2020-04-22
L’euroricatto non si nasconde più. «Firmate o non pagherete i medici»
Frans Timmermans (Rita Franca/NurPhoto via Getty Images)
Domani il Consiglio decisivo. Ormai nessuno finge neppure che l'Italia possa ottenere qualcosa di buono. Non bastassero le minacce di Frans Timmermans (amico di Nicola Zingaretti) e Lorenzo Bini Smaghi, lo spread sfiora quota 270.Siamo ormai alla vigilia del Consiglio europeo. L'ennesimo appuntamento che viene annunciato come decisivo, ma che non deciderà nulla di nuovo rispetto a ciò che è stato già messo sul tavolo dei leader dall'Eurogruppo del 9 aprile: Mes e Sure a favore degli Stati e Bei a favore delle imprese. Dovrebbe poi probabilmente seguire una acrobazia verbale per fare cadere in piedi i governi - Francia, Italia e Spagna in testa - che insistono per «strumenti finanziari innovativi» per finanziare un consistente programma di investimenti per la ripresa, ma che sbatteranno contro il muro tedesco.Se va tutto bene, riceveremo il prestito dei 37 miliardi dal Mes, infilandoci nel tunnel della stretta sorveglianza prevista dal relativo Trattato e rischiando l'assoggettamento a un programma di aggiustamento appena si manifesti una minima deviazione dei nostri fondamentali economici. E con un debito/Pil proiettato al 160%, tale rischio appare concreto.I prestiti del Sure sono ancora tutti da implementare. Ci sarà da costituire il fondo di garanzia di 25 miliardi, a cui contribuiremo in modo rilevante e, quando pronto, ci indebiteremo per circa 10/12 miliardi, il necessario per finanziare forse un mese di cassa integrazione.Le garanzie della Bei, a cui pure contribuiremo, nel migliore dei casi potranno consistere in linee di credito per le nostre imprese pari a circa 15 miliardi, al netto del cofinanziamento nazionale. Complessivamente circa 65 miliardi di prestiti. Mentre si preannuncia una perdita secca pari ad almeno il 10% del Pil, circa 170 miliardi.È questo il quadro delineato da fonti citate da Reuters ieri e che, verosimilmente, sarà definito domani in videoconferenza. Invece, sul fronte degli eurobond la nebbia è fittissima e la stessa agenzia riporta che non ci sarà alcuna decisione. Sullo stesso tono anche il Financial Times che ieri riferiva di tensioni alle stelle in Europa tra i «frugal four» (Austria Danimarca, Olanda e Svezia, con la Germania alle spalle nel ruolo di poliziotto buono) e gli «amici della coesione», proprio sul tema delle risorse finanziarie da dedicare al fondo per la ripresa. Per il primo gruppo c'è spazio solo per prestiti, il secondo ambisce ad ottenere contributi a fondo perduto. Per Berlino, oltre al fondo Sure, non c'è spazio per «stregonerie finanziarie».Il progetto presentato dallo spagnolo Sanchez equivale a mettere le dita negli occhi al blocco nordico. L'idea di fare leva su una parte consistente delle risorse del Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp), su cui peraltro il conflitto dura da mesi, al fine di far partire una emissione di eurobond e finanziare investimenti, rischia di fa riemergere la profonda linea di rottura che divide gli Stati membri. Si riferiva a questo progetto il presidente Giuseppe Conte ieri in Parlamento, dichiarando di appoggiarlo. Si tratta di emettere bond senza scadenza per 1.000/1.500 miliardi, e il pagamento dei relativi interessi sarebbe garantito da nuove tasse stabilite a livello Ue. L'aspetto interessante è che queste risorse dovrebbero poi essere concesse a fondo perduto agli Stati membri, seguendo una base di ripartizione che tenga conto della percentuale della popolazione colpita dal Covid 19, del calo del Pil e dell'aumento della disoccupazione. Su questo punto si impone chiarezza. Già a fine 2011 un paper della Commissione evidenziò che l'emissione di bond con garanzia comune era possibile, a Trattati vigenti, solo utilizzando veicoli, come il Mes o anche il Sure, in cui la responsabilità degli Stati era limitata alla garanzia prestata o al capitale versato. Nessuna responsabilità solidale. E quando ieri la Merkel ha mostrato un'apertura verso gli eurobond, ha subito aggiunto «nell'ambito consentito dai Trattati», sottolineando la rigida separazione delle responsabilità degli Stati. È facile immaginare la levata di scudi tedesca se l'Italia contribuisse per il 15% al fondo di garanzia e al pagamento degli interessi sugli eurobond ma fosse destinataria del 30% dei prestiti. Chi crede nella fattibilità del piano spagnolo, pur apprezzabile, o non conosce i Trattati o vuole solo indorare la pillola per farci accettare il Mes, l'unico disponibile: quello con le regole che ti mettono sotto programma al primo stormir di fronda. L'unico protetto e definito dai Trattati vigenti.Sul fronte interno, la pressione a favore del Mes cresce di ora in ora, e i toni sono ultimativi. Accompagnata dal rombo dei tamburi dello spread che, partito da 240 ha chiuso sfiorando 270, tutta una filiera politica che culla da anni il sogno europeo, incurante dei modesti risultati, si è mossa compatta. A partire da Enrico Letta, secondo cui non possiamo più scegliere e «servono tutti gli strumenti». A cui si aggiunge Lorenzo Bini Smaghi, ammette che «si scrive Mes, ma si legge euro», definendolo uno strumento per tenerci nella gabbia dell'integrazione, costi quel che costi.Ma è l'olandese Frans Timmermans che oltrepassa il ridicolo con «Italia, accetta il Mes. Serve ai vostri veri eroi: medici e infermieri». Lo stesso che, meno di un anno fa, chiudeva con Nicola Zingaretti la campagna elettorale del Pd per le Europee («L'Europa di Frans è la mia Europa», disse il segretario dem). Lo stesso Timmermans che, come vice presidente esecutivo della Commissione, già il 1° aprile poteva darci gran parte dei 37 miliardi già disponibili nelle casse della UE per «salvare le vite», ma ce ne ha dati solo 2,3. Un bel tacer non fu mai scritto.