2020-11-08
L’Europa impugna l’arma dello stato di diritto
Ursula von der Leyen (Ansa)
Polonia all'attacco del compromesso sul regolamento che prevede la possibilità di negare fondi agli Stati membri con la scusa di presunte violazioni: «Pretesto ideologico». La norma è stata studiata per ricattare i governi poco graditi a Bruxelles.Fumata bianca! Ha scritto giovedì su Twitter il portavoce della Presidenza tedesca del Consiglio Ue. Veto o morte! Ha risposto, sullo stesso social, il vice ministro polacco Janusz Kowalski che poi ieri ha rincarato la dose, affermando che la Polonia non rinuncerà alla sua sovranità e si opporrà al piano tedesco per togliere fondi alla Polonia con un «pretesto ideologico». Per non farsi mancare nulla, il polacco qualche ora prima aveva accusato la Commissione guidata da Ursula von der Leyen e la Germania di violare i Trattati e i tedeschi di non aver mai risarcito i danni della Seconda guerra mondiale.Ma cosa ha scatenato queste tensioni? È accaduto che, per l'ennesima volta nell'arco della sua storia, giovedì la Ue ha partorito un compromesso sul Regolamento relativo al rispetto dello stato di diritto che scontenta tutti e somiglia molto alla bomba atomica: la sua principale efficacia consiste proprio nel potere deterrente.Nessuno avrà mai il coraggio di usarlo, come ha commentato il giurista Lucas Guttenberg del Delors Institute di Berlino, ma sarà lì sul tavolo come un'arma di ricatto. Pronta a volteggiare per essere mostrata al primo governo «non allineato» ai desiderata di Bruxelles. Non rispetti le nostre regole? Allora niente soldi del bilancio Ue e del Next Generation Ue.Ma di quali regole si tratta? Dei valori fondanti della Ue, scolpiti nell'articolo 2 del Trattato (Teu). Il principio di legalità, la certezza del diritto, l'assenza di arbitrio nell'esercizio del potere esecutivo, un processo legislativo democratico e trasparente; la presenza di un sistema giudiziario indipendente ed effettivamente in grado di esercitare il suo potere in modo imparziale; la separazione tra i poteri e il principio di uguaglianza e non discriminazione di fronte alla legge. Quando, qualche settimana fa, il Consiglio licenziò la prima bozza del regolamento, da utilizzare come base per i negoziati (cosiddetto «trilogo») con Commissione e Parlamento europeo, ben nove Paesi si opposero e il documento passò solo a maggioranza qualificata. Quella bozza, pur divisiva, è stata modificata in alcuni passaggi durante il negoziato concluso giovedì e ha accolto alcune istanze promosse dagli europarlamentari, finalizzate ad ampliare la casistica che porterebbe ad aprire una procedura di violazione e conseguenti sanzioni per lo Stato membro sotto accusa.Ed è proprio questo il casus belli. Identificare le situazioni che potrebbero costituire violazioni dei principi dello stato di diritto è una fatica di Sisifo. Nella bozza proposta all'inizio del negoziato compariva, e tuttora compare, un elenco preciso di casi, tutti specificamente riferiti a violazioni che hanno un effetto diretto sulla sana gestione finanziaria del bilancio Ue. Si parla di corretto funzionamento delle autorità statali preposte alla gestione dei fondi comunitari e al controllo della rendicontazione; si prosegue con l'effettivo funzionamento delle autorità preposte al controllo e alla repressione di frodi, incluse quelle fiscali, relative al bilancio Ue e, in generale, alla protezione degli interessi finanziari dell'Unione e all'effettivo esercizio di un potere giudiziario sanzionatorio delle violazioni. Ma evidentemente tutto ciò era troppo limitato e vincolante per poter mettere alle strette qualche Paese reprobo e allora è sbucato un coniglio dal cilindro: poiché non tutte le violazioni dei principi dello stato di diritto hanno impatto sul bilancio unionale, gli europarlamentari hanno preteso l'allargamento della casistica anche a situazioni non direttamente connesse con l'utilizzo dei fondi. E hanno quindi inserito, come situazioni indice di infrazione anche mettere in pericolo l'indipendenza del sistema giudiziario, l'impossibilità di prevenire, correggere e sanzionare condotte illegali o arbitrarie della pubblica autorità (incluse le forze dell'ordine) e, infine, limitare l'effettività della tutela giudiziaria, attraverso procedure restrittive o limitazioni all'attività investigativa. Toccherà alla Commissione valutare tutto ciò sulla base di un'approfondita attività istruttoria innescata da «fonti disponibili» e altri organi giurisdizionali europei e nazionali. Il rischio che si apra una corsa alla delazione contro governi sgraditi, anche sul fronte interno, è elevato e la Commissione avrà un mese, durante il quale ci sarà un contraddittorio con lo Stato sotto accusa, prima di proporre le misure sanzionatorie al Consiglio che deciderà a maggioranza qualificata entro un mese.In un'intervista radiofonica il premier ungherese Viktor Orbán ha dichiarato che si tratta di una questione politica legata alla posizione di chiusura verso l'immigrazione («Soros ha detto quattro anni fa di non dare alcun sostegno di bilancio a quelli che non ammettono migranti. Punto. È così semplice. Sono i Paesi del Sud ad avere bisogno dei fondi europei, non noi»).Ricordate la bufera scatenata contro il nostro Paese nell'autunno 2018, minacciandolo di procedura d'infrazione e conseguente sanzioni? Il potere deterrente del regolamento che ora dovrà passare alla definitiva approvazione del Consiglio è identico. Sarà interpretato per gli amici e ne sarà minacciata l'applicazione ai nemici. Che però, questa volta, promettono di non subire passivamente e potrebbero porre il veto sull'approvazione del Recovery fund e del bilancio 2021-2027 che richiedono l'unanimità del Consiglio. Non finisce qua.