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2022-03-04
Le sanzioni si ritorcono contro di noi: Stellantis sospende la produzione
Ansa
I contraccolpi delle sanzioni cominciano a farsi sentire non solo sui prezzi e forniture di gas, petrolio e materie prime. Ma anche sull’operatività delle industrie e quindi sull’occupazione, già alle prese con il caro bollette e i problemi legati alla logistica. «Visto il perdurare della crisi per l’approvvigionamento dei semiconduttori», Stellantis ha comunicato «la sospensione dell’attività lavorativa fino alle ore 6 del 14 marzo prossimo nello stabilimento di Melfi, in provincia di Potenza». Lo hanno fatto sapere ieri i sindacati al termine di un incontro presso il sito produttivo lucano tra la direzione aziendale e l’Rsa della fabbrica da dove esce circa la metà di tutte le auto che il colosso nato dalle nozze tra Psa ed Fca produce in Italia annualmente. Nel corso della settimana ci sono stati fermi produttivi di due giorni pure a Cassino e anche sulla linea della 500e a Mirafiori si sono fermati tre turni di lavoro.
Anche Michelin ha fermato alcune attività negli impianti in Europa per difficoltà logistiche mentre Pirelli «allo stato attuale» non prevede di fermare la produzione «in nessuno stabilimento». Nel settore delle quattro ruote continua intanto la stretta verso la Russia. Volkswagen ha deciso di fermare la produzione nei siti di Kaluga e Nizhny Novgorod e di bloccare le esportazioni verso il Paese «fino a ulteriore comunicazione». Tutti i dipendenti coinvolti riceveranno comunque benefit, pagati da Volkswagen. Anche la giapponese Toyota ha annunciato la sospensione «fino a nuovo ordine» della sua produzione in Russia, a partire da oggi, e anche delle sue importazioni nel Paese, attribuendo la decisione a «interruzioni nella catena di approvvigionamento» legate al conflitto russo-ucraino.
Se l’auto rischia di finire in panne, le fonderie temono di rimanere a corto di ghisa. Per Fabio Zanardi, presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane (parliamo di un settore di oltre 1.000 imprese con 30.000 addetti), «le criticità riguardano principalmente l’approvvigionamento delle catene di fornitura, la logistica e l’energia» considerando che Russia e Ucraina sono ai vertici mondiali nella produzione di commodity determinanti per tutto il manifatturiero italiano, quali ghisa, alluminio, rame, nickel. Le stesse Fonderie Zanardi, in provincia di Verona, stanno affrontando un’altra escalation dei costi energetici tanto da essere costrette a sospendere immediatamente le attività fusorie e di trattamento, procedendo quindi allo spegnimento dei forni almeno per una settimana. Restano in difficoltà anche le acciaierie delle Ferriere Nord del gruppo Pittini. Un altro blocco, da ieri, ha interessato gli stabilimenti di Osoppo (Udine), Verona e Potenza. A seguire si fermerà anche la produzione dei laminatoi in tutti gli stabilimenti.
Sullo sfondo, restano i rischi per le forniture di gas: nel giorno in cui dal valico di Tarvisio (Udine) il gas proveniente dalla Russia è defluito regolarmente, con 82 milioni di metri cubi sui 300 di fabbisogno giornaliero, in Germania si è registrato uno stop. Dopo un drastico calo nelle ultime ore, i flussi dal gasdotto Yamal-Europa che dalla Russia attraversa la Polonia e arriva in Germania si sono azzerati, secondo la tedesca Gascade che lo gestisce. Yamal è uno dei tre gasdotti utilizzati dalla russa Gazprom che ieri ha annunciato di aver prenotato una capacità di transito aggiuntiva. Resta da capire se verrà utilizzata o meno. Intanto il ministro dell’Energia ucraino ha chiesto agli alleati europei di fermare gli avquisti di gas con la Russia. L’Italia ha già iniziato a smarcarsi da Mosca, che secondo i dati Snam nei primi due mesi dell’anno è stata sorpassata dall’Algeria. In gennaio sono giunti dal Paese nordafricano 1,92 miliardi di metri cubi e 1,6 dalla Russia. Sono cinque i valichi italiani che connettono la rete nazionale agli altri Paesi: Passo Gries (Verbania), collegato con il Nord Europa, Tarvisio (Udine) per il gas russo, Melendugno (Lecce) per quello proveniente dall'Azerbaijan, Melendugno (Trapani), per l’Algeria e Gela (Caltanissetta), collegata alla Libia. L’Italia poi è prima per stoccaggi di gas in nell’Unione europea: con un totale di 74,1724 Twh immagazzina il 23,4% dell’attuale capacità europea. Le scorte dell’Ue in questo momento sono al 28,64% del totale e quelle italiane sono al 37,51%, più che in Germania (28,16%) e in Francia (21,64%).
