True
2022-08-09
Letta e Calenda, le supercazzole sono finite
Enrico Letta e Carlo Calenda (Ansa)
Demolition man ha preso la scena e non la lascia più. Come quei tenori che cantano «Partooo» e sono sempre lì, Carlo Calenda occupa con le sue libbre (di pensiero) la campagna elettorale del centrosinistra, manda ai matti il Pd, definisce «comunisti, perché quello sono» i suoi ex alleati e lancia la sfida centrista, sperando entro Ferragosto di imbarcare Matteo Renzi sulla nave dei folli. Ventiquattr’ore dopo il ribaltone, il leader di Azione non manca un tweet, un collegamento Tv, un intervento radio; se potesse spiegherebbe la teoria dei rigassificatori alle signore ingioiellate mentre fanno aquagym a Forte dei Marmi.
Al Nazareno la sua foto appesa al muro è crivellata di freccette e i colonnelli non sanno se maledire prima lui o Enrico Letta. «Il segretario è riuscito in due miracoli, dare credito a un ricottaro come Calenda e resuscitare Renzi», sibilano i piddini davanti alle macerie del campo largo, già anticipando le gastriti da congresso in caso di batosta nelle urne. Tutta colpa del Pericle dei Parioli che non manca di rigirare il coltello nella piaga. «Il Pd ha fatto prima un patto con noi e poi ha fatto un patto, con contenuti contrari, con chi ha votato 55 volte contro la fiducia a Draghi, con chi dice di no al termovalorizzatore, al rigassificatore, a tutto. Con chi in fondo è comunista, perché poi alla fine della fiera è questo».
Il papà di Azione è scatenato, si prende del «drammaticamente fascista» dal Verdissimo Angelo Bonelli ma non retrocede di un millimetro. «Ecchelallà, son diventato fascista, contavo i minuti. Enrico, funzionava bene questa alleanza, clavicembalo ben temperato. Letta sapeva perfettamente che avrei rotto, e lo sapeva +Europa. Hanno pensato di tenerci dentro dicendo: sennò dovete raccogliere le firme. Pensavano che avremmo chinato la testa. Invece raccolgo le firme, perché questa cosa qua è inguardabile. Ho detto a Letta: se formalizzi questo la gente non ci capirà più niente, sembrerà un’accozzaglia di persone come erano Bertinotti, Turigliatto, Pecoraro Scanio. Se avessi accettato, la destra avrebbe vinto a tavolino e Azione sarebbe morta».
È il giorno della faida, Calenda ne ha per tutti, innanzitutto per Emma Bonino. «Le sue sono critiche in malafede. Sapeva tutto e, non solo, ha sempre negoziato dalla parte del Pd. Il perché lo dovrà spiegare ai suoi elettori. Come fa una persona che si definisce atlantista a stare con chi vota contro la Nato e fa tutto contro l’Europa e contro l’Agenda Draghi? Emma ha fatto una scelta che pagherà in termini di posti». Poi ci sono i conti da regolare con Goffredo Bettini, la corrente thailandese del Pd, che lo ha definito inaffidabile e spregiudicato. «Goffredo, facciamo una cosa, ne parliamo dopo che tu avrai ripetuto come un mantra thailandese: Ho sbagliato a pensare che Conte fosse il nuovo Prodi, 20 volte e siamo a posto così». L’altro, a corto di argomenti, gli manda a dire che il mantra è una pratica induista e non c’entra niente con la Thailandia. Siamo allo gnè gnè, all’Asilo Mariuccia della politica social.
A metà giornata Calenda fa l’inventario degli azzannanti azzannati: Letta è sistemato, Bonino è sistemata, Bettini è sistemato. Ne mancano ancora un paio, per esempio Nicola Zingaretti che lo ha definito un traditore: «Pensate davvero di battere la destra con Fratoianni e Bonelli? Suvvia. Adesso toccherà a noi offrire una prospettiva di governo seria. Ci incontriamo sul campo uninominale di Roma». Per esempio Roberto Gualtieri, er sindaco ingrato, l’aveva pure votato. «Gualtieri difende il termovalorizzatore contro Conte, il suo ex amato alleato, mentre il suo segretario fa saltare un accordo con noi per allearsi con chi non lo vuole. È la misura del casino che regna nella sinistra italiana».
