2019-04-20
L’Emilia Romagna spende 500.000 euro per «formare» le lucciole nigeriane
Costo esorbitante per 26 corsi di 10 giorni e 6 migranti ognuno. La psicologa: «Imparano poco, pretendono solo aiuto e diritti».Tra i corsi finalizzati all'inserimento sociale delle donne migranti che la Regione Emilia Romagna organizza, ci sono anche quelli specifici per le vittime di tratta. Rientrano nel progetto Chance - rete per l'inclusione e dovrebbero rappresentare un approccio con il mondo del lavoro. Sono pagati dal Fondo sociale europeo ma, come testimonia una psicologa che segue le ragazze per lo più nigeriane durante questo percorso sperimentale, forse le risorse andrebbero spese meglio. Perché 500.000 euro per 26 corsi l'anno di 50 ore e da 6 migranti ciascuno, sono davvero una gran cifra. Soprattutto se poi servono ben poco a ottenere un lavoro. Ma andiamo con ordine. Le vittime del traffico di esseri umani hanno diritto a ottenere uno speciale permesso di soggiorno per «protezione speciale», dopo che l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) le ha identificate come tali al loro sbarco in Italia. Nel rapporto del 2017 La tratta di esseri umani lungo la rotta del Mediterraneo centrale, l'Oim affermava «che circa l'80 per cento delle migranti nigeriane arrivate via mare nel 2016 sia probabile vittima di tratta destinata allo sfruttamento sessuale in Italia o in altri Paesi dell'Unione europea».Non è così scontato. Le donne spesso di età tra i 13 e i 24 anni sono riluttanti a rivelare la propria esperienza, o comunque ad accedere a programmi di protezione. Nella checklist stilata dall'Oim per riconoscere le vittime di tratta nei luoghi di sbarco e nei centri in cui vengono trasferite, la verifica che non abbiano sostenuto le spese del viaggio (perché qualcuno ha pagato per loro), la giovane età e il luogo di partenza (soprattutto Edo State, nella Nigeria meridionale, uno degli Stati più violenti del Delta del Niger), sono indicatori utili. Non danno la certezza, come si può vedere dai dati relativi al 2016: su 6.599 possibili vittime secondo gli indicatori Oim, solo 135 furono segnalate alla rete antitratta e appena 78 donne denunciarono la loro condizione. Molte giovani nigeriane, sebbene minorenni, dichiarano la maggiore età seguendo le indicazioni dei trafficanti, perché in questo modo verranno collocate in strutture di accoglienza per adulti, dove sarà più semplice andare a prelevarle e destinarle alla prostituzione. Fine della premessa. Le vittime di tratta hanno diritto ad adeguate condizioni di vitto, alloggio, assistenza sanitariae a svolgere «attività di formazione e capacity building», sviluppo delle competenze, secondo le finalità dell'Oim. Le ragazze nigeriane mandate in Emilia Romagna vengono accolte nel sistema Oltre la strada, attivo dal 1996. Una rete composta da Comuni, enti e associazioni. «Si è poi pensato di offrire, accanto alle prime conoscenze della lingua italiana, anche un approccio al mondo del lavoro con corsi e qualche tirocinio sul nostro territorio. Piccolissimi passi verso l'inclusione lavorativa», spiega Giacomo Sarti, capo progetti welfare del Consorzio europeo per la formazione e l'aggiornamento dei lavoratori (Cefal), con sede a Bologna e che da cinque anni si occupa del programma Chance in Emilia Romagna. Aggiunge: «Le ragazze ci vengono segnalate per i corsi dai Comuni, che offrono loro accoglienza nelle strutture sul territorio». Lo scorso anno, le donne nigeriane avviate alla prostituzione rappresentavano il 51,6 % delle persone prese in carico dalla rete: 965 quelle inserite nei programmi di assistenza dal 2013 a giugno 2017. Nel 2018 il progetto Oltre la strada aveva ottenuto dal dipartimento per le Pari opportunità un finanziamento di