni Bini tramite la Bingo srl e la Giofin srl. Sulle quote intestate a D’Agostino, Siino ha dichiarato che di fatto questi era una prestanome di Antonino Buscemi.Una questione che Strada conosce molto bene: «Infatti nel 1998, quando la mia sezione del Nucleo operativo ha proposto l’applicazione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale, ha chiesto ed ottenuto il sequestro del capitale sociale della Reale costruzioni in quanto riferibile di fatto allo stesso Buscemi e, di conseguenza, anche a Riina. L’impresa è rimasta pienamente operativa sino al 1997, aggiudicandosi numerosi appalti e assumendo una dimensione internazionale. Per esempio, con i miei uomini, abbiamo sequestrato due lettere datate 7 agosto 1996 indirizzate alla "gentile attenzione dell’ingegner Benedetto D’Agostino presso la Sailem e la Reale Costruzioni" con cui la General consultancy services ltd di Londra, confermava l’interesse a fornire una continuativa attività di consulenza alle due società nel settore edile nei Paesi dell’Est Europa, ma anche in Brasile, Colombia e Portogallo. Alle lettere era acclusa una nota con i termini dell’accordo».Era stato il boss Giovanni Brusca a raccontare ai pm che Riina considerava la Reale una sua impresa. E aveva aggiunto che Cosa nostra aveva seguito con attenzione l’inchiesta del Ros e che la mafia era riuscita a venire in possesso di una copia dell’informativa del 1991, constatando che «non vi erano coinvolti i personaggi di maggior rilievo» e che, riassumono i giudici, «non si era approdati alla conoscenza degli effettivi livelli di interessi messi in gioco». Per questo, «mancando un pericolo immediato, si era deciso di rinviare un intervento di Cosa nostra alla fase del dibattimento per “aggiustare” il processo».In conclusione, si legge nella sentenza, «le indagini condotte dal Ros in materia di mafia e appalti non avevano ancora avuto all’epoca uno sviluppo tale da rappresentare un pericolo immediato per gli interessi strategici di Cosa nostra».Le cosche, al contrario, ritenevano molto temibile il lavoro di Borsellino. Scrivono le toghe nissene: «Le precise indicazioni provenienti dalle dichiarazioni di Brusca e di Siino hanno confermato che ancora una volta l’acume investigativo di Borsellino aveva colto nel segno, intuendo, ben al di là di quanto era emerso dal primo rapporto del Ros, quanto fosse strategico per Cosa nostra il suo coinvolgimento nella gestione degli appalti».La perspicacia, la determinazione e il ruolo del giudice determinarono la sua condanna a morte: «L’interesse mostrato anche pubblicamente da Borsellino per quel settore di indagini, unitamente all’incarico che egli ricopriva nell’ufficio titolare dell’inchiesta ed ancor più la prospettiva dell’incarico alla Procura nazionale per la quale veniva autorevolmente proposta la sua candidatura anche pubblicamente, costituivano un complesso di circostanze che facevano apparire a Cosa nostra quanto mai opportuna la realizzazione dell’attentato a quel magistrato subito dopo quello a Falcone» conclude il collegio di Caltanissetta. Oggi Strada è convinto che la vera causa della morte di Borsellino non sia da ricercare nel dossier mafia-appalti, ma in quello che ne stava derivando: «È molto probabile che Riina abbia temuto che Borsellino, avendo manifestato interesse investigativo per gli appalti, potesse individuare la sua creatura, ovvero la Reale costruzioni». Una «conoscenza degli effettivi livelli di interessi in gioco» che la mafia impedì con il sangue.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)