
Il presidente francese, dopo le bombe in Siria, all'Europarlamento agita il fantasma di conflitti civili per convincere della necessità di rafforzare l'Unione. Sugli immigrati vuole soldiper chi accoglie e dice: «Con l'Italia intesa perfetta». I grillini verso il suo gruppo.Qui, in Europa, rischiamo una «guerra civile europea», scandisce all'Europarlamento che lo accoglie con il suo presidente, Antonio Tajani.Così come il padre nobile del sogno europeo spiegava che «per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l'Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l'Unione Sovietica, da saper fare al momento buono», Macron saluta con poche sillabe decenni di retorica sul sogno di pace garantito dall'Ue e usa toni allarmati, da cittadella asserragliata da torme di nemici.Il ribaltamento sistematico è la chiave di volta del discorso del presidente francese, alle prese con dati economici piuttosto deludenti (ieri Bloomberg ha diffuso stime economiche non entusiasmanti su produzione industriale e prospettive) e con un momento di grave crisi interna per gli scioperi contro la riforma del lavoro e l'intenzione di ridurre di 120.000 unità i dipendenti pubblici. Ma non è di questo che Macron parla: agli europarlamentari propone un rilancio dell'integrazione europea come unico argine ai rischi di conflitto. L'alternativa alle istituzioni europee, anzi al «miracolo» europeo, è l'«abisso», l'assenza di democrazia, il «disordine del mondo», il «nazionalismo», l'«abbandono delle libertà». Questi sono i toni messianici, gli stessi usati alla Sorbona a settembre dello scorso anno e al Collegio dei Bernardini meno di una settimana fa, dove ha addirittura scandalizzato l'intellighenzia laicista per aver invitato la Chiesa a tuffarsi nell'agone civile e combattere, con lui e per la République, le buone battaglie. Lui, enfant prodige dell'élite, a tendere la mano alla Conferenza episcopale francese nella terra dei lumi? Non si capisce Macron senza riconoscere questa perseguita capacità linguistica e di pensiero di tentare di tenere assieme tutto: diavolo, acqua santa, benessere, taglio dei salari, lavoro, licenziamenti, euro, retorica nazionalista, inni alla gioia e marsigliesi, in nome di un volontarismo quasi tedesco nella sua cocciuta negazione del reale.Ieri ha squadernato una possibile riforma del Trattato di Dublino proponendo un «finanziamento diretto» (da coprire con nuove tasse) per i Paesi che accolgono, e pochissimo dopo ha parlato di «intesa perfetta» sul tema con l'Italia, a poco più di due settimane dall'incidente diplomatico di Bardonecchia proprio sulla gestione del flussi (per non parlare della situazione sempre critica a Ventimiglia).Sulla Siria la sensazione di straniamento aumenta, perché Macron ha rivendicato con orgoglio le bombe, volando quasi commosso su un canovaccio fatto di bambini sofferenti: «Questi bombardamenti non risolvono nulla, ma mettono fine a un sistema a cui ci eravamo abituati, secondo il quale il campo del diritto diventa il campo dei deboli». Poco dopo, il capogruppo dell'Alde Guy Verhofstadt si è in sostanza rammaricato che gli altri Paesi europei non abbiano sostenuto in massa l'attacco a Damasco.Il macronismo spiazza giocando continuamente sul filo del controintuitivo, maneggiando spericolatamente con le categorie della politica, della filosofia, della storia. Il fascino per le tensioni illiberali è il grande nemico, e il rafforzamento della sovranità europea è l'unica strada percorribile, malgrado dalla Germania arrivino segnali di totale contrasto alle maggiori condivisioni e integrazioni pure invocate da Macron. E dunque, l'Eliseo - molto gollista, in fondo - cerca altre legittimazioni in politica estera (sulla Siria ha scavalcato la Germania), in scelte neo coloniali, e riprendendosi lo scettro di guida ideale del grande sogno europeo. Altro memorabile ribaltamento: il ruolo degli intellettuali. Macron, o chi gli scrive i discorsi, cita Julien Benda e il celebre Tradimento dei chierici. «Non è la gente ad aver abbandonato l'idea europea, è il tradimento dei chierici che la minaccia». Dunque, l'antieuropeismo nel cosmo macroniano è sia populista sia intellettuale, in un continente in cui la quasi totalità di media e classe intellettuale si professa devoto alle istituzioni comunitarie.Ma l'ossimoro più straordinario è quello della «sovranità europea» per la quale bisogna combattere: un concetto che, se traslato alle estreme conseguenze, porterebbe alla totale insignificanza della carica che Macron occupa. Qui si cela però il grande tema delle nuove formazioni di Strasburgo, che si comporranno dopo le Europee del giugno 2019: faccenda che vede il francese impegnato nella creazione di un grande gruppo parlamentare che riguarda da vicino tanto il Pd quanto il M5s. Non a caso, ieri, la delegazione grillina a Bruxelles ha diramato un comunicato con gli occhi a cuore, rilanciando concretamente la possibilità che il gruppo entri nello squadrone macroniano: «Sin dal nostro ingresso al Parlamento europeo abbiamo sempre lavorato in modo costruttivo con tutti: allo stesso modo siamo pronti a collaborare con il presidente Macron per fornire il nostro contributo a un'agenda veramente europea, in grado di rilanciare un'integrazione fiaccata da anni di egoismi e politiche fallimentari» Un altro piccolo indizio dello scongelamento del Pd: non è così folle immaginare che tra un anno e poco più Matteo Renzi e Luigi Di Maio possano avere i propri parlamentari e i propri europarlamentari fianco a fianco in Italia e in Europa.