Ha ragione da vendere ma scopre l’acqua calda. Il suo scossone ha scoperchiato le contraddizioni del Pd, partito non di proposte ma di potere; lo ha spostato a sinistra mostrandone la faccia postcomunista (infatti Ciccio Boccia, Peppe Provenzano e Andrea Orlando brindano); ha fotografato la debolezza del riformismo e il ruolo ancillare di Base Riformista, la corrente degli ex renziani. E con l’ultima provocazione indica agli alleati rimasti nell’Accozzaglia il pericolo finale: «Vi metto per iscritto che vi ritroverete anche con i 5 stelle un minuto dopo le elezioni».
Sognando il terzo polo, Calenda deve risolvere il problema delle firme da presentare entro il 22 agosto. Anche qui regna il caos perché secondo un’interpretazione espansiva della norma, Azione potrebbe godere dell’esonero applicato per +Europa e il Centro democratico di Bruno Tabacci. Ma questo sarà il dramma di domani. Quello di oggi è ancora l’alleanza clavicembalo presa a colpi di scure. «Ho capito che non c’è alcun modo di staccare il Pd dal populismo. Gli serve per giustificare lo stare al governo sempre, con chiunque, a qualsiasi costo». E giù un’altra mazzata nell’afa. Come tanti pariolini, Demolition man non suda.
I due Bulli vogliono copiare Macron. La lista unica s’ispirerà a En Marche!
Irrefrenabile, ipercinetico, preoccupato ma concentrato. Così i suoi fedelissimi descrivono Matteo Renzi, che insieme a Carlo Calenda è pronto a varare la lista centrista. L’accordo non è stato ancora siglato, ma a quanto risulta alla Verità già cinque giorni fa, quindi prima che Calenda ufficializzasse la rottura con il Pd, dal quartier generale di Italia viva era partito il messaggio: «Fermatevi con le liste che avremo un alleato». Salvo clamorosi imprevisti dunque il terzo polo centrista ci sarà: il nome della lista unica Renzi-Calenda dovrebbe ispirarsi a En Marche!, il partito del presidente francese Emmanuel Macron. L’unica incognita è legata alla proverbiale irrequietezza politica di Calenda, che però non ha molta scelta: dopo aver litigato pure con Emma Bonino, Azione per potersi presentare in solitaria, dovrebbe raccogliere 56.250 firme (36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato) tutte autenticate. Proprio la questione delle firme, secondo Calenda, sarebbe stata alla base della convinzione di Enrico Letta sul fatto che il leader di Azione non avrebbe mai rotto l’alleanza con i dem: «Più Europa», twitta Calenda, «ha assicurato che comunque non avremmo strappato per il problema delle firme. Questa è l’amara verità che è giusto che anche gli elettori di Più Europa conoscano, Ed è stato un ragionamento miope».
Intanto, Carletto er pariolino perde pezzi: l’ex presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, ora consigliere provinciale, comunica attraverso una lettera aperta l’addio ad Azione. «Per me i patti, una volta firmati, si rispettano», dice Rossi, a quanto riferisce l’Ansa, «anche se costano. E si rispettano perché per costruire ci vuole fiducia e qualcuno deve pur darla per primo. Tornare indietro», aggiunge Rossi, «sarà anche legittimo, e magari politicamente motivato, ma così la credibilità crolla».
