2024-06-04
L’incubo Stati Uniti d’Europa con la Bonino
Il partito dell’ex leader radicale vuole replicare il modello Usa, dimenticando che i Paesi del Vecchio continente hanno lingue e culture diverse. Un progetto artificiale, destinato a fallire e che fa aumentare esponenzialmente il rischio di guerre civili. Nelle miniere africane di cobalto, necessario al green, minori trasformati in schiavi. Lo speciale contiene due articoli.Il programma del partito di Emma Bonino è molto semplice da enunciare: realizzare gli Stati Uniti d’Europa, l’omologo, al di qua dell’Atlantico, degli Stati Uniti d’America. Naturalmente sapete tutti cosa c’è in mezzo tra il dire e il fare, ma non è questo il punto. Anche perché lo statista guarda oltre, e la Bonino le doti per guardare oltre le ha. Tuttavia il suo è un progetto insidiosissimo, proprio perché s’ammanta di buonissimi propositi e di altissimi ideali. Pensate che bello, tutti affiatati, in armonia e in pace, cittadini di un unico grande Stato che ha l’unico obiettivo di renderci felici e difenderci dalle insidie esterne. Giusto, solidale, moderno, e una sequela di infinite altre qualificazioni, una migliore dell’altra. Peccato che non può funzionare. Il solito disfattista, conservatore, e con la corta visione, mi dirà qualcuno. Può darsi, ma temo proprio che gli Stati Uniti d’Europa non siano né possibili, né desiderabili e, anzi, siano dannosi e fortemente a rischio di conflitti.Una delle grandi avventure che hanno occupato secoli dello scorso millennio è stata la formazione degli Stati nazionali, da alcuni qualificata con disprezzo ma, devo dire, con molta ingiustizia e irriconoscenza verso chi riuscì a realizzare le nazioni e a dare a ciascuno il senso di appartenenza a una comunità, visto che l’orgoglio del civis romanus sum, e il senso di sicurezza che quello status trasmetteva, erano ormai perduti da secoli. Per l’Italia quell’avventura fu naturalmente il nostro Risorgimento. Aver messo insieme in un unico Stato cittadini con tradizioni, cultura e, soprattutto, lingua comune è stato il passo necessario verso una società organizzata con, e guidata dallo, spirito democratico. Che, alla fine, significa partecipazione all’organizzazione della vita della comunità. La lingua comune credo sia una condizione necessaria per l’organizzazione democratica di una società. Direte: e la confederazione Svizzera, uno Stato con tre lingue? Infatti, con meno di 9 milioni di abitanti essa ha ben 26 Cantoni, ove si è chiamati a votare ogni due-tre anni. E la Cina, ove cinesi di una regione parlano una lingua non compresa da cinesi di altra regione? A parte il fatto che, se non quella parlata, la lingua scritta lì è una sola, non a caso in Cina non c’è alcuna partecipazione di popolo alle decisioni di chi è al potere, che è uno solo, capo di un partito che è unico. L’esperienza della guerra in Ucraina è un caso di scuola: componente essenziale di ciò che ha portato alla guerra civile è stata la differenza linguistica, con la parte che parla una lingua che ha fatto la guerra alla parte dell’altra lingua. Naturalmente c’è dell’altro, tanto più che ognuna delle due parti, in Ucraina, conosce la lingua dell’altra parte: cionondimeno ciascuna delle due parti si riconosce diversa dall’altra, al punto da essere incapace di superare altri dissidi e di convivere in pace.E gli Stati Uniti d’America? Lì, appunto, c’è una sola lingua. Oltre che, naturalmente, una sola storia e tradizioni comuni, anche se limitate ai pochi secoli di vita di quella nazione. I presunti Stati Uniti d’Europa non sarebbero una federazione di 50 Stati con una sola lingua come gli Usa, né di 26 Stati con tre lingue come la piccola Svizzera, ma sarebbero 26 Stati con due dozzine di lingue, e quando si aggiunge un nuovo Stato si aggiunge anche un’altra lingua. Una lingua significa anche una letteratura, una letteratura significa una cultura, e una cultura è condizione necessaria - naturalmente non sufficiente - per la convivenza pacifica. Tra coniugi, figuriamoci tra comunità.Alcuni rifiutano gli Stati Uniti d’Europa perché temono la perdita dell’identità locale e l’omogeneizzazione culturale. Ma credo sia un timore ingiustificato: talmente forte è il collante che tiene insieme le comuni tradizioni, cultura e lingua, che queste non hanno modo di essere scalfite (se non, se mai, in una scala di tempo millenaria). Il vero timore è che a fronte di una realtà ove un portoghese in Polonia si sente ed è sentito come uno straniero, si sovrapponga d’imperio una legge che obbliga a negare forzosamente questa realtà e a sentirsi cittadini di una nazione che, quando e se esisterà, lo sarà solo sulla carta. Non nelle menti e men che meno nei cuori. Ora, va bene finché tutto riga dritto. Ma se qualcosa andasse storto, la realtà del portoghese e del polacco emergerebbe sulla fantasia menzognera dell’europeo. Le conseguenze? La guerra, che si direbbe civile solo perché sarebbe tra cittadini di uno Stato detto «unito» d’imperio e contro natura. Cosa potrebbe andar storto? Mille cose. Ne dico una: in caso di conflitto con l’esterno, qualcuno potrebbe voler rimanere neutrale, ma verrebbe invece coinvolto. Il risultato? Costui percepirebbe come suo primo nemico chi lo trascina in una guerra non voluta. Il passo da queste percezioni alla guerra civile è breve. Allora, abbiamo da scegliere tra la cooperazione tra nazioni, ciascuna forte del consenso popolare dei cittadini - cosa già sperimentata con successo (la Ceca, il Mec) - e l’unione tra Stati che rinuncino al proprio potere decisionale. Il che va bene se c’è la consapevolezza che si è rinunciato alla democrazia. Ma rinunciare a essa e pretendere di convincere tutti che sarebbe una democrazia più forte sembra veramente troppo.Queste contraddizioni sono evidenti nel programma di Emma Bonino. Ove si legge: «È necessaria l’eliminazione del voto unanime in Ue»; e, poche righe sotto, a motivare la cosa e in contraddizione con essa: «Perché è necessario che la Ue parli con una unica voce». Insomma dove non c’è l’unanimità, questa sarebbe dichiarata per legge. E la cosa, nel caso specifico, non sarebbe parte della normale dinamica della democrazia, perché permane il vizio d’origine di un governo nato nella reciproca incomprensione figlia della Babele di due dozzine di diverse lingue. D’altra parte quante volte ci è stato detto: ce lo chiede l’Europa. Come dire: «Evitate di comprendere e adeguativi». Già, ma a chi e per che cosa?Per il forte potere conflittuale che porterebbero con sé, gli Stati Uniti d’Europa potrebbero essere una delle più grandi disgrazie che affliggeranno le nazioni d’Europa, più grande ancora della Unione europea che stiamo già vivendo. Non a caso il Regno Unito se n’è prudentemente e felicemente tirato fuori. Una Unione federale tra gli Stati d’Europa avrebbe vita breve, come breve fu la vita della Unione federale delle repubbliche socialiste sovietiche. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lincubo-stati-uniti-deuropa-bonino-2668451242.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-ultras-ipocriti-della-sostenibilita-muti-sui-bimbi-sfruttati-in-congo" data-post-id="2668451242" data-published-at="1717506460" data-use-pagination="False"> Gli ultras ipocriti della sostenibilità muti sui bimbi sfruttati in Congo La cosa che più colpirebbe un marziano, o semplicemente un extra europeo intellettualmente onesto, è l’ipocrisia delle regole europee in tema ambientale.Alcuni esempi rendono bene l’idea: un continente che si accinge a consentire la circolazione solo ad auto elettriche rimuove completamente i problemi ambientali della supply chain, o per dirla in italiano, dell’intero processo produttivo, che dovrebbe essere la base per scegliere tra diverse opzioni in chiave ambientale. Se ne è parlato tante volte ma ricordarlo non fa mai male.Gli ultimi dati dal mercato del cobalto indicano la produzione della Repubblica democratica del Congo in costante e forte crescita (nel 2023 è arrivata a 170.000 tonnellate); tale valore rappresenta circa il 73% della produzione mondiale.Il cobalto finisce per il 70% nel processo delle batterie, dopo essere stato raffinato e lavorato in Cina, proprietaria della quasi totalità delle miniere congolesi. Ebbene nelle miniere del Congo lavorano migliaia di bambini, trattati come schiavi. Eppure quando si parla di transizione verso la mobilità sostenibile, una mobilità che rispetti le regole Esg, tanto di moda oggi in Europa, nessuno ricorda da dove provenga e come venga prodotta la parte essenziale dell’auto elettrica. Di questi giorni l’annuncio che Fiat venderà in Europa, dal 2030, solo auto elettriche. Una strategia fantastica; per la prima volta si va contro il mercato, che ha dimostrato in tutti i modi di non gradire l’auto elettrica, ma il cliente, che una volta aveva sempre ragione, oggi non conta più, deve essere sostenibile, non può scegliere ciò che gradisce.Un altro esempio riguarda il packaging; l’Unione europea sta facendo di tutto per ridurre il packaging, mentre in India il consumo di plastica si prevede più che quintuplicato nei prossimi 30 anni. Questo perché ovviamente in India, come in buona parte del mondo, il packaging è visto come un aiuto nella lotta alle malattie da contaminazione alimentare.Continuare a guardare il proprio giardino senza guardare oltre la siepe è miope oltre che suicida. Non si capisce infatti come l’Europa possa competere con il resto del mondo che su questi temi sta procedendo molto più lentamente e coerentemente con i propri livelli di sviluppo e benessere.Ma si continua con la colpevolizzazione dei cittadini, facendoli sentire responsabili di ogni disastro ambientale, dall’alluvione perché non guidano un’auto elettrica, alla siccità perché lasciano aperto il rubinetto mentre si lavano i denti. «Il tuo gesto può fare la differenza» è il mantra che da anni ammorba la comunicazione etica; peccato che in questi giorni a Milano, città che orgogliosamente vuole diventare net zero, circolino trattori con cisterne per bagnare il verde pubblico, dopo mesi di piogge incessanti.Ormai non viene nemmeno da ridere, l’ideologia non guarda i numeri, non analizza i processi produttivi, non guarda il meteo, procede imperterrita verso un mondo più sostenibile, concetto che mi piacerebbe venisse spiegato in parole semplici. Oggi tutto è sostenibile, aver aggiunto l’aspetto sociale e di conseguenza tutta la filosofia woke fatta di rivendicazioni delle minoranze ha svuotato il senso con cui molti anni fa studiosi veri avevano posto il problema, reale, di un pianeta finito che deve fare i conti con una inevitabile scarsità di risorse. Oggi quell’approccio è stato talmente annacquato che si fa fatica a ritrovarlo nelle politiche di sostenibilità, focalizzate su alcuni punti decisi da gruppi di potere che continuano a dirci che i nostri piccoli gesti possono fare la differenza.