2021-06-12
Vaccini, l’Ema aveva avvertito.«Non dateli sotto ai 30 anni»
Oltre un mese fa, l'Agenzia europea precisava che, nei giovani, i rischi del farmaco sono superiori ai benefici. E un'analisi della fondazione Hume ammoniva: «Sono ignote le complicanze a lungo termine dei rimedi a Rna» Eh no, vale sia per la politica sia per gli esperti: nessuno ha il diritto di cascare dal pero e di assumere un'aria stupita, come se la questione dell'opportunità (anzi: dell'inopportunità) di vaccinare bambini, ragazzi e giovani non fosse mai stata posta prima dell'ultima dolorosa vicenda della povera Camilla Canepa. Giornalisticamente, La Verità ha sollevato con forza il tema in prima pagina già il 31 maggio scorso, lanciando un ben preciso allarme. Dicevamo testualmente che anche chi condivideva la vaccinazione e la campagna vaccinale in genere avrebbe però dovuto avvertire una certa preoccupazione per la leggerezza con cui si chiedeva ossessivamente ai più giovani, agli adolescenti (e in prospettiva perfino ai bimbi) di farsi iniettare il siero. E rispetto all'argomento classico di chi invece insisteva (sostenendo che così si sarebbe potuta ridurre ulteriormente la circolazione ipotetica del virus), rispondevamo che adesso siamo in un contesto completamente diverso e migliore rispetto a sei mesi fa, quando la campagna vaccinale non era cominciata, e gli anziani di casa erano effettivamente a rischio. Ora, invece, se il numero di ultraottantenni (e ultrasettantenni, e ultrasessantenni) vaccinati è già fortunatamente molto alto, non si vede perché sia così impellente la vaccinazione di bambini, ragazzi e adolescenti. Chi doveva essere protetto, perché potenzialmente vulnerabile, ha già avuto la sua iniezione. Perché dunque esporre i più piccoli ai rischi (sia pur limitati, ma pur sempre ai rischi) di una vaccinazione? Del resto, anche quando si tratta - ogni anno - dell'influenza ordinaria, l'enfasi informativa è giustamente sulla protezione dei più anziani e dei più deboli, ben più che su quella dei ragazzi. E non a caso citavamo Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri, che a più riprese, riferendosi in particolare agli adolescenti, aveva fatto osservare che, considerando che più si scende con l'età e meno ci si ammala di Covid, per i giovanissimi i rischi legati al vaccino - pur statisticamente contenuti - diventavano superiori a quelli della malattia. Ma non finisce qui. Risalendo all'indietro nel tempo, c'erano stati anche altri e assai autorevoli allarmi. Il 25 marzo, in un articolo per la fondazione Hume guidata da Luca Ricolfi, Mario Menichella (esaminando studi Usa riferiti a due vaccini a mRna come Pfizer e Moderna) aveva stimato a 25 anni di età quello che potremmo chiamare il punto di break even tra rischi e benefici: sotto i 25 anni, insomma, il gioco rischia di non valere la candela. Attenzione, perché un paio di mesi dopo l'articolo di Menichella, la stessa Ema era giunta a conclusioni simili, ponendo l'asticella - in quel caso - a 30 anni: sotto quella soglia, più rischi che benefici. L'analisi di Ema era centrata su Astrazeneca (come sappiamo, un vaccino a vettore virale, quindi costruito secondo un criterio diverso rispetto a quelli a mRna). Si badi: Ema aveva focalizzato la sua attenzione sul rischio di morte per trombosi. E Menichella aveva ragionevolmente osservato che, poiché le morti per trombosi sono solo una parte delle possibili morti per reazione avversa al vaccino, trovare il punto di pareggio a 30 anni (per le trombosi) lascerebbe presagire esiti ancora più preoccupanti rispetto a tutte le potenziali cause di morte post vaccino. Sempre sul tema delle trombosi, va ricordato un recente preprint di un paper tedesco (centrato sui vaccini a vettore virale, come Astrazeneca e Johnson&Johnson) che sostiene di aver trovato le cause di complicanze tromboemboliche e coaguli di sangue. E c'è anche un tema più generale e di fondo: va altresì sottolineato (con enorme onestà intellettuale Menichella ribadisce spesso il punto nei suoi articoli) che, per evidenti ragioni, nessuno conosce gli effetti a medio e lungo termine dei vaccini anti Covid, ora somministrati per la prima volta. Peraltro il meccanismo dell'mRna (quello che riguarda Pfizer e Moderna, non Astrazeneca e J&J) non è mai stato usato prima in vaccini, e quindi siamo dinanzi a un inedito assoluto. A maggior ragione, dinanzi a tutte queste incognite, ha senso esporre a rischi potenzialmente significativi chi realisticamente non corre alcun pericolo mortale per il Covid, come i ragazzi? Tra l'altro, annota ancora Menichella, le reazioni avverse (anche quelle non gravi o addirittura mortali) sono più frequenti proprio tra le classi di età più giovani: il che dovrebbe a maggior ragione indurci alla prudenza nei loro confronti. Esattamente il contrario di ciò che si è fatto. Si è invece preferito, purtroppo, lanciare gli open day per smaltire ciò che stava in frigorifero, accompagnando l'operazione con pressioni psicologiche massicce nei confronti dei ragazzi. Esponendoli ai pericoli che ora tutti comprendono, ma che i decisori avrebbero già dovuto conoscere. Non potevano non sapere. E oggi, anziché porsi il tema della somministrazione di qualunque vaccino (sia quelli a vettore virale sia quelli a mRna) ai più giovani, preferiscono incolparne solo uno, quello anglosvedese.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)