A rompere le uova nel paniere arriva il senatore di Azione, Matteo Richetti, che attacca Renzi: «Abbiamo da sempre rivolto un invito a Italia viva», dice Richetti a Radio 24, «anche quando stavamo costruendo un’intesa con il Pd. Serve una scelta di coraggio, di coerenza. Cosa faremo con Italia viva sarà oggetto di discussione, ma non vorrei che ci distraessimo dal compito principale di Azione, ridare fiato, coerenza e speranza al modo in cui si sta con le istituzioni dobbiamo stare su questo, Stando alle dichiarazioni di Renzi dell’ultimo anno c’è forte sovrapposizione», aggiunge Richetti, «ma di quello che dichiarava l’anno prima non condividiamo nulla: ci ha spiegato che bisognava votare con Conte e Bonafede nel Conte 2 per evitare il Papeete. Renzi ha avuto una traiettoria non sempre lineare. In queste ore, quando noi abbiamo cercato con serietà un’intesa con il Pd, il deputato di Iv Nobili è arrivato a dire: avete bisogno del bonus piscologico, una cosa brutta perché è una grande misura per le persone in sofferenza. Se poi diventi un loro potenziale alleato sei un salvatore della patria. Siamo pronti a raccogliere le firme», aggiunge baldanzoso Richetti, «e a mobilitare tutta Italia su questo».
La sensazione è che l’affondo di Richetti contro Italia viva sia la prima avvisaglia delle difficoltà che avranno le due forze (per modo di dire) politiche a unirsi. Il problema è sempre lo stesso: le candidature blindate. Dato per scontato che anche in caso di intesa il terzo polo non riuscirà a conquistare neanche un uninominale, infatti, il braccio di ferro sarà per i capolista al proporzionale, unica posizione che consente di sperare in una elezione alla Camera o al Senato. In politica due più due non fa mai quattro, quindi Azione e Iv saranno costrette a dei sacrifici. Prendiamo ad esempio cosa accadrà al Sud, dove Azione schiererà in diversi collegi proporzionali il ministro uscente Mara Carfagna: i calendiani della prima ora dovranno sudare per conquistare una posizione decente nei listini bloccati, poiché molto probabilmente ci sarà una alternanza tra esponenti di Azione e di Italia viva. Le prossime ore saranno incandescenti.
Continua a leggereRiduci
Il segretario del Pd contempla il fallimento dei suoi acrobatici tentativi di tenere insieme ciò che non può stare insieme. Il leader di Azione, bombardato di accuse per le giravolte continue, finge di essere Emmanuel Macron.Matteo Renzi pare stesse già lavorando a ricucire con Carlo. Ma ci sono i primi screzi con Iv.Lo speciale contiene due articoli.Demolition man ha preso la scena e non la lascia più. Come quei tenori che cantano «Partooo» e sono sempre lì, Carlo Calenda occupa con le sue libbre (di pensiero) la campagna elettorale del centrosinistra, manda ai matti il Pd, definisce «comunisti, perché quello sono» i suoi ex alleati e lancia la sfida centrista, sperando entro Ferragosto di imbarcare Matteo Renzi sulla nave dei folli. Ventiquattr’ore dopo il ribaltone, il leader di Azione non manca un tweet, un collegamento Tv, un intervento radio; se potesse spiegherebbe la teoria dei rigassificatori alle signore ingioiellate mentre fanno aquagym a Forte dei Marmi. Al Nazareno la sua foto appesa al muro è crivellata di freccette e i colonnelli non sanno se maledire prima lui o Enrico Letta. «Il segretario è riuscito in due miracoli, dare credito a un ricottaro come Calenda e resuscitare Renzi», sibilano i piddini davanti alle macerie del campo largo, già anticipando le gastriti da congresso in caso di batosta nelle urne. Tutta colpa del Pericle dei Parioli che non manca di rigirare il coltello nella piaga. «Il Pd ha fatto prima un patto con noi e poi ha fatto un patto, con contenuti contrari, con chi ha votato 55 volte contro la fiducia a Draghi, con chi dice di no al termovalorizzatore, al rigassificatore, a tutto. Con chi in fondo è comunista, perché poi alla fine della fiera è questo».Il papà di Azione è scatenato, si prende del «drammaticamente fascista» dal Verdissimo