2020-04-08
Le sinistre brindano per il ricovero di Boris Johnson in terapia intensiva
Giornali, politici e intellettuali festeggiano con il pretesto della famosa frase sull'immunità di gregge, in realtà mai pronunciata dal premier. Nel suo caso non vale il «restiamo umani»: deve pagare il successo della Brexit.Davanti ai campioncini del politicamente corretto, di fronte ai gendarmi progressisti, dinanzi alla psicopolizia antiliberale e anticonservatrice, Boris Johnson paga tutte insieme le sue «colpe». E così, intellettuali, politici e commentatori, che in altra epoca passavano il loro tempo a gingillarsi su Twitter intorno all'hashtag #restiamoumani, non si sono fatti il minimo problema dapprima a esultare come una curva da stadio per la positività al coronavirus del premier britannico, e poi a proseguire i festeggiamenti perfino dopo la grave notizia del suo ricovero in terapia intensiva. Per la cronaca, Johnson e la sua compagna Carrie Symonds (a sua volta malata) stanno anche aspettando un bimbo, ma nemmeno questo ha placato il plotone d'esecuzione.Quali sono le colpe di Johnson? Forse il riferimento all'«immunità di gregge»? Ma no, chi lo massacra per questo sa benissimo che il premier britannico quell'espressione non l'ha mai pronunciata. A citarla infelicemente era stato il suo «Brusaferro», sir Patrick Valiance. Certo, per una settimana, la confusione ha fatto gioco a politici e corrispondenti mainstream, a cui non è parso vero di mettere in bocca a Johnson frasi che non aveva mai pronunciato.Semmai, il leader conservatore, unico capo di governo al mondo, aveva avuto il coraggio di ammettere da subito che la guerra al coronavirus sarebbe stata lunga e dura. Altro che negazione: «Molte famiglie perderanno i propri cari», aveva detto. Ma anche lì è subito scattata la falsificazione, la manipolazione, aggiungendo un'altra cosa mai detta da Johnson, e cioè l'idea che ci si dovesse «abituare» a tutto questo. Ma per i media italiani, quasi unanimi, la frase è diventata: «Abituiamoci a perdere i nostri cari», tanto per dare l'immagine di un uomo cinico pronto a sacrificare gli anziani e più deboli del Regno Unito.E' stato tutto giusto nella gestione di Johnson? Probabilmente no, eppure l'inquilino di Downing Street si è mosso in base a tre obiettivi. Primo: provare a spostare in avanti il momento del picco, per evitare che sin da subito i reparti di terapia intensiva fossero presi d'assalto, com'era avvenuto in Italia. Secondo: a mano a mano che il lockdown si rendeva inevitabile, tentare di introdurlo non con la minaccia di sanzioni penali, ma restando nell'alveo delle libertà, consigliando in modo forte ai britannici alcuni comportamenti («Strong advice»), ma senza umiliare il loro istinto di libertà. Terzo: garantirli economicamente. Il giorno stesso in cui Johnson ha chiuso tutto, ha riconosciuto ai lavoratori dipendenti l'80% del loro stipendio (fino a 2.500 sterline, non so se mi spiego) e a tutti gli autonomi l'80% del loro fatturato dell'anno prima. Per capirci: diversamente da Giuseppi, non ha messo i cittadini agli arresti domiciliari, ma li ha invitati a stare a casa, contemporaneamente aprendo un ombrello economico enorme.E non a caso tutti i sondaggi stanno registrando livelli di popolarità mai visti per Johnson: i britannici hanno premiato proprio il fatto che abbia chiuso tutto solo come extrema ratio, e non per istinto autoritario, e che abbia offerto adeguata protezione economica a tutti. Ma questo non conta per gli odiatori del premier britannico. Pierluigi Lopalco, medico oltre che responsabile del contrasto al coronavirus in Puglia, il 27 marzo ha twittato garrulo: «La fortuna è cieca ma il virus ci vede benissimo», alla notizia della positività di Johnson, ottenendo subito il cuoricino di Roberto Burioni. L'altra sera, alla notizia del ricovero in terapia intensiva data da Lilli Gruber, a Massimo Cacciari non è parso vero di mormorare una battutina sull'immunità di gregge. Ieri sulla Stampa non è mancato un po' di psicologismo d'accatto: Johnson ha sempre provato ad «emulare Churchill, ma con questa smania sta rischiando troppo». La smania. Sul Corriere, dove un giorno sì o uno no si loda la Cina di Xi Jinping, ma che è la testa d'ariete mediatica della campagna anti Johnson (l'altro giorno non è mancata un'incredibile annotazione sul fatto che Johnson «continuava a sputacchiare», testuale), ieri è arrivata la sentenza: il premier era «impreparato per indole e idee». E perché, di grazia? Perché «ultra liberale, anzi libertario»: dunque, par di capire, se uno non apprezza gli arresti domiciliari e li decide per il suo popolo soltanto controvoglia, è quasi inevitabile essere punito dalla sorte. Curiosa teoria. Ma allora quali sono le vere «colpe» di Boris? Elementare, Watson. Primo: è un conservatore. Secondo: crede nelle libertà. Terzo: ha voluto e realizzato Brexit, mostrando che si può uscire per davvero dalla gabbia dell'Ue. Quarto: ha stravinto le elezioni, battendo un impresentabile bolscevico come Jeremy Corbyn. E soprattutto, quinto: ha smentito una per una tutte le previsioni dell'Inviato unico, del Corrispondente collettivo. Troppo per i nostri «progressisti», che ora ballano oscenamente davanti al suo lettino di terapia intensiva.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)