2019-02-11
Le vere femministe contro il Me too: «Le donne diverranno i nuovi oppressori»
Tre diverse autrici radicali (Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser) attaccano le attiviste hollywoodiane: «Vogliono soltanto il potere di perpetuare l'ingiustizia sociale».Ci voleva un bel gruppo di attiviste radicali per smascherare il grande inganno del «femminismo hollywoodiano» che ha dominato questi ultimi anni. Servivano delle femministe durissime e purissime per mostrare il Me too (e tutte le sue filiazioni anche italiane) per quello che è in realtà, ovvero un giochino di potere. Ci volevano donne - anzi, femmine - arrabbiatissime per fare il contropelo alle star che da mesi e mesi continuano ad alimentare la retorica del maschio cattivo che deve farsi da parte per lasciare spazio alle ragazze brave e buone. Jessa Crispin, editorialista del Guardian e del New York Times, è l'autrice di un manifesto intitolato Perché non sono femminista (edito in Italia da Big Sur) la cui lettura è molto utile proprio perché la signora in questione non ha timore di prendersela con le «colleghe» che hanno dichiarato guerra all'uomo pur di ottenere un pizzico di visibilità in più. «Se il femminismo non è altro che un guadagno personale fatto passare per progresso politico, non fa per me», scrive la Crispin nell'introduzione al suo feroce pamphlet. A suo parere, il femminismo è diventato «una lotta per consentire alle donne di partecipare, alla pari, all'oppressione dei deboli e dei poveri», nonché «un modo per censurare e mettere a tacere chiunque non sia d'accordo». Intendiamoci, la Crispin prende le mosse da posizioni estreme. Ma per quanto, in larga parte, le sue idee non siano condivisibili, la sua analisi del «femminismo universale» è lucidissima. L'attivista se la prende con «la tendenza del femminismo contemporaneo a vedere le donne in posizioni di potere come un bene in sé, donne come Hillary Rodham Clinton [...] e altre donne illustri il cui comportamento sarebbe stato condannato dalle femministe, se solo fossero appartenute all'altro sesso». Sulle stesse posizioni si collocano tre autrici americane forse ancora più radicali della Crispin, ma sicuramente interessanti. Si tratta di Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser. Laterza ha pubblicato il loro feroce pamphlet intitolato Femminismo per il 99%, e anche in questo caso si tratta di un «manifesto». Le tre studiose non perdono tempo e si avventano sull'obiettivo. «Nella primavera del 2018», scrivono, «Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook, ha informato il mondo che “staremmo decisamente meglio se metà dei Paesi e delle aziende fossero gestiti da donne e metà delle case fossero gestite da uomini: non possiamo ritenerci soddisfatte fino a quando quest'obiettivo non sarà raggiunto". Esponente di punta del femminismo delle donne in carriera, Sandberg si era già fatta un nome (e un bel gruzzolo) esortando le donne manager a “farsi avanti" nelle stanze dei consigli di amministrazione».La Sandberg, insomma, è una Vip. Una delle tante che in questo periodo si sono spese per la «causa femminile». Attrici, modelle, manager: esponenti di un'élite che ripete sempre lo stesso concetto. Ovvero che il mondo dovrebbe essere guidato dalle donne, che le donne dovrebbero avere più spazio nelle stanze del potere. Queste donne, scrivono le nostre femministe radicali, «vogliono un mondo in cui uomini e donne della classe dominante condividano equamente il compito di gestire lo sfruttamento sul posto di lavoro e l'oppressione nella società. Si tratta di una visione strabiliante di pari opportunità di dominio, per cui si chiede alle persone comuni, in nome del femminismo, di esser grate che sia una donna e non un uomo a mandare a rotoli il loro sindacato, a ordinare a un drone di uccidere i loro genitori». Certo, lo abbiamo detto fin da subito: la visione di queste femministe è estrema, e talvolta fin troppo innervata (pur in maniera inconsapevole) di politicamente corretto. Eppure su un punto hanno totalmente ragione: la retorica sui diritti delle donne che i maschi vogliono negare è una gigantesca bugia. Serve, semplicemente, a frammentare, a dividere il popolo per meglio dominarlo. Va molto di moda, per esempio, la polemica sul cosiddetto «gender pay gap». C'è anche una sorta di «pubblicità progresso» finanziata dall'associazione Valore D che rimbalza costantemente sulla tv italiana e spiega che, nel settore privato, le donne guadagnano circa il 17,9% in meno degli uomini. Ovviamente, quando se ne parla nessuno dice che tale differenza salariale riguarda quasi esclusivamente chi già sta ad alti livelli, e colmarla servirebbe soprattutto a far guadagnare più denaro a una piccola fetta di privilegiate. Le donne «comuni», quel 99% di cui parlano le attiviste radicali, non trae alcun beneficio da battaglie di questo genere. Possiamo anche non concordare su alcune istanze delle studiose di cui abbiamo fatto i nomi, ma ciò che scrivono contribuisce a fare chiarezza sulla situazione attuale. Il conflitto fra uomini e donne che le femministe Vip hanno messo in piedi serve soltanto ad alimentare il loro potere e a saziare la loro fame di dominio. Uomini e donne dovrebbero, semmai, collaborare per migliorare le condizioni di tutti, non porsi gli uni contro le altre armati per accontentare qualche attricetta o qualche manager ambiziosa. La contrapposizione che queste vestali hanno contribuito a creare ci sta trasportando in una dimensione davvero sadica dell'esistenza. Come scriveva Maurice Blanchot, la filosofia basilare di Sade «è una filosofia dell'interesse, e, in seguito, dell'egoismo integrale. Ognuno deve fare ciò che gli piace, ognuno non ha altra legge che il proprio piacere. Questa morale ha come fondamento il dato primario della solitudine assoluta [...]. Tra un uomo e l'altro non esiste alcuna specie di rapporto». Tra uomo e donna, oggi, divampa la guerra, proprio perché a dominare è la filosofia dell'interesse, dell'egoismo. Quella di cui si nutre il moloch neoliberista. Il quale favoleggia di «diritti» e «libertà», ma a ben guardare non fa altro che alimentare il desiderio sfrenato, un veleno che conduce alla solitudine e all'odio. Sade lo aveva capito, e tramite il personaggio della perfida Juliette (sorella della virtuosa Justine) ha svelato la vera natura della donna affamata di potere, disposta a tutto pur di riuscire. Questo tipo di donna fa parte di quell'1% che, con la scusa della sorellanza, punta a costruirsi un radioso avvenire di dominio.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
Continua a leggereRiduci