Dal fronte della finanza, si muovono anche le Generali: la compagnia triestina, il terzo assicuratore più grande d’Europa, chiuderà il proprio ufficio di rappresentanza a Mosca, lascerà gli incarichi ricoperti nel board della compagnia assicurativa russa Ingosstrakh, di cui detiene una quota di minoranza del 38,5%, e la controllata Europ assistance, che opera nel Paese, chiuderà la propria attività. «Per quanto riguarda gli investimenti finanziari e il business assicurativo, Generali sta valutando costantemente la propria marginale esposizione sul mercato russo ed è conforme al rispetto di tutte le sanzioni che potrebbero essere applicate», si legge in una nota. Restano invece per ora in Russia i suoi due azionisti di peso come Francesco Gaetano Caltagirone con Cementir e Leonardo Del Vecchio con Luxottica.
Allo scenario già cupo, si aggiungono le vendite che sono tornate sulle Borse europee dopo la pausa di mercoledì. A Piazza Affari il Ftse mib ha perso il 2,3% facendo segnare il nuovo minimo dal marzo 2021. Parigi ha ceduto l'1,8%, Londra il 2,5%, Madrid il 3,6% e Francoforte il 2,09%. Intanto, le agenzie Fitch e Moody’s hanno tagliato il rating sulla Russia il cui debito ora rientra tra gli investimenti speculativi, con giudizi a livello «junk». Spazzatura.
In Sardegna i primi licenziamenti
Dopo gli effetti negativi della guerra russo ucraina su gas e materie prime, ora iniziano a vedersi i primi problemi anche per l’occupazione italiana. In Costa Smeralda, infatti, sono molte le imprese immobiliari in capo a imprenditori russi che gestiscono residenze di pregio da affittare per le vacanze a facoltosi vacanzieri di Mosca e dintorni. Il problema è che le diverse ville presenti in Gallura venivano da sempre date in gestione da questi gruppi immobiliare a piccole società sarde che fornivano lavoro a muratori, elettricisti, governanti, sorveglianti o anche a professionisti del mondo del turismo. Ora che però il flusso di cassa in arrivo da Mosca si è interrotto, sono iniziati a fioccare i primi licenziamenti.
L’allarme è stato lanciato da Cisl Gallura in seguito a quanto già fatto notare dal sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda. Come ha spiegato all’agenzia Agi il segretario territoriale della Cisl, Mirko Idili, si tratta di «una situazione in divenire ma già alcuni manutentori e operai edili sono stati sollevati dall’incarico già da oggi (ieri, ndr) e qualcuno da lunedì prossimo». Secondo il sindacalista che cita l’Osservatorio Sardegna turismo, nel Nord Est dell’isola, più precisamente nella zona tra Olbia e Tempio Pausania, arrivavano ogni anno 40.000 russi, alcuni molto facoltosi, che davano lavoro, secondo la Cisl, a centinaia tra manutentori, colf, addetti alla vigilanza, cuochi, autisti e giardinieri. Come se non bastasse, il conflitto è arrivato dopo la pandemia, evento che aveva già messo a dura prova il turismo sardo. Così nel 2020, secondo Idili, c’è stato un calo dell’occupazione del 60% rispetto al 2019 e ora la preoccupazione è che il 2022 si presenti ancora più nefasto degli anni precedenti con tutti i turisti russi in ritirata.