Angelo Bonelli ma non retrocede di un millimetro. «Ecchelallà, son diventato fascista, contavo i minuti. Enrico, funzionava bene questa alleanza, clavicembalo ben temperato. Letta sapeva perfettamente che avrei rotto, e lo sapeva +Europa. Hanno pensato di tenerci dentro dicendo: sennò dovete raccogliere le firme. Pensavano che avremmo chinato la testa. Invece raccolgo le firme, perché questa cosa qua è inguardabile. Ho detto a Letta: se formalizzi questo la gente non ci capirà più niente, sembrerà un’accozzaglia di persone come erano Bertinotti, Turigliatto, Pecoraro Scanio. Se avessi accettato, la destra avrebbe vinto a tavolino e Azione sarebbe morta». È il giorno della faida, Calenda ne ha per tutti, innanzitutto per Emma Bonino. «Le sue sono critiche in malafede. Sapeva tutto e, non solo, ha sempre negoziato dalla parte del Pd. Il perché lo dovrà spiegare ai suoi elettori. Come fa una persona che si definisce atlantista a stare con chi vota contro la Nato e fa tutto contro l’Europa e contro l’Agenda Draghi? Emma ha fatto una scelta che pagherà in termini di posti». Poi ci sono i conti da regolare con Goffredo Bettini, la corrente thailandese del Pd, che lo ha definito inaffidabile e spregiudicato. «Goffredo, facciamo una cosa, ne parliamo dopo che tu avrai ripetuto come un mantra thailandese: Ho sbagliato a pensare che Conte fosse il nuovo Prodi, 20 volte e siamo a posto così». L’altro, a corto di argomenti, gli manda a dire che il mantra è una pratica induista e non c’entra niente con la Thailandia. Siamo allo gnè gnè, all’Asilo Mariuccia della politica social. A metà giornata Calenda fa l’inventario degli azzannanti azzannati: Letta è sistemato, Bonino è sistemata, Bettini è sistemato. Ne mancano ancora un paio, per esempio Nicola Zingaretti che lo ha definito un traditore: «Pensate davvero di battere la destra con Fratoianni e Bonelli? Suvvia. Adesso toccherà a noi offrire una prospettiva di governo seria. Ci incontriamo sul campo uninominale di Roma». Per esempio Roberto Gualtieri, er sindaco ingrato, l’aveva pure votato. «Gualtieri difende il termovalorizzatore contro Conte, il suo ex amato alleato, mentre il suo segretario fa saltare un accordo con noi per allearsi con chi non lo vuole. È la misura del casino che regna nella sinistra italiana». Ha ragione da vendere ma scopre l’acqua calda. Il suo scossone ha scoperchiato le contraddizioni del Pd, partito non di proposte ma di potere; lo ha spostato a sinistra mostrandone la faccia postcomunista (infatti Ciccio Boccia, Peppe Provenzano e Andrea Orlando brindano); ha fotografato la debolezza del riformismo e il ruolo ancillare di Base Riformista, la corrente degli ex renziani. E con l’ultima provocazione indica agli alleati rimasti nell’Accozzaglia il pericolo finale: «Vi metto per iscritto che vi ritroverete anche con i 5 stelle un minuto dopo le elezioni».Sognando il terzo polo, Calenda deve risolvere il problema delle firme da presentare entro il 22 agosto. Anche qui regna il caos perché secondo un’interpretazione espansiva della norma, Azione potrebbe godere dell’esonero applicato per +Europa e il Centro democratico di Bruno Tabacci. Ma questo sarà il dramma di domani. Quello di oggi è ancora l’alleanza clavicembalo presa a colpi di scure. «Ho capito che non c’è alcun modo di staccare il Pd dal populismo. Gli serve per giustificare lo stare al governo sempre, con chiunque, a qualsiasi costo». E giù un’altra mazzata nell’afa. Come tanti pariolini, Demolition man non suda.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/letta-e-calenda-supercazzole-finite-2657830923.