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I candidati M5s in Campania e Calabria riesumano il reddito di cittadinanza
Uno studio di Ener2Crowd fotografa le difficoltà dei giovani italiani nell’acquisto della prima casa: in molte città servono oltre 80 anni di reddito, anche con mutuo. Pesano salari bassi, precarietà e il divario tra chi riceve aiuti familiari e chi no.
Nel riquadro il console e direttore generale dell'ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia, Riccardo Tsan-Nan Lin. Sullo sfondo l'edificio dell'Onu a New York (iStock)
Alla vigilia dell’Assemblea Onu, torna il tema dell’esclusione di Taiwan dalle Nazioni Unite e dalle agenzie specializzate. L’isola, attiva in economia, sanità e tecnologia, rivendica un ruolo nella comunità internazionale nonostante le pressioni cinesi. Pubblichiamo l'intervento di Riccardo Tsan-Nan Lin, console e direttore generale dell'ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia.
Sapete che Taiwan, un Paese democratico e indipendente, una potenza economica mondiale, leader nella produzione di semiconduttori, nonché snodo fondamentale per l’aviazione civile e grande donatore di mascherine agli Stati in difficoltà durante l’emergenza Covid, è ancora esclusa dall’Onu e dalle sue agenzie specializzate come l’Icao e l’Oms?
L’80ª sessione annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA 80) si aprirà a New York il 9 settembre 2025. Eppure, nonostante Taiwan abbia sempre avuto un ruolo attivo, contribuendo in modo significativo alla comunità internazionale con eccellenti risultati in diversi campi, la sua partecipazione agli incontri ufficiali dell’Organizzazione non è consentita per ragioni puramente politiche.
Il tema dell’imminente edizione dell’Assemblea Generale, «Insieme è meglio: 80 anni e oltre per la pace, lo sviluppo e i diritti umani», suona vuoto quando 23 milioni di taiwanesi vengono esclusi dall’ONU e dalle sue agenzie. Poiché il 2025 segna l’inizio del decisivo conto alla rovescia per la scadenza degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), prevista per il 2030, l’inclusione di Taiwan è necessaria. La sua esclusione, infatti, contraddice lo spirito e mina i principi dell’Agenda 2030.
Questo isolamento forzato è parte di un problema più vasto, legato a una grave e dannosa distorsione della Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA). Tale travisamento non solo sottopone Taiwan alla coercizione cinese, che vuole affermare il proprio controllo sull’Isola, ma è anche diventato una seria minaccia allo status quo tra le due sponde dello Stretto e alla stabilità nella regione indo-pacifica.
La Risoluzione 2758 (XXVI) dell’UNGA, adottata nel 1971, affronta esclusivamente la questione della rappresentanza della Cina alle Nazioni Unite, ma non stabilisce che Taiwan sia parte della Repubblica Popolare Cinese (RPC), né conferisce a quest’ultima il diritto di rappresentarla. La Risoluzione non fa alcuna menzione di Taiwan e non costituisce quindi una posizione ufficiale delle Nazioni Unite sullo status politico del Paese. Pertanto, non riflette un consenso internazionale sul “principio di una sola Cina” sostenuto dalla RPC. Solo il governo di Taiwan, democraticamente eletto, può rappresentare i suoi abitanti nel sistema delle Nazioni Unite e sulla scena internazionale.
L’ONU dovrebbe permettere ai rappresentanti, ai giornalisti e ai cittadini taiwanesi l’accesso alle sue sedi e la partecipazione ai suoi incontri e conferenze. Essere membri delle Nazioni Unite è un diritto per tutte le nazioni amanti della pace, non un privilegio appannaggio di poche. Per tali ragioni, a nome del Governo di Taiwan, chiediamo con urgenza di porre fine alla distorsione della Risoluzione 2758.
Taiwan possiede un efficiente sistema sanitario e una tecnologia all’avanguardia, come dimostrato dalla sua leadership nell’intelligenza artificiale e nella produzione di chip, che possono dare un contributo concreto allo sviluppo e alla pace nel mondo. Perché, allora, persistere in questa esclusione, che non beneficia nessuno tranne Pechino?
Negli ultimi anni, il sostegno internazionale a favore di Taiwan è aumentato. In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato diverse risoluzioni, auspicando la sua inclusione nelle organizzazioni internazionali e, nel marzo 2025, ha approvato il documento finale dell’indagine conoscitiva sull’Indo-Pacifico, ribadendo l’importanza dell’Isola per la stabilità nella regione indo-pacifica. Un simile orientamento è evidente in altri parlamenti e Paesi, tra cui l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Svezia, i Paesi Bassi, il Regno Unito, il Canada, il Belgio e la Repubblica Ceca, che hanno adottato risoluzioni affini, condannando le provocazioni militari della Cina e il suo abuso nell’interpretazione errata della Risoluzione.
Adesso, più che mai, lanciamo un appello all’Italia affinché appoggi con maggiore decisione l’ammissione di Taiwan alle Nazioni Unite e alle sue agenzie specializzate, in nome della pace, dello sviluppo e della prosperità globale, valori che accomunano entrambi i Paesi. Allo stesso tempo, invitiamo la comunità internazionale ad agire attivamente da contrappeso alle azioni coercitive della RPC e a unirsi per difendere l’ordine mondiale basato sulle regole, opponendosi alle dinamiche di un Paese non democratico e alle sue richieste irragionevoli.
Riccardo Tsan-Nan Lin, console e direttore generale ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia
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Daniel Ortega (Getty Images)
Il governo guidato dalla coppia sandinista Ortega-Murillo ha firmato accordi commerciali con la Repubblica di Donetsk, rafforzando il legame con Mosca e Pechino. Una scelta politica che rilancia il ruolo di Ortega nella geopolitica del Sud globale, tra repressione interna e nuove alleanze.