2025-02-12
Dall’Ue fiumi di soldi a quotidiani e tv per coprire di bava Ursula e colleghi
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Un’inchiesta giornalistica rivela che, prima delle elezioni europee, Bruxelles ha sborsato 132 milioni di euro per far realizzare articoli e servizi graditi. Il tutto tramite agenzia privata, che ha girato il denaro alle testate.Quest’Unione europea a volte sembra che faccia di tutto per rendere Nigel Farage un uomo infinitamente lungimirante. Il papà della Brexit, quando sedeva nel Parlamento europeo, amava ripetere che «se un’idea è davvero sensata, probabilmente diventerà parte della saggezza comune». Già, ma se al popolo l’idea non sembra sufficientemente sensata, c’è un sistema vecchio come il mondo per farla passare: pagare. A settembre del 2023, in vista delle elezioni, la Commissione Ue ha assegnato 132,8 milioni di euro a un’agenzia privata del gruppo Bolloré, Havas Media France, per parlare bene dell’Ue con una serie di articoli e servizi televisivi in linea con la propaganda «anti sovranista». Quei soldi sono arrivati anche a media italiani, ovviamente. Un nuovo capitolo di uno scandalo esploso già il mese scorso quando sono saltati fuori i contributi Ue alla lobby green per appoggiare le riforme Timmermans. I vari Altiero Spinelli, Robert Shuman e Jean Monnet si rivolterebbero nella tomba a leggere quanto ha scritto Ivo Caizzi sul Fatto Quotidiano di ieri. La maxi erogazione ai giornali-megafono per parlare bene della Commissione Ue è stata architettata da due pezzi da novanta dei popolari europei come Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, e da Ursula von der Leyen, ancora presidente della Commissione nonostante la sconfitta elettorale. I 132,8 milioni non sono stati dati direttamente ai vari media «euro entusiasti», perché questo li avrebbe resi facilmente tracciabili, ma sono stati affidati ad Havas, che ha molti meno vincoli di trasparenza e risponde solo al «cliente» di Bruxelles. Il giornale diretto da Marco Travaglio spiega che gli esborsi a Mediaset, Repubblica, Corriere della Sera, al Sole 24 Ore, all’Ansa, all’Agi e alla AdnKronos e altre testate italiane non sono facili da trovare proprio perché qui passano da una società privata e terza. Per giustificare i contributi, sarebbe stato pensato un abile mix di spazi pubblicitari acquistati da Havas e di articoli e servizi «graditi» a Bruxelles. Già nei mesi scorsi il Fatto aveva citato un caso ben preciso: Repubblica, di proprietà degli Agnelli Elkann, aveva stretto un’alleanza con il Parlamento Ue e la Commissione per pubblicare articoli sulle elezioni in cambio di denaro degli elettori stessi. Il contratto inizialmente valeva 62.000 euro e non era mai stato oggetto di gara, violando i limiti sui pagamenti diretti superiori a 14.000 euro. Ma grazie alla furbata del contratto con Havas, tutto poi è rientrato nel calderone dei 132 milioni. Se le decine di articoli-peana per Commissione e Parlamento Ue le abbiamo tutti nella memoria, anche se si pensava che fossero creazione di zelo gratuito, interessante è la scelta dell’agenzia francese. Il contratto quadro con la Commissione viene siglato il 5 settembre 2023 e non è il primo. Il 10 maggio 2022, per esempio, ecco l’annuncio dell’agenzia scorporata da Vivendi e quotata in Borsa ad Amsterdam (dove capitalizza 1,7 miliardi): «Havas International è la nuova agenzia media della Commissione Ue». L’assegnazione arriva dopo un bando Ue dell’ottobre 2021 e Havas, a partire già dal gennaio 2022, conduce una serie di campagne pubblicitarie dirette alla Generazione Z. È dunque questa assegnazione che apre la strada al contratto del settembre 2023 che serve a far girare i soldi ai giornali. Ovviamente rendendoli meno indipendenti. Per l’Unione europea questo inquietante scandalo dei fondi «coperti» per rendere la stampa compiacente non è il primo inciampo di questo 2025. Lo scorso 22 gennaio il quotidiano olandese De Telegraaf ha rivelato che l’Unione avrebbe «pagato segretamente gruppi ambientalisti per promuovere i piani verdi dell’ex commissario Frans Timmermans», un pezzo da novanta dei socialisti europei. Sono saltati fuori alcuni accordi riservati, tra cui uno da 700.000 euro per orientare il dibattito sull’agricoltura. A disposizione del Green deal e delle sue discutibili idee, la Ue avrebbe usato per anni «un fondo miliardario», come ha scritto il giornale olandese, arrivando a finanziare anche 185 diverse organizzazioni ambientaliste per la sola Nature restoration law. Che cos’è? Prendiamo da uno dei tanti siti italiani, scienzainrete.it: «Il 17 giugno è stata finalmente approvata la Nature restoration law, la legge per il ripristino degli habitat degradati in Europa, dopo un iter tortuoso e sofferto che ha in parte indebolito l’efficacia del regolamento. Un risultato importante per garantire la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e affrontare le sfide del futuro» (21 giugno 2024). Ecco, se si fa una ricerca a campione, in varie lingue, esce tutta roba del genere. Le associazioni green, comunque, dovevano dare un rendiconto preciso a Bruxelles, spiegando quali politici nazionali erano stati convinti e quali campagne erano state condotte. Nelle prossime settimane, magari, sarà possibile capire se sono stati usati sistemi del genere anche su altri temi, come l’immigrazione clandestina, ad esempio. Intanto tocca prendere atto che vendere in edicola non è più il parametro principe del successo di un giornale. Quando non ti legge più nessuno, si possono raccattare soldi altrove.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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