2025-03-02
L’Europa insegue bei principi astratti. Ma in politica contano i fatti concreti
Donald Trump e Giorgia Meloni (Ansa)
Trattare con le canaglie è più morale che avvolgersi in una bandiera arcobaleno.Andiamo al sodo. Conviene, e in tempi brevi, spingere l’accordo proposto da Trump, a meno che non si pensi di poter continuare la guerra vagheggiando l’aiuto di un esercito europeo che non esiste e che l’Europa vorrebbe mettere su, illudendo gli ucraini di farcela se gli Usa si sfileranno dal conflitto? La Verità sostiene la necessità di arrivare a degli accordi fin dai primi mesi della guerra, cioè tre anni fa. Gli Usa di Biden non sono stati capaci di mediare alcunché: non lo hanno voluto fare perché agli interessi dell’Ucraina aggredita hanno anteposto i propri (il figlio di Biden, graziato dal padre l’ultimo giorno di mandato, faceva affari in Ucraina). L’Unione europea non è riuscita perché, al pari degli Usa, non aveva né il carisma né l’autorevolezza (non li ha neanche ora) di far sedere a un tavolo chi continuava a combattere. Lasciatemi fare il filosofo per poche righe. Credo possa aiutare a capire meglio un punto della questione. Nella parte della filosofia che si occupa delle azioni degli uomini, cioè la morale o l’etica, ci sono due scuole: una dice che bisogna seguire i principi fino in fondo in modo assoluto, indipendentemente dalle conseguenze da essi ispirate; ce n’è una seconda che, non a caso, si chiama «consequenzialista» e che valuta il bene di un’azione in relazione agli effetti che produce. Nella vita quasi sempre si è «costretti» a ispirarsi alla seconda; in politica è la regola d’obbligo. Tant’è che anche di fronte ai cosiddetti diritti non negoziabili poi, alla fine, occorre andare in Parlamento, e negoziare, e trovare una maggioranza che li approvi. Questo non significa rinunciare alla dimensione etica e morale della vita, ma al contrario, nelle situazioni concrete, scegliere azioni che magari non rispondono in purezza, agli ideali professati ma che, adottate, ci portano il più vicino possibile a quello che vogliamo. In questo caso: la fine della guerra. Ieri, su queste pagine, Maurizio Belpietro si è chiesto se possiamo continuare a dire che non dobbiamo darla vinta a Putin. Certo che non lo vogliamo fare. Sempre Belpietro si è chiesto: «Ma l’alternativa qual è?». E cosa dobbiamo chiederci se non questo? Mettiamo che uno pensi tutto il peggio di Trump, a partire dai suoi modi arroganti, fino ai suoi video inguardabili e allo spettacolo di ieri alla Casa Bianca; mettiamo che uno pensi tutto il peggio di Putin e che sostenga che la colpa è tutta sua (del resto, è lui che ha invaso l’Ucraina); mettiamo che uno pensi tutto il bene possibile del signor Zelensky, ritenga che questi non abbia mai commesso errori. Possiamo forse proporre l’alternativa Schlein, che sarebbe quella di fasciarsi nella bandiera europea? La bandiera europea rappresenta... cosa? Un’Ue che pretenderebbe ora di inserirsi in questa trattativa discutendo il 6 ottobre di come riarmarsi e presentando il 19 un libro bianco sulla questione? Questa Unione che non è stata capace in vent’anni di organizzare una difesa comune, pensa ora a un riarmo immediato in tempi così brevi da inserirsi nella trattativa tra Trump e Putin? Questa non è geopolitica, è geopresaperilculo, soprattutto nei confronti degli ucraini. A confronto un fariseo è una persona franca, leale e sincera. Naturalmente il tutto in nome della pace, di più alti valori che vengono sbandierati ma che, in concreto, non arrivano mai a concretizzarsi in tempi brevi. Sbandierano, per tornare alla filosofia, valori assoluti e imprescindibili, ma poi compiono azioni che quei valori non solo non perseguono, ma allontanano. È ovvio che nella trattativa per la fine della guerra in Ucraina, oltre alla spartizione delle terre rare, dovranno entrare anche delle garanzie, e qui l’Europa dovrebbe giocare un ruolo fondamentale perché il nostro Occidente è la culla del diritto internazionale: ma per farlo ci vuole forza e autorevolezza. E poi, per essere concreti fino in fondo, voi pensate che Trump, una volta firmato un trattato sulle risorse di un Paese, accetti che in quel Paese continui la guerra? Non è una domanda che attiene alla sfera più prettamente morale, ma agli interessi: interessi che, come ci insegna una storia più che bimillenaria, negli accordi che hanno portato alla fine delle guerre, sono sempre entrati, eccome. In conclusione: è più moralmente accettabile sventolare la bandiera della pace e non fare nulla o fare qualcosa, gestito magari da attori che non ci piacciono, ma che può portare alla fine della guerra in Ucraina? Ci occupiamo di difendere valori in astratto o vogliamo valutare le azioni dalle loro possibili conseguenze?