2021-07-14
«Con i libici deve trattare Bruxelles» Il Pd apre un altro fronte nel governo
Alla vigilia dell'arrivo in Aula del decreto Missioni, nel quale si fissa anche il perimetro del supporto alla Guardia costiera locale, Letta si mette in mezzo. Una carezza alle Ong che sgambetta Draghi dopo i 5 stelle sulla giustizia.Dopo aver fallito sullo ius soli, Enrico Letta distoglie i riflettori dallo scontro sul ddl Zan e apre un nuovo fronte, schierandosi - anche stavolta - sul lato opposto a quello del governo Draghi, che lui stesso a parole sostiene. Ieri ha fatto sapere che le trattative con la Guardia costiera libica entro sei mesi dovranno essere gestite direttamente dall'Unione europea. La dichiarazione esce dal Nazerano ed è destinata a strizzare l'occhio agli elettori simpatizzanti delle Ong. Non solo. L'uscita avviene in contemporanea all'arrivo in Aula del decreto missioni, il testo che ogni anno definisce le attività militari all'estero e fissa le relative coperture economiche. Da un punto di vista tecnico, l'uscita sponsorizzata da Letta non avrà particolari impatti. Il decreto è incanalato un po' come tutti gli anni. E mira a definire i nuovi costi destinati al sostegno della Libia. La missione Mibil mira all'assistenza sanitaria (compreso l'ospedale da campo presso l'aeroporto di Misurata), ai corsi di sminamento, formazione delle forze di sicurezza, assistenza nel controllo dell'immigrazione illegale, ripristino dell'efficienza degli assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative infrastrutture, capacity building, ricognizioni sul territorio.Con una copertura finanziaria di 47 milioni euro, nel 2020 l'Italia ha partecipato alla missione con 400 unità di personale, 142 mezzi terrestri e due mezzi aerei, mentre quelli navali sono stati tratti dalle unità della precedente operazione Mare sicuro. Dentro al decreto si trova anche la copertura di spesa (parliamo di circa 10 milioni di euro) per l'assistenza alla Guardia costiera. Il dettaglio dimostra che l'Italia non versa soldi alla Libia. Si è limitata in passato a fornire vecchie motovedette. E in ogni caso il nostro Paese ha una forte base giuridica per giustificare rapporti bilaterali. Nel 2008 l'allora presidente Muhammar Gheddafi firmò con Silvio Berlusconi il trattato di amicizia tra i due Paesi. Il testo è stato approvato l'anno successivo dal Parlamento ed è diventato una legge. Legge che è ancora oggi in vigore. Uno degli articoli prevede espressamente la «cooperazione con la Grande Giamahiria in materia di lotta all'immigrazione clandestina». Inoltre, la nostra partecipazione avviene in parte sotto la bandiera europea. La missione Irini ha come principale obiettivo quello di contrastare il traffico di armi verso la Libia e far rispettare l'embargo. Durante l'ultima audizione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, alle commissioni congiunte è emersa chiaramente l'intenzione del Parlamento (condivisa dal governo) di cercare di allargare le attività di Irini, già a forte impronta italiana, fino al perimetro dell'addestramento e del monitoraggio delle autorità marittime libiche. Quindi anche della guardia costiera. Come dire, la sparata di Letta è a effetto ma dal punto di vista pratico è ciò che il governo, su mandato del Parlamento, già ha intenzione di fare. Questo non significa che l'uscita del segretario Pd debba essere sottovaluta. C'è infatti tutto il ricasco politico da valutare: tenere bordone alle Ong e chiedere la sponda dell'Ue vuol dire buttar benzina sul fuoco del populismo. Di chi è convinto che noi paghiamo la Guardia costiera. Non a caso oggi ci sono in piazza i vari sindacati, le associazioni e i politici sul modello Orfini e Boldrini. Tutti a chiedere di stoppare il decreto. «Le chiediamo di fermare questa situazione disumana», si legge in una missiva inviata da Cgil e altre sigle, «e di invertire la rotta, dando vita, con la revoca di ogni sostegno alle milizie libiche che gestiscono la Guardia costiera, a una nuova stagione dei diritti che potrebbe rappresentare una rinascita morale per l'Ue, oggi sempre più chiusa nei suoi egoismi e succube di sentimenti di odio e di razzismo». Una perfetta sintesi di chi non comprende nulla della situazione attuale. Tanto meno della difficoltà di maneggiare una situazione estremamente complessa. Il nostro Paese deve essere al primo posto in Libia così come dovrà esserlo nel Sahel. Nessuno meglio di noi stessi può difendere i confini e la stabilità del Paese. E al tempo stesso tutelare il senso della vita umana. Per capire i rischi che i nostri uomini corrono a Sud del Maghreb, bisogna andare a prendere l'ultima pubblicazione del settimanale Al Naba, unico prodotto propagandistico ufficiale distribuito dallo Stato islamico. La rivista ha colto l'opportunità della riunione ministeriale della «Coalizione anti Daesh» per diffondere minacce contro tutti gli attori che sostengono la guerra alla jihad. Al di là delle minacce al ministro Luigi Di Maio è interessante vedere che lo stesso Daesh focalizzi il Sahel come vero terreno di scontro, per la precisione nell'area che riguarderà la nostra missione Takuba. È chiaro che governo e Parlamento devo affrontare il tema Libia in modo ampio. Le relazioni con la Guardia costiera sono un elemento dell'ingranaggio. Spiace vedere che il Pd (non quello di governo) ma quello di lotta capeggiato da Letta non riesca ad alzare la testa. Così facendo rischia solo di rendere più difficili le attività estere del nostro Paese. Lasciare a Bruxelles il pallino politico significa in un sol colpo favore la Turchia di Erdogan. Senza contare che per Draghi si aggiunge un elemento in più di attrito in fase d'Aula. E non ci vorrebbe, considerato che dai 5 stelle arriveranno altre tensioni sul tema della giustizia. Tutta opposizione interna, che gli italiani avranno difficoltà a comprendere.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)