
Il segretario dem agita lo spauracchio di una destra che può cambiare la Carta. Il Pd teme il presidenzialismo perché ama poter condizionare esecutivi deboli. «Allarme di Letta». Così ieri, a tutta pagina, titolava Repubblica. Per capire che cosa spaventi il segretario del Pd a tal punto da spingere il quotidiano romano a dedicare più articoli alla questione è stato sufficiente leggere il sommario: «Con due terzi del Parlamento la destra cambierà la Costituzione». Boom. Nientepopodimeno: e dunque? In Francia la Costituzione l’hanno cambiata varie volte e pure In Italia la sinistra vi ha messo mano non di rado. Tuttavia, nessuno si è mai strappato i capelli. Anzi, dopo aver definito la Carta su cui si fonda la nostra Repubblica la più bella del mondo, c’è chi si è dato da fare per sottoporla a lifting, forse perché divenisse più bella di prima, senza che la cosa sembrasse una palese contraddizione. Però non è questo il punto. Per il leader della sinistra, bisogna fare il possibile per impedire che ciò accada, e dunque occorre il voto utile, vale a dire che gli elettori-compagni dovrebbero in massa mettere la crocetta sul simbolo del Pd. «La partita si gioca su un 4 per cento di consensi, per rendere contendibili 62 collegi». E quindi se il Partito democratico conquistasse quei 62 collegi, la Costituzione sarebbe salva. Occhio, non ho scritto che Letta si appella al proprio elettorato per vincere, ma per evitare che la disfatta sia tale da regalare una maggioranza stabile a Meloni, Salvini e Berlusconi. In pratica, l’allarme del segretario del Pd è una chiamata alle armi che impedisca al centrodestra una vittoria piena. Anzi: per assicurare al futuro Parlamento un’instabilità totale, affinché il centrodestra non possa fare ciò che il centrosinistra fece nel 2001, ossia cambiare la Costituzione.Vi chiedete perché con tanti problemi con cui abbiamo a che fare - la guerra, l’inflazione, le bollette e pure la disoccupazione - ci dobbiamo mettere a discutere di come modificare la legge delle leggi? La risposta è semplice e la spiegò anni fa con la consueta chiarezza Indro Montanelli, il quale rideva quando sentiva che la nostra Costituzione era come il vino e migliorava con l’età. Al contrario, la Magna Charta della nostra Repubblica era già vecchia dopo un anno e per farlo capire, il fondatore del Giornale metteva a confronto l’esperienza tedesca con quella italiana, ossia di due Paesi che dopo la dittatura avevano scelto la strada della democrazia. «Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu frutto della Repubblica di Weimar. Cos’era la Repubblica di Weimar: era l’impotenza del potere esecutivo, cioè del governo. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: che cos’era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza partiti, senza controlli eccetera. Quindi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, la possibilità di dare ai governi stabilità, eccetera». Un discorso chiaro, lineare. Infatti, i presidenti del Consiglio hanno meno potere di un sindaco. Prova ne sia che se domani ricevono l’incarico di formare un nuovo governo, non solo devono avere il via libera dei partiti, ma devono sottoporre la lista dei ministri al presidente della Repubblica, vale a dire a un signore che, considerata l’alternanza di maggioranze che si succedono nel nostro Parlamento, spesso proviene dalle fila dell’opposizione. In pratica, non dico che il vaglio dei principali collaboratori è affidato a chi ha perso le elezioni ed è dunque stato bocciato dagli elettori, ma quasi. Di più, una volta varato il nuovo esecutivo, il premier non può neppure esercitare i poteri che di regola sono concessi al sindaco del più piccolo paesino d’Italia, ossia licenziare un collaboratore che non esegua le direttive. In altre parole, se chi governa trova un ministro che si mette di traverso, il presidente del Consiglio non è padrone di rimuoverlo. Come si fa a guidare un Paese alle prese con la crisi energetica, i postumi di un’epidemia, un’invasione di extracomunitari, la carenza di materie prime e pure la disoccupazione? Ovvio, neanche Superman o Wonder woman riuscirebbero. E infatti, neppure Mario Draghi ce l’ha fatta. Dunque, il problema non è chi sta al governo, ma chi gli impedisce di governare. E qui torniamo a Letta, il quale non mira a vincere - perché sa che neppure un miracolo gli farebbe recuperare in tre settimane 20 punti di svantaggio - ma confida di riuscire a impedire a Meloni, Salvini e Berlusconi di governare, che poi è l’operazione che negli anni passati è sempre riuscita alla sinistra grazie all’aiuto esterno di sindacati, burocrati e magistrati. Nel caso in questione, perché è importante che il centrodestra ottenga una maggioranza ampia? Perché con i due terzi del Parlamento potrebbe introdurre un sistema presidenziale, ovvero consentire agli italiani di scegliere da chi vogliono essere rappresentati, dando al capo dello Stato i poteri che non ha il capo del governo. Insomma, si tratterebbe di fare quello che prima di noi hanno fatto i francesi. Così torno a Montanelli: «Tutte le volte che si diceva: qui bisogna restituire un po’ di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare, si diceva “Fascista! Fascista!”. Con questo ricatto abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potessero immaginare». Indro è morto da vent’anni, ma con Letta e compagni siamo sempre lì: all’allarme antifascista e al rischio di finire come la repubblica di Weimar.
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I Maga sfidano le censure del Vecchio continente: la vice di Alice Weidel e un militante escluso dalle elezioni per sospetti sulla sua «lealtà alla Costituzione» vanno a Washington dai funzionari di Marco Rubio e di Jd Vance.
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Il presidente di Unimpresa: «Va data sicurezza alle transazioni delle pmi che operano in più valute. L’Occidente imponga standard di qualità contro la concorrenza sleale».
Mario Draghi (Ansa)
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