2022-06-13
Sanzioni boomerang, abbiamo un piano b?
Ursula von dei Leyen (Ansa)
La realtà smentisce le teorie su un veloce crollo dell’economia russa. Anche sul campo Vladimir Putin continua a conquistare territori. Intanto l’inflazione distrugge l’Occidente e le mosse della Bce sono benzina sul fuoco. Secondo gli analisti, la Russia avrebbe dovuto crollare in poche settimane sotto il peso delle sanzioni. Era la fine di febbraio quando i cosiddetti esperti formularono queste previsioni. Secondo loro, Mosca non avrebbe potuto resistere all’esclusione dai circuiti finanziari e al blocco delle sue riserve estere. Le banche e le principali aziende del Paese avrebbero dovuto dichiarare fallimento, incapaci di rimborsare le rate dei finanziamenti e anche l’industria, non potendo ricevere componenti fondamentali per le sue produzioni, si sarebbe trovata in enorme difficoltà. Per non parlare della carenza di beni di prima necessità, che presto avrebbe svuotato gli scaffali. Tuttavia, a tre mesi e mezzo dall’invasione dell’Ucraina e a oltre 100 giorni dall’entrata in vigore dell’embargo nelle transazioni, a cui si sono aggiunte altre misure punitive, niente di tutto quanto era stato immaginato si è verificato. Ora gli stessi analisti che avevano previsto a più riprese il default, spostandone la data ogni volta un po’ più in là, sostengono che il crac arriverà dopo l’estate. Anzi, alla fine dell’anno, quando diventerà operativo il blocco delle importazioni di petrolio via nave.Non so se questa volta i cosiddetti esperti azzeccheranno il pronostico, però mi permetto di segnalare che, al momento, la Russia ha un surplus commerciale che non si era mai visto, e grazie all’aumento del prezzo dei combustibili e a quello di alcune materie prime indispensabili per l’Occidente e anche per i Paesi in via di sviluppo, sembra tutt’altro che prossima a fallire. Anzi, dopo aver piegato l’Europa, costringendola di fatto a pagare in rubli le forniture di metano che sono indispensabili per la Ue, Mosca non pare avere problemi di liquidità e ciò che non regola ufficialmente, tramite i canali tradizionali che le sono vietati, lo fa in nero, pagando e incassando attraverso sistemi di triangolazione che sono da anni il modo con cui i Paesi sanzionati resistono.In compenso, a essere messa peggio di quanto ci si aspettasse è l’Unione, che non solo deve sobbarcarsi i costi di una guerra, finanziare l’invio di armi, il sostegno alla popolazione ucraina ridotta alla fame, ma anche l’accoglienza di sette milioni di profughi. A questo si aggiunge una serie di effetti collaterali che consistono nell’aumento vertiginoso dei prezzi dei combustibili e un’inevitabile inflazione che rischia di mandare fuori controllo i conti dell’Europa e perfino degli Stati Uniti. Mi ha molto colpito ciò che è accaduto nella settimana appena trascorsa. Di fronte alla rincorsa dei prezzi, le Banche centrali hanno cominciato a mettere mano ai tassi per raffreddare la spinta dei rincari e, allo stesso tempo, Christine Lagarde ha annunciato la fine degli acquisti dei titoli di Stato da parte della Bce, misura che quando fu introdotta da Mario Draghi riuscì a contenere le spinte speculative e a stabilizzare la situazione. Le parole della governatrice della Banca centrale europea sono state benzina sul fuoco: hanno infatti fatto precipitare le Borse di mezzo mondo, bruciando centinaia di miliardi e facendo schizzare lo spread, che per quanto ci riguarda si è avvicinato pericolosamente alla soglia dei 250 punti contro i Bund, ossia i titoli di Stato tedeschi. In pratica, quello che è accaduto la scorsa settimana ha dimostrato senza alcun dubbio che le sanzioni contro Putin fanno più male a noi che a Mosca, perché spingono all’insù i prezzi delle materie prime, generando inflazione e costringendo gli istituti centrali a politiche restrittive. Cosa a cui forse i russi sono preparati, ma noi no.Significativo è l’incipit di un articolo di Federico Fubini apparso sul Corriere della Sera. Dopo essere stato un sostenitore delle decisioni adottate con l’invasione dell’Ucraina, il vicedirettore di via Solferino ha attaccato così il suo editoriale: «La persona più influente per le scelte della Banca centrale europea oggi non siede a Francoforte, né in una delle capitali dell’area euro. Quella persona sta al Cremlino». In pratica, dopo mesi di chiacchiere sull’efficacia delle decisioni adottate contro Mosca, qualcuno si accorge che i danni più gravi li subiamo noi.A questa considerazione, che ormai emerge anche sulle pagine dei giornali più guerrafondai, se ne aggiunge un’altra. Nelle prime settimane di guerra abbiamo letto fiumi di parole dedicate alla disfatta dell’esercito russo, sconfitto dalla reazione eroica degli ucraini e ricacciato nelle retrovie. Gli analisti in questo caso ci hanno spiegato che l’armata di Putin era mal equipaggiata e peggio rifornita. A causa della corruzione e della disorganizzazione, non solo la guerra poteva essere vinta da Kiev, ma forse era possibile perfino rovesciare il tiranno, o per lo meno questo è ciò che Joe Biden si augurava. Anche perché, spiegavano gli esperti, Mosca stava per esaurire sia i carrarmati che i missili, per non parlare dei proiettili. Oggi, a malincuore, si scopre che ad avere scarsità di mezzi, nonostante le promesse occidentali, sono gli ucraini i quali sarebbero costretti a lesinare i colpi da sparare per non rimanere indifesi. Di più, secondo fonti dell’intelligence americana, la Russia controllerebbe l’intero Donbass. Oh, certo, Mosca ha subìto perdite impressionanti e probabilmente ha collezionato una serie di errori che l’hanno indotta a ridimensionare i propri obiettivi. Tuttavia, anche Kiev ha subìto perdite enormi. A parte la catastrofica difesa di Mariupol, che ha condannato a una resistenza senza speranza migliaia di soldati e volontari, intere città sono state rase al suolo e, messa da parte la propaganda, Zelensky ha ammesso che i militari ucraini morti sono almeno 10.000, senza contare le vittime civili.A questo punto, visti gli insuccessi economici e quelli al fronte, una domanda si rende necessaria. Ogni giorno sento dire dai leader europei e in particolare da Ursula von der Leyen che l’Ucraina vincerà questa guerra. Naturalmente io me lo auguro, ma visti i risultati, dopo tre mesi e mezzo mi chiedo: e se così non fosse? Se Zelensky fosse indotto a una pace negoziata, cioè a cedere una parte del suo Paese, quello più ricco dal punto di vista industriale e delle materie prime oltre che i porti, a Putin, che accadrebbe? L’Ucraina ne uscirebbe a pezzi, ma anche l’Europa e l’America, alle quali resterebbe un conto economico e politico da pagare per anni, da cui sarebbe difficile riprendersi, ma che certo rappresenterebbe la fine del predominio occidentale, per di più nel cuore del Vecchio continente. Ribadisco, non mi auguro nulla di tutto ciò. Tuttavia mi chiedo: qualcuno ci ha pensato? Oltre al ritornello ripetuto dalla presidente della Commissione Ue e da Boris Johnson, esiste un piano B?