Secondo Assoturismo, infatti, l’escalation militare in Ucraina priverà alberghi e strutture ricettive di qualcosa come 175.000 pernottamenti, con una perdita corrispondente a quasi 20 milioni di euro di fatturato.
Oltre alla Costa Smeralda, il timore è che gli stessi problemi si presentino ora in altre località ambite dai turisti russi come Portofino, Capri, Forte dei Marmi o Sabaudia. Sarebbero diversi, infatti, i russi che si stanno organizzando per gestire i propri possedimenti in Italia. In particolar modo, i molti yacht in capo agli oligarchi che prima facevano tappa nel Golfo del Tigullio, in Costiera Amalfitana e sulle coste toscane, ora faranno tappa verso il Montenegro o le Maldive, dove le sanzioni dell’Ue non hanno effetto.
Il punto è che questi giganti del mare danno lavoro a tecnici, skipper, cuochi, marinai e chi più ne ha, più ne metta. Tutti professionisti che ora potrebbero essere assunti fuori dall’Italia, dove la manodopera costa decisamente meno.
Come per la Costa Smeralda, dunque, ora si teme che tutte le grandi ville e proprietà sparse sul territorio italiano, fino all’anno scorso disponibili su svariati siti immobiliari rigorosamente in cirillico, ora finiscano per essere vuote e quindi senza personale. Un esempio è il Monastero di Torre Paola, sul litorale laziale, di proprietà di un anonimo magnate russo e prima intestato alla Reverenda camera apostolica che lo aveva trasformato in un albergo aperto a tutti. La proprietà, da quando è in mani russe, veniva utilizzata per paradisiache e costose vacanze appannaggio di oligarchi che ora potrebbero non venire più, preferendo mete meno complicate viste le sanzioni Ue.
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Si fermano pure fonderie e acciaierie per i costi dell’energia. In Italia il gas continua ad arrivare con regolarità, ma in Germania sono stati azzerati i flussi dell’impianto Yamal. Gazprom però ha prenotato capacità in più.In Sardegna i primi licenziamenti. Gli oligarchi lasciano a casa il personale che si occupava delle ville: la Costa Smeralda accoglie ogni anni 40.000 russi. Mega yacht in fuga verso Paesi extra europei. Lo speciale comprende due articoli. I contraccolpi delle sanzioni cominciano a farsi sentire non solo sui prezzi e forniture di gas, petrolio e materie prime. Ma anche sull’operatività delle industrie e quindi sull’occupazione, già alle prese con il caro bollette e i problemi legati alla logistica. «Visto il perdurare della crisi per l’approvvigionamento dei semiconduttori», Stellantis ha comunicato «la sospensione dell’attività lavorativa fino alle ore 6 del 14 marzo prossimo nello stabilimento di Melfi, in provincia di Potenza». Lo hanno fatto sapere ieri i sindacati al termine di un incontro presso il sito produttivo lucano tra la direzione aziendale e l’Rsa della fabbrica da dove esce circa la metà di tutte le auto che il colosso nato dalle nozze tra Psa ed Fca produce in Italia annualmente. Nel corso della settimana ci sono stati fermi produttivi di due giorni pure a Cassino e anche sulla linea della 500e a Mirafiori si sono fermati tre turni di lavoro. Anche Michelin ha fermato alcune attività negli impianti in Europa per difficoltà logistiche mentre Pirelli «allo stato attuale» non prevede di fermare la produzione «in nessuno stabilimento». Nel settore delle quattro ruote continua intanto la stretta verso la Russia. Volkswagen ha deciso di fermare la produzione nei siti di Kaluga e Nizhny Novgorod e di bloccare le esportazioni verso il Paese «fino a ulteriore comunicazione». Tutti i dipendenti coinvolti riceveranno comunque benefit, pagati da Volkswagen. Anche la giapponese Toyota ha annunciato la sospensione «fino a nuovo ordine» della sua produzione in Russia, a partire da oggi, e anche delle sue importazioni nel Paese, attribuendo la