2024-03-03
Le spie russe umiliano Berlino. Parigi tiene in caldo le forze speciali
Scholz ammette che Mosca ha intercettato i dialoghi riservati sui missili Taurus: «Fatto grave». Se i soldati tedeschi non partiranno, quelli francesi sembrano pronti a farlo: l’Eliseo convoca i partiti per un annuncio. Il principale quotidiano italiano fa da megafono alle accuse dell’oppositore Nevzorov. Che ammette: «Non ho riscontri».Lo speciale contiene due articoli.È la guerra, bellezza. Sempre meno fredda. Con le basi Cia al confine tra Russia e Ucraina, le infiltrazioni di soldati occidentali, i voli degli F-35 americani. E le classiche spie di Mosca.Come quelle che hanno captato le conversazioni di alcuni alti ufficiali dell’aeronautica tedesca, mentre discutevano della fornitura di missili Taurus a Kiev e del rischio che la resistenza li utilizzasse per colpire obiettivi sensibili. Ad esempio, il ponte che collega la Crimea al territorio della Federazione. La registrazione del colloquio è stata pubblicata dal canale Russia Today - oscurato nell’Ue - ed è stata diffusa sui social. Il ministero della Difesa di Berlino ha confermato che l’intercettazione c’è stata; tuttavia, non è in grado di stabilire «se siano state apportate modifiche alla versione registrata». L’esercito considera «autentico» il contenuto dell’audio e il governo assicura che il controspionaggio militare «ha adottato tutte le misure necessarie». Il regime di Vladimir Putin, però, alza le mani. Anzi, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha chiesto spiegazioni alla Germania. L’episodio aumenta la pressione attorno al cancelliere Olaf Scholz. Ieri, a margine della sua visita in Vaticano, il leader dei socialdemocratici ha ammesso che quella della fuga di informazioni è «una questione molto seria» e ha promesso un’«indagine molto accurata, molto estesa e molto rapida». Nondimeno, al congresso del Pse a Roma, ha ribadito che «non manderemo truppe» in Ucraina «e faremo di tutto per evitare questa evoluzione».Il capo dell’esecutivo è alle prese con l’incalzante richiesta di fornire agli ucraini i razzi a lunga gittata. Lui, restio alla consegna per timore di un’escalation con i russi, ha reagito alle insistenze della Gran Bretagna, svelando dettagli imbarazzanti sulle attività di inglesi e francesi al fronte. «Ciò che fanno in termini di controllo dei bersagli», ha precisato, «la Germania non può farlo». Scholz, in pratica, ha dichiarato pubblicamente che Londra e Parigi assistono Kiev nel lancio dei missili Storm shadow, suscitando le ire del ministro della Difesa inglese, Ben Wallace, il quale ha definito il politico tedesco «l’uomo sbagliato, al posto sbagliato, nel momento sbagliato». Che uomini e mezzi di Paesi Nato operino in Ucraina, comunque, era il segreto di Pulcinella. Ieri, sulla Verità, vi abbiamo dato conto di ciò che è stato documentato finora: il ruolo dell’intelligence Usa, il contributo dei caccia di quinta generazione nell’individuazione delle batterie russe di terra-aria, la presenza sul campo di forze speciali di Lituania, Stati Uniti, Regno Unito, Olanda e Francia. Che ormai è uscita allo scoperto.A Emmanuel Macron non è bastato rivendicare le frasi sull’invio di truppe - ogni sua parola, ha garantito, è «pesata, pensata e misurata». Venerdì sera, Le Monde ha svelato cosa avrebbe in mente monsieur le président: vorrebbe consentire alle forze speciali di mettere gli stivali sul terreno, per porre la Russia dinanzi a un «dilemma strategico». Confiderebbe, così, di dissuadere Putin dall’attaccare le aree nelle quali sarebbero di stanza i transalpini. In realtà, si tratterebbe semplicemente di portare alla luce ciò che finora è avvenuto nell’ombra, anche con il contributo dei servizi segreti. I quali, ha ricordato al quotidiano francese un ex dipendente della direzione generale della Sicurezza esterna, Vincent Crouzet, «non sono soggetti alle leggi di guerra». Secondo una fonte di Kiev, tutte le nazioni alleate sarebbero già in Ucraina, sebbene non abbiano unità combattenti. Circostanza confermata da un funzionario della Difesa europea, che al Financial Times ha illustrato l’obiettivo della sortita di Macron: non tanto passare a una nuova fase dell’impegno bellico, dato che le forze speciali occidentali sono già coinvolte, quanto creare «deterrenza e ambiguità». In fondo, se subito dopo la sua proposta il presidente ha raccolto una bocciatura quasi unanime, inclusa quella del segretario della Nato, nelle ultime ore sono arrivate varie adesioni: quella di due Repubbliche baltiche, la lituana e l’estone, e quella del Canada. L’inquilino dell’Eliseo deve avere progetti abbastanza grandi da giustificare la convocazione, per giovedì prossimo, di tutti i capi dei partiti, per parlare della «situazione in Ucraina». S’incrociano due piani: quello delle ambizioni di Parigi, decisa ad approfittare della ritirata di Washington per imporre la propria egemonia sul Vecchio continente, anche attraverso il predominio militare; e il tentativo di scoraggiare eventuali colpi di coda dello zar, in una fase in cui l’inerzia del conflitto pende a favore di Mosca.La verità è che un dilemma strategico attanaglia pure noi. L’Occidente deve evitare una catastrofe planetaria, ma al contempo non può permettersi una capitolazione. Perdere l’Ucraina significherebbe trasmettere alle potenze che intendono sfidarne il primato - la Cina che punta a Taiwan, oltre ai nemici di Usa e Israele in Medio Oriente, Iran in testa - che l’ordine mondiale si può scompaginare. Ma nemmeno a Putin è consentito mollare l’osso: c’è in ballo la possibilità di assicurarsi uno sbocco nel Mediterraneo, di controllare l’istmo ponto-baltico e, soprattutto, di scongiurare quello che l’élite russa considera un assedio della Nato.