2025-05-21
Con Leone il Vaticano torna centrale. Tutte le strade della pace portano qui
I segnali che arrivano dai vari attori coinvolti nel conflitto convergono sulla Santa Sede. Di nuovo neutrale e autorevole, a differenza dell’Onu. Dopo Zelensky e Trump, da Mosca l’apertura chiave è quella di Kirill.«È fondamentale un luogo neutrale e sacro in cui i nemici possano guardarsi negli occhi». Le parole di papa Leone XIV pronunciate durante il colloquio con JD Vance nel giorno dell’insediamento sono un invito ad aprire in Vaticano un nuovo summit per la pace in Ucraina. Tre indizi fanno una prova: l’identikit psicologico è perfetto, il precedente di Donald Trump e Volodymyr Zelensky uno di fronte all’altro dentro la bolla eterna di San Pietro ha fatto il giro del mondo. In più la suprema autorità morale della Chiesa è riconosciuta anche da Vladimir Putin, che guarda con sospetto il laicismo dell’Occidente turbo-progressista ma tiene in grande considerazione la spiritualità ortodossa dell’anima russa.Oltre le Mura leonine si fa largo il convincimento che proprio il Vaticano sarà la sede dei colloqui fra i due contendenti, perché «“La pace sia con voi, fratelli e sorelle”, con cui il pontefice ha salutato il mondo non è stata solo una frase simbolica ma il primo atto del ritorno alla diplomazia concreta, da sempre valore aggiunto della Casa», come spiega un cardinale conservatore uscito rasserenato dal conclave. Un dato di fatto confermato dal segretario di Stato americano, Marco Rubio, in missione nella Santa Sede: «Penso che questo sia il luogo ideale in cui entrambe le parti si sentirebbero a proprio agio. Saremo sempre grati al Papa per la disponibilità a svolgere questo ruolo positivo e costruttivo».La direzione è imboccata, l’avallo di Donald Trump in conferenza stampa a Washington («Sarebbe fantastico fare i colloqui in Vaticano, avrebbero un significato particolare») è un ulteriore sigillo, soprattutto dopo il fallimento del summit di Tirana, definito dal cardinale Pietro Parolin «un’autentica tragedia». Il cuore cattolico di Roma ha sorpassato la tradizionale Svizzera e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan come sede dove firmare il cessate il fuoco. Tutto ciò nel solco del potente invito di Leone, che somiglia a un imperativo: «Incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo». Di fatto il ritorno al ruolo universale del Santo Padre come costruttore di ponti, peraltro etimologia della parola pontifex.La Chiesa torna al centro del villaggio (globale). Per la verità non se n’era mai andata, e le missioni a Kiev, Mosca, Washington del cardinale Matteo Zuppi, inviato di papa Francesco, hanno avuto, in pieno conflitto, il merito di riaffermare un ruolo umanitario alla base della restituzione da parte di Mosca dei bambini ucraini deportati durante l’invasione. Un gesto sottolineato da Rubio: «Siamo grati al Vaticano per gli sforzi di lunga data, non solo per cercare di mediare la pace, ma anche per lo scambio di prigionieri». Il problema principale, con Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio, era l’eccesso comunicativo: uno schiaffo a Putin («Voglio andare a Kiev, è dalla parte del bene») e uno all’Occidente («l’abbaiare della Nato alle porte della Russia»). Francesco era equidistante, non equivicino come invece il Papa americano cresciuto agli insegnamenti di Sant’Agostino e al consiglio scolpito nel Discorso n. 357: «Quelli che amano la pace vanno lodati. Quelli che la odiano non vanno provocati col rimprovero. È meglio cominciare a calmarli con l’insegnamento e con il silenzio. Chi ama veramente la pace, ama anche i nemici della pace». Il silenzio perduto era una palla al piede per la diplomazia più felpata del pianeta. Lo stesso Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, che dopo le stragi del 7 ottobre si candidò come ostaggio per favorire la liberazione dei prigionieri israeliani, ottenne l’unico risultato di creare un incidente diplomatico con Tel Aviv per troppa invadenza. Leone XIV ha un approccio molto differente. È consapevole che la pace non riguardi solo problematiche territoriali o militari, ma sentimenti profondi sintetizzati da Trump quando disse: «Sarà molto difficile ottenerla, c’è un odio tremendo fra loro». Intendeva personalmente fra Zelensky e Putin. Ecco il valore del silenzio e della trattativa sotterranea, che il pontefice ritiene fondamentale per «disarmare il linguaggio». I contendenti lo hanno compreso: niente è adatto come le pietre immortali del Vaticano per stemperare l’astio e riportare le divergenze sul piano del dialogo. Si chiama autorevolezza.Quell’autorevolezza che gli enti sovranazionali non hanno più, che le Nazioni Unite hanno perso per i troppi errori di valutazione e per i veti incrociati che legano le mani. Quell’autorevolezza che la Chiesa ortodossa continua a riconoscere nell’uomo con la veste bianca. Proprio ieri il patriarca Kirill ha espresso il suo incondizionato favore a colloqui nella Santa Sede: «Siamo pronti a sviluppare ulteriormente il dialogo con il Vaticano». Lo ha detto durante un ricevimento al ministero degli Esteri di Mosca, alla presenza del capo della diplomazia russa, Sergej Lavrov. E ha aggiunto: «Siamo pronti a farlo anche su questioni come la tutela dei valori morali tradizionali, sul mantenimento della pace, sulla protezione dei cristiani da discriminazioni e persecuzioni, sulla tutela dell’ambiente e sulla risoluzione di molte questioni umanitarie oggi all’ordine del giorno a livello globale».Se il «quando» è nella clessidra dei potenti, il «dove» sembra avviato. Nella penombra del Palazzo apostolico o in Aula Nervi, per sancire la leadership ritrovata della diplomazia vaticana a livello planetario. Qualche cardinale profetizza sorridendo: «Se non addirittura sotto la Cappella sistina, dove lo Spirito Santo potrebbe fare gli straordinari».
Friedrich Merz e Giorgia Meloni (Ansa)
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