2024-02-01
Torna in libreria «La Dittatura» di Carl Schmitt. Un libro con una storia (italiana) misteriosa
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Carl Schmitt (YouTube). Nel riquadro la cover del libro «La Dittatura» (Laterza)
Il saggio, scritto nel 1921, attirò le attenzioni degli ambienti socialisti, ma un progetto di traduzione sfumò per via dell’assalto squadrista all’Avanti.Torna finalmente in libreria, per i tipi del Mulino, un classico del pensiero politologico e giuridico novecentesco: La Dittatura, di Carl Schmitt. Pubblicato prima da Laterza e poi, più recentemente, da Settimo Sigillo, il saggio era introvabile da tempo. E, come vedremo in seguito, si tratta anche di un libro con una curiosa storia editoriale, almeno rispetto all'Italia. Pubblicato in Germania nel 1921, il saggio mette a punto l’aspetto decisionistico del pensiero schmittiano, affrontando il nesso fra politica e diritto, fra eccezione e norma. Schmitt ripercorre la storia del concetto sin dai romani, evidenziando due accezioni differenti di dittatura, esemplificate nelle figure di Silla e Cesare. Per lo studioso tedesco bisogna distinguere tra una dittatura con mandato ben delimitato e da assolvere in un quadro politico-giuridico non messo in discussione e una dittatura che favorisce l'avvento di un nuovo assetto civile. La prima dittatura Schmitt chiama dittatura commissaria, la seconda dittatura sovrana.Nel libro Schmitt si occupa anche dell'articolo 48 della costituzione di Weimar, allora in vigore (ricordiamo che siamo a un anno dalla presa del potere del fascismo e a 12 da quella del nazionalsocialismo). Il secondo comma di questo articolo stabiliva che il presidente del Reich potesse prendere le misure necessarie al ristabilimento dell'ordine, enumerando i diritti fondamentali che potevano essere sospesi. Nel dettaglio, la Carta weimariana recitava: «Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali stabiliti dagli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153». Una clausola che ha fatto molto discutere e che è stato in seguito ritenuto all'origine del regime hitleriano (che, ricordiamolo, formalmente non abrogò mai la Costituzione di Weimar).Ma, come dicevamo, dietro a questo testo e alla sua ricezione italiana c'è una storia bizzarra e ancora avvolta nel mistero. Il 30 settembre 1921, infatti, Gustavo Sacerdote chiese una copia all'editore tedesco per conto della Libreria Avanti, legata all'allora quotidiano del Partito socialista. Non è molto chiaro se il contatto servisse solo ai fini di una recensione o anche di una traduzione. Meno chiaro ancora è quello che accadde dopo. In una lettera dello stesso Schmitt a Gianfranco Miglio, datata 3 marzo 1969, il tedesco scrive: «L'edizione italiana di questa Dittatura ha il suo destino: come mi disse l'editore tedesco nel 1922, una traduzione italiana era pronta in manoscritto e in stampa presso la tipografia Avanti (il libro era stato pubblicato in tedesco nel 1921); allora - nel 1922, prima della marcia su Roma - la tipografia fu occupata dai fascisti e il manoscritto bruciato. Fata libellorum!».La ricezione italiana di un autore considerato nazista frenata da un attacco dei fascisti! Ha commentato Carlo Galli: «Veniva così interrotta sul nascere una possibile “fortuna” di Schmitt in Italia, che si annunciava importante e promettente, data anche la straordinaria tempestività con cui la traduzione era stata eseguita. Ma né il fascismo né l’antifascismo recuperarono in seguito Die Diktatur, e la penetrazione di Schmitt in Italia fu poi condizionata non soltanto da quell’occasione perduta, ma anche da una recezione relativamente tarda e segnata dalla forte connotazione politica delle posizioni schmittiane, prima autoritarie (del genere “democrazia protetta”) poi apertamente naziste (o comunque presentate e ritenute come tali)».Antonio Caracciolo, curatore dell'edizione uscita per Settimo Sigillo, ha tuttavia smentito questa circostanza, definendola una «leggenda»: «Nella lettera del 30 settembre si accennava alla mera possibilità di una recensione sul quotidiano l’Avanti o sulla rivista Comunismo. Gli archivi della Casa Editrice Duncker & Humblot consentono di porre termine alla suggestiva leggenda e di ricondurre l’episodio alle sue reali dimensioni. L’editore tedesco rispose in data 3 ottobre 1921, annunciando la spedizione di un esemplare in Italia e comunicando lo stesso giorno a Carl Schmitt l’eventualità della traduzione italiana. Gli si consigliava anche di chiedere un onorario di autorizzazione di 1.000 DM. In data 5 agosto 1922 la Duncker & Humblot scriveva nuovamente alla casa editrice “Avanti” chiedendo informazioni sullo stato della faccenda (Angelegenheit) e comunicava al tempo stesso che sarebbero stati chiesti 1.000 DM di autorizzazione. Al che il 16 agosto il prof. Sacerdote rispondeva che una recensione del libro era “già da tempo nella scrivania (Schreibtisch) del recensore competente”. Lui si sarebbe adesso dato da fare per accelerare la “faccenda” (Angelegenheit). Dalla lettera non è chiaro se con Angelelegenheit si intende la recensione o il contratto di traduzione. Parrebbe di capire la recensione. Infatti egli scrive che “l’incendio a voi noto dell’Avanti da parte dei fascisti mi fa sorgere il dubbio che il manoscritto non esista più”».Quindi Schmitt si sarebbe ricordato, o sarebbe stato informato, in modo impreciso: ad andare bruciato non sarebbe stato il libro tradotto, ma il contratto per una traduzione che ancora non esisteva o addirittura la sola recensione. A ben vedere, tuttavia, poco cambia rispetto al fatto che fu comunque in ambito socialista che si manifestò il primo interesse per Schmitt.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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