oltre 1,6 milioni di euro, ai quali si aggiunsero 172.000 euro di risorse regionali. Quasi 1,8 milioni di euro. Oltre a questo sostegno, per gli interventi di formazione professionale e inserimento lavorativo c'è il progetto Chance «realizzato in continuità all'interno dei Programmi operativi inclusione sociale Fondo sociale europeo 2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020», come si legge nel documento presentato alla Conferenza delle Regioni del 26 ottobre 2017. È il Cefal, con l'Associazione emiliana romagnola centri autonomi di formazione professionale (Aeca) ad occuparsi del progetto in quelle che vengono definite«azioni di inclusione lavorativa di persone vittime di tratta e/o di violenza, anche di genere, in carico ai servizi territoriali competenti», da Bologna a Modena, da Parma a Ravenna. «Noi operatori li abbiamo soprannominati corsi per passeggiatrici», commenta una psicologa che preferisce mantenere l'anonimato. Da tre anni segue le ragazze nigeriane accompagnandole con colloqui durante il corso di formazione e il successivo tirocinio. «Nessuna cattiveria», tiene a precisare, «solo la consapevolezza che servono ben poco alle ragazze. Hanno poca voglia di impegnarsi, passiamo il tempo a spiegare che devono vestirsi di più e truccarsi di meno, che devono sforzarsi di imparare l'italiano. Non le scegliamo noi, i Comuni dicono che sono pronte, in realtà non lo sono né come padronanza della lingua, né come stato d'animo. Partono da zero. Dovrebbero andare a scuola almeno un'ora in più». I corsi, nel campo della ristorazione, della sartoria o dell'attività legata alla distribuzione dei pasti hanno una durata ciascuno di 50 ore. Seguono due mesi di tirocinio per un costo complessivo sostenuto dalla Regione Emilia Romagna di 500.000 euro l'anno, utilizzando risorse del programma operativo Fondo sociale europeo. «Parliamo di 26 corsi, ciascuno con 6 partecipanti», spiega Giacomo Sarti. I conti sono presto fatti, 19.230 euro per un corso di una decina di giorni, poi un tirocinio di due mesi in azienda durante il quale «le ragazze nigeriane ricevono un'indennità mensile di 200 euro se fanno il part time, 450 euro se lavorano a tempo pieno», informa il responsabile progetti welfare di Cefal. «Il tirocinio è molto atteso dalle nigeriane ma poi quasi sempre lo vivono malissimo», racconta la psicologa. «Lamentano le troppe ore in piedi, dicono che hanno sonno e poi scopri che si alzano alle 10 del mattino. Mi dicono: “Qui si fa fatica, dicevano che era molto più facile". Conoscono solo la parola diritti, di essere ospitate e aiutate. L'aborto, purtroppo, è la loro unica forma di contraccezione. Trovano stancante muoversi sugli autobus, con biglietti gratuiti, per raggiungere il luogo del tirocinio. Sei ore di lavoro le sfiancano».Certo non sarà facile integrarsi nel nostro Paese, soprattutto se si proviene da situazioni di violenza e la chiusura, le diffidenze sono enormi. La bassa scolarizzazione non aiuta. Malgrado il grosso sforzo assistenziale, andrebbe rivisto il sistema di integrazione. «Ci occupiamo di loro con poco tempo a disposizione», riconosce Sarti, «lavoriamo in sintonia con i servizi di accoglienza temporanea ma per una vita spezzata qualche colloquio, un corso e un tirocinio non bastano. Queste ragazze così fragili hanno bisogno di accompagnamento costante. Comunque, se la rete intorno a loro tiene, aver fatto un paio di mesi nel mondo del lavoro è un'esperienza che potrà servire». La psicologa è più critica: «Prima di mandarle a seguire un progetto formativo andrebbe spiegato loro che il lavoro richiede impegno e serietà. In questo modo si tolgono opportunità ad altre categorie svantaggiate che aspettano con ansia di poter entrare nel mondo del lavoro».