2021-10-12
Il problema è il pass, non il fascismo
Non si può nascondere dietro «quattro facinorosi» (a proposito: Luciana Lamorgese dov'era sabato?) il problema dell'esclusione dalla vita sociale e lavorativa di 8 milioni di cittadini. I dati migliorano costantemente: è insensato insistere con la misura più severa al mondo«Non può passare l'idea che quattro facinorosi tengano in scacco le istituzioni». Così, secondo il Corriere della Sera, avrebbe reagito Mario Draghi alla notizia degli assalti alla sede Cgil e al Policlinico di Roma durante il corteo contro il green pass. Come non essere d'accordo con il presidente del Consiglio: le migliaia di persone che hanno sfilato non erano i pericolosi black bloc che misero a ferro e fuoco Genova durante il G8, ma gente tranquilla, ossia ristoratori, dipendenti pubblici, pensionati. Manifestanti, dunque, che non avevano alcuna intenzione di far andare le mani. Ma un gruppo di esagitati ha preso inspiegabilmente il sopravvento, facendosi beffe delle misure di prevenzione.Per capire quanto è successo sabato, ed evitare che i fatti si ripetano, non serve però chiedere lo scioglimento di Forza nuova, né gridare all'allarme fascista nel tentativo di addossare a Giorgia Meloni o a Matteo Salvini qualche responsabilità: è sufficiente citofonare a casa del ministro dell'Interno. Come è possibile infatti che quattro facinorosi, come li ha definiti Draghi, siano riusciti a sfondare i cordoni delle forze dell'ordine e addirittura ad aggirarli? Quando in passato polizia e carabinieri hanno voluto contrastare una manifestazione nel centro della Capitale, anche più numerosa di quella di tre giorni fa, non hanno avuto problemi. Che cosa non ha funzionato quindi sabato? Quali e di chi sono stati gli errori? Su questo ci si dovrebbe interrogare, piuttosto che organizzare cortei antifascisti e chiedere prese di distanza dal Ventennio come, per cercare di alzare un polverone e nascondere il problema dell'applicazione del green pass, si sta facendo a sinistra. Per carità: massima solidarietà alla Cgil, anche se analoghe aggressioni a sedi di Ugl, Lega e Fdi non hanno suscitato né lo stesso sdegno né identiche preoccupazioni. Condanna fermissima nei confronti della violenza fascista (ma già che ci siamo anche di quella comunista, anarchica e dei centri sociali, che in questi anni non sono mancate). Tuttavia, non si può eludere il problema e lo dimostrano le manifestazioni pacifiche che si sono tenute a Genova e Trieste ieri, con la partecipazione di decine di migliaia di persone, cioè quanto quelle che hanno sfilato nella Capitale. Chi minaccia di bloccare due dei principali porti italiani non sono i fascisti, ma i portuali che, uniti ad altre migliaia di individui, contestano l'introduzione di una misura che comprime le libertà personali. A Genova c'erano le bandiere rosse di Rifondazione comunista e a Trieste i gilet arancioni di quelli che un tempo avremmo chiamato «camalli», termine ligure che abbiamo imparato a conoscere dovendo fare i conti con gli scaricatori delle navi. Cioè, quelli che sfilavano non erano manipoli di camicie nere, come si vorrebbe dare a intendere. Ma lavoratori, i quali dal 15 di ottobre, cioè fra tre giorni, rischiano di rimanere senza stipendio in quanto renitenti al vaccino. Si può discutere fin che si vuole sulle ragioni per cui queste persone non vogliano sottoporsi all'iniezione anti Covid, ma sta di fatto che 5 dei 23 milioni di lavoratori italiani non hanno ricevuto né la prima né la seconda dose di siero. Che facciamo? Li escludiamo, lasciandoli per punizione, senza neppure il reddito di cittadinanza che regaliamo perfino a chi non ha voglia di lavorare? E come ci comportiamo con gli altri 3 milioni di italiani, di casalinghe e pensionati, che pure diffidano della puntura? Li chiudiamo in casa vietando loro di frequentare luoghi pubblici? Tralascio gli effetti di simili misure, per le aziende e per i consumi. Ma anche uno sprovveduto, non un ministro, capirebbe che si sta innescando uno scontro sociale dagli esiti inimmaginabili. Anche un ragazzino, non un prefetto, comprenderebbe che non si possono escludere dalla vita sociale 8 milioni di italiani, vale a dire il 15% della popolazione adulta. In Francia, Olanda e Germania ci sono milioni di persone che non hanno intenzione di vaccinarsi, eppure nessuno accarezza l'idea di lasciarle a casa, né si parla di rigurgiti fascisti quando queste scendono in piazza. La nostra Costituzione garantisce il diritto al lavoro e pure quello di scegliere di curarsi. Diritti che certamente possono essere compressi in caso di emergenza, ma oggi l'emergenza non c'è. Basta guardare i dati per rendersene conto. Siamo tra i Paesi con il maggior numero di vaccinati. L'80% della popolazione adulta è ormai vaccinata e se si considerano le persone ritenute a rischio, cioè chi ha più di 60 anni, tra prima e seconda dose si supera in media l'85%. In terapia intensiva ci sono 364 pazienti e i ricoverati per Covid sono poco più di 2.500. Una situazione che è frutto della copertura vaccinale, delle misure precauzionali e di una migliore conoscenza del virus che ha portato ad affinare le cure domiciliari. Nessuno lo nega. Come nessuno però può negare che non si tratti di un'emergenza. Allora, perché introdurre una misura che alimenta lo scontro sociale, senza risolvere il problema? È questo l'accompagnamento gentile verso il vaccino? O il problema, come sempre, è inventare un pericolo per far passare altro? Ma i compagni, quelli che sono sempre pronti a schierarsi contro chi criminalizza il dissenso, dove sono finiti? Forse sono andati a nascondersi per la vergogna?
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