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-due-bulli-vogliono-copiare-macron-la-lista-unica-sispirera-a-en-marche" data-post-id="2657830923" data-published-at="1660007894" data-use-pagination="False"> I due Bulli vogliono copiare Macron. La lista unica s’ispirerà a En Marche! Irrefrenabile, ipercinetico, preoccupato ma concentrato. Così i suoi fedelissimi descrivono Matteo Renzi, che insieme a Carlo Calenda è pronto a varare la lista centrista. L’accordo non è stato ancora siglato, ma a quanto risulta alla Verità già cinque giorni fa, quindi prima che Calenda ufficializzasse la rottura con il Pd, dal quartier generale di Italia viva era partito il messaggio: «Fermatevi con le liste che avremo un alleato». Salvo clamorosi imprevisti dunque il terzo polo centrista ci sarà: il nome della lista unica Renzi-Calenda dovrebbe ispirarsi a En Marche!, il partito del presidente francese Emmanuel Macron. L’unica incognita è legata alla proverbiale irrequietezza politica di Calenda, che però non ha molta scelta: dopo aver litigato pure con Emma Bonino, Azione per potersi presentare in solitaria, dovrebbe raccogliere 56.250 firme (36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato) tutte autenticate. Proprio la questione delle firme, secondo Calenda, sarebbe stata alla base della convinzione di Enrico Letta sul fatto che il leader di Azione non avrebbe mai rotto l’alleanza con i dem: «Più Europa», twitta Calenda, «ha assicurato che comunque non avremmo strappato per il problema delle firme. Questa è l’amara verità che è giusto che anche gli elettori di Più Europa conoscano, Ed è stato un ragionamento miope». Intanto, Carletto er pariolino perde pezzi: l’ex presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, ora consigliere provinciale, comunica attraverso una lettera aperta l’addio ad Azione. «Per me i patti, una volta firmati, si rispettano», dice Rossi, a quanto riferisce l’Ansa, «anche se costano. E si rispettano perché per costruire ci vuole fiducia e qualcuno deve pur darla per primo. Tornare indietro», aggiunge Rossi, «sarà anche legittimo, e magari politicamente motivato, ma così la credibilità crolla». A rompere le uova nel paniere arriva il senatore di Azione, Matteo Richetti, che attacca Renzi: «Abbiamo da sempre rivolto un invito a Italia viva», dice Richetti a Radio 24, «anche quando stavamo costruendo un’intesa con il Pd. Serve una scelta di coraggio, di coerenza. Cosa faremo con Italia viva sarà oggetto di discussione, ma non vorrei che ci distraessimo dal compito principale di Azione, ridare fiato, coerenza e speranza al modo in cui si sta con le istituzioni dobbiamo stare su questo, Stando alle dichiarazioni di Renzi dell’ultimo anno c’è forte sovrapposizione», aggiunge Richetti, «ma di quello che dichiarava l’anno prima non condividiamo nulla: ci ha spiegato che bisognava votare con Conte e Bonafede nel Conte 2 per evitare il Papeete. Renzi ha avuto una traiettoria non sempre lineare. In queste ore, quando noi abbiamo cercato con serietà un’intesa con il Pd, il deputato di Iv Nobili è arrivato a dire: avete bisogno del bonus piscologico, una cosa brutta perché è una grande misura per le persone in sofferenza. Se poi diventi un loro potenziale alleato sei un salvatore della patria. Siamo pronti a raccogliere le firme», aggiunge baldanzoso Richetti, «e a mobilitare tutta Italia su questo». La sensazione è che l’affondo di Richetti contro Italia viva sia la prima avvisaglia delle difficoltà che avranno le due forze (per modo di dire) politiche a unirsi. Il problema è sempre lo stesso: le candidature blindate. Dato per scontato che anche in caso di intesa il terzo polo non riuscirà a conquistare neanche un uninominale, infatti, il braccio di ferro sarà per i capolista al proporzionale, unica posizione che consente di sperare in una elezione alla Camera o al Senato. In politica due più due non fa mai quattro, quindi Azione e Iv saranno costrette a dei sacrifici. Prendiamo ad esempio cosa accadrà al Sud, dove Azione schiererà in diversi collegi proporzionali il ministro uscente Mara Carfagna: i calendiani della prima ora dovranno sudare per conquistare una posizione decente nei listini bloccati, poiché molto probabilmente ci sarà una alternanza tra esponenti di Azione e di Italia viva. Le prossime ore saranno incandescenti.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci