2025-05-20
Leone e Casa Bianca più vicini del previsto
Papa Leone XIV riceve Marco Rubio e JD Vance (Ansa)
Il Papa riceve il vicepresidente Vance (che lo invita negli States) e il segretario di Stato Rubio. E parla di «libertà religiosa», un tema che gli Usa avevano sollevato in passato per contestare l’accordo Vaticano-Cina. È un segno di discontinuità con la linea Bergoglio.Qualcuno aveva preconizzato un rapporto tumultuoso. E invece Leone XIV dialoga con la Casa Bianca. Ieri mattina, il Papa ha infatti ricevuto JD Vance e Marco Rubio, tenendo con loro un bilaterale. «Nel corso dei cordiali colloqui in Segreteria di Stato si è rinnovato il compiacimento per le buone relazioni bilaterali e ci si è soffermati sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, come pure su alcune questioni di speciale rilevanza per la vita ecclesiale e la libertà religiosa», recita una nota della Santa Sede. «Infine», si legge ancora, «si è avuto uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte». La nota ha inoltre specificato che, dopo aver incontrato Leone XIV, Vance ha avuto un faccia a faccia anche con il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Gallagher.Insomma, è evidente che il Papa e il vicepresidente americano abbiano affrontato dossier relativi alle principali crisi internazionali: dall’Ucraina a Gaza (il che è avvenuto nello stesso giorno in cui era attesa la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin sulla crisi ucraina). È inoltre interessante il riferimento alla «libertà religiosa»: un tema che sia la prima amministrazione Trump sia l’amministrazione Biden avevano posto alla Santa Sede soprattutto in relazione al controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, originariamente siglato nel 2018 e finora rinnovato per tre volte. Nel 2020, l’allora segretario di Stato americano, Mike Pompeo, fece leva proprio su questo principio nel suo tentativo, poi fallito, di bloccare l’intesa tra la Santa Sede e Pechino. Nel 2021, il successore di Pompeo alla guida del Dipartimento di Stato americano, Tony Blinken, fu ricevuto da Pietro Parolin e, guarda caso, parlò proprio della libertà religiosa in Cina.È d’altronde chiaro che, al di là del colore politico dell’inquilino della Casa Bianca, gli Stati Uniti non abbiano mai visto di buon occhio quell’accordo: un accordo che ha spostato sensibilmente il baricentro della politica estera vaticana da Occidente verso Pechino. Un accordo di cui, ricordiamolo, il principale artefice è stato proprio Parolin. Parliamo dello stesso Parolin, uscito sconfitto dall’ultimo conclave grazie soprattutto a una convergenza tra porporati nordamericani e latinoamericani su Robert Francis Prevost. In tal senso, dalla Sistina è arrivata un’indicazione di discontinuità rispetto alla politica estera vaticana del precedente papato: se l’attenzione al Sud Globale è stata pienamente confermata, è tuttavia stato auspicato un raffreddamento per quanto riguarda la linea di distensione nei confronti di Pechino.Sarà un caso ma uno dei principali fautori dell’avvicinamento tra Santa Sede e Cina, il cardinale gesuita Stephen Chow, ha di recente de facto auspicato continuità con papa Francesco sulla questione della Repubblica popolare. Il che è tuttavia abbastanza improbabile. Ciò non vuol dire che Leone casserà l’accordo sino-vaticano tout court dall’oggi al domani. Significa semmai che è lecito attendersi dal nuovo Papa un atteggiamento meno accomodante rispetto alle violazioni dell’intesa ripetutamente perpetrate da parte della Repubblica popolare. In tal senso, non si può escludere che, ieri, il pontefice e Vance abbiano parlato (anche) di questo complicato dossier. Tra l’altro, al di là della questione geopolitica in sé, Prevost è un agostiniano: e proprio sant’Agostino ha contribuito a formulare il principio della libertas Ecclesiae. E proprio due opere del vescovo di Ippona, ieri, Vance ha regalato al pontefice, invitandolo anche a visitare gli Usa.Più in generale, chi aveva preconizzato che Leone sarebbe stato un pontefice «antitrumpista» ha dovuto ricredersi, visto che il vicepresidente americano è stato uno dei primi leader mondiali da lui incontrati. Questo poi non significa ovviamente che il Papa sia «trumpista»: è semmai possibile attendersi un rapporto dialettico con l’amministrazione Trump su alcune questioni (come l’immigrazione) e una convergenza su altre (come l’anti abortismo). Anche sulle crisi internazionali, si configura un rapporto articolato tra Leone XIV e la Casa Bianca. Il Papa, sin dal giorno della sua elezione, ha posto l’accento sulla necessità della pace e, ieri, ha invocato il «disarmo».Ora, è verosimile che Leone non abbia visto troppo di buon occhio le intese multimiliardarie nel settore della Difesa che Donald Trump ha recentemente siglato con i Paesi del Golfo. Tuttavia, dall’altra parte, il pontefice sta cercando di rilanciare contemporaneamente il dialogo con gli ebrei e con i musulmani. Il che, pur fatte le dovute distinzioni, non è qualcosa di totalmente differente dal tentativo, portato avanti da Trump, di favorire un miglioramento dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi. Chiaramente non si registra una sovrapposizione completa né stiamo qui ipotizzando un coordinamento intenzionale tra la Santa Sede e la Casa Bianca sul Medio Oriente. Sembra però emergere una linea di fondo nella cui cornice potrebbero aprirsi dei margini di cooperazione almeno su alcuni dossier specifici (Ucraina inclusa). Il rapporto tra Leone e Trump si configura quindi molto più articolato di quanto certe analisi superficiali vogliano far credere.