È un guaio, perché una trattativa di pace implica la disponibilità a un compromesso. Qui, invece, siamo dinanzi a uno stallo totale: nelle trincee e nelle valutazioni politiche delle parti. Man mano, aumenta il pericolo di finire trascinati in una guerra dai contorni apocalittici. Non è più fantastoria. Ci siamo dentro fino al collo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-spie-russe-umiliano-berlino-2667417709.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="putin-paga-i-vostri-media-e-il-corriere-rilancia-senza-uno-straccio-di-prova" data-post-id="2667417709" data-published-at="1709472770" data-use-pagination="False"> «Putin paga i vostri media». E il «Corriere» rilancia senza uno straccio di prova I funerali di Alexei Navalny, celebrati lo scorso venerdì, hanno giustamente attirato l’attenzione dei media occidentali, che quando svolgono correttamente il loro lavoro fungono, secondo la nota definizione, da «cani da guardia» del potere. La morte in prigione di un oppositore politico è senz’altro un avvenimento da mettere in risalto e un’occasione per interrogarsi su temi importanti, come tutte le edizioni dei quotidiani di ieri hanno fatto, ma anche in certi casi per lanciare messaggi di altro tipo. Accanto al racconto della cerimonia funebre e della sepoltura di Navalny, il Corriere della Sera ieri ha proposto un’intervista ad Alexander Nevzorov, giornalista e deputato della Duma dal 1993 al 2007, il quale vive in Italia sotto protezione dopo essere fuggito da Mosca, il 22 marzo del 2022, per scampare alle accuse di diffondere false informazioni, reato per cui secondo la legge russa rischierebbe fino a 15 anni. «Più pressione sul regime. Da voi tanti fan di Mosca», ha titolato la conversazione il giornale milanese di Via Solferino, facendo eco alle parole di Volodymyr Zelensky di qualche giorno fa, quando in occasione della firma del patto bilaterale con il nostro presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva dichiarato: «Sappiamo però che in Italia ci sono tanti filoputiniani e in Europa anche. Stiamo preparando una loro lista, non solo riguardo all’Italia, da presentare alla Commissione europea».La breve intervista a Nevzorov si concentra sulla situazione in Russia e sulla possibilità o meno di un cambiamento dall’interno, cosa che l’interlocutore tende a escludere, tuttavia anche in uno degli occhielli a lato dell’articolo, quelli che si leggono quando si sfoglia frettolosamente il quotidiano, vengono messe in risalto le parole riguardanti questa presunta schiera di opinionisti al soldo dello zar: «Vladimir Putin ha tanti soldi e da sempre compra sostenitori», si legge nelle righe di sommario. «L’Italia è un Paese grande ed è un mercato importante per lui. Lo ha fatto anche in altri Stati europei, ha creato una rete». Nell’intervista, in realtà, il rilievo è ancora più esplicito: «Ha creato una vera e propria rete e ha pagato tantissimi opinionisti italiani perché dicano quello che vuole lui. È una pratica in atto da anni». Al che la giornalista, giustamente, ha chiesto al russo: «È un’accusa molto grave, ha prove di quello che dice?». Una domanda più che legittima, a cui l’intervistato ha risposto: «No, non possiamo accusare qualcuno in particolare, ma sappiamo chi sono e vediamo il risultato». Quindi, ricapitolando: secondo Nevzorov in Italia ci sono non uno, non dieci, bensì «tantissimi opinionisti» al soldo di Putin, ma è lui stesso ad ammettere di non avere alcuna prova che lo dimostri. Ora, l’oppositore russo ha tutto il diritto di pensarlo, ma prima di gettare fango sulla stampa italiana e sui suoi opinionisti in generale, forse dovrebbe avere qualcosa in mano. E dovrebbe essere il principale quotidiano italiano a chiedergliene conto, prima di fare da semplice megafono.Se il messaggio che la morte di Navalny ha lasciato al mondo è il valore delle libertà politiche e civili, anche le accuse senza prove non fanno bene alla democrazia, come già sapevano oltre due millenni fa gli inventori di questa straordinaria forma di governo, gli ateniesi. Esiste anche la possibilità, ebbene sì, che chi esprime preoccupazioni per il sostegno a oltranza verso Kiev, viste anche le ultime affermazioni di un noto leader europeo, non sia pagato da Putin, ma abbia solo conservato un minimo di senno o semplicemente non condivida la pressione bellicista a reti unificate.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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