decisione a «interruzioni nella catena di approvvigionamento» legate al conflitto russo-ucraino. Se l’auto rischia di finire in panne, le fonderie temono di rimanere a corto di ghisa. Per Fabio Zanardi, presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane (parliamo di un settore di oltre 1.000 imprese con 30.000 addetti), «le criticità riguardano principalmente l’approvvigionamento delle catene di fornitura, la logistica e l’energia» considerando che Russia e Ucraina sono ai vertici mondiali nella produzione di commodity determinanti per tutto il manifatturiero italiano, quali ghisa, alluminio, rame, nickel. Le stesse Fonderie Zanardi, in provincia di Verona, stanno affrontando un’altra escalation dei costi energetici tanto da essere costrette a sospendere immediatamente le attività fusorie e di trattamento, procedendo quindi allo spegnimento dei forni almeno per una settimana. Restano in difficoltà anche le acciaierie delle Ferriere Nord del gruppo Pittini. Un altro blocco, da ieri, ha interessato gli stabilimenti di Osoppo (Udine), Verona e Potenza. A seguire si fermerà anche la produzione dei laminatoi in tutti gli stabilimenti. Sullo sfondo, restano i rischi per le forniture di gas: nel giorno in cui dal valico di Tarvisio (Udine) il gas proveniente dalla Russia è defluito regolarmente, con 82 milioni di metri cubi sui 300 di fabbisogno giornaliero, in Germania si è registrato uno stop. Dopo un drastico calo nelle ultime ore, i flussi dal gasdotto Yamal-Europa che dalla Russia attraversa la Polonia e arriva in Germania si sono azzerati, secondo la tedesca Gascade che lo gestisce. Yamal è uno dei tre gasdotti utilizzati dalla russa Gazprom che ieri ha annunciato di aver prenotato una capacità di transito aggiuntiva. Resta da capire se verrà utilizzata o meno. Intanto il ministro dell’Energia ucraino ha chiesto agli alleati europei di fermare gli avquisti di gas con la Russia. L’Italia ha già iniziato a smarcarsi da Mosca, che secondo i dati Snam nei primi due mesi dell’anno è stata sorpassata dall’Algeria. In gennaio sono giunti dal Paese nordafricano 1,92 miliardi di metri cubi e 1,6 dalla Russia. Sono cinque i valichi italiani che connettono la rete nazionale agli altri Paesi: Passo Gries (Verbania), collegato con il Nord Europa, Tarvisio (Udine) per il gas russo, Melendugno (Lecce) per quello proveniente dall'Azerbaijan, Melendugno (Trapani), per l’Algeria e Gela (Caltanissetta), collegata alla Libia. L’Italia poi è prima per stoccaggi di gas in nell’Unione europea: con un totale di 74,1724 Twh immagazzina il 23,4% dell’attuale capacità europea. Le scorte dell’Ue in questo momento sono al 28,64% del totale e quelle italiane sono al 37,51%, più che in Germania (28,16%) e in Francia (21,64%). Dal fronte della finanza, si muovono anche le Generali: la compagnia triestina, il terzo assicuratore più grande d’Europa, chiuderà il proprio ufficio di rappresentanza a Mosca, lascerà gli incarichi ricoperti nel board della compagnia assicurativa russa Ingosstrakh, di cui detiene una quota di minoranza del 38,5%, e la controllata Europ assistance, che opera nel Paese, chiuderà la propria attività. «Per quanto riguarda gli investimenti finanziari e il business assicurativo, Generali sta valutando costantemente la propria marginale esposizione sul mercato russo ed è conforme al rispetto di tutte le sanzioni che potrebbero essere applicate», si legge in una nota. Restano invece per ora in Russia i suoi due azionisti di peso come Francesco Gaetano Caltagirone con Cementir e Leonardo Del Vecchio con Luxottica.Allo scenario già cupo, si aggiungono le vendite che sono tornate sulle Borse europee dopo la pausa di mercoledì. A Piazza Affari il Ftse mib ha perso il 2,3% facendo segnare il nuovo minimo dal marzo 2021. Parigi ha ceduto l'1,8%, Londra il 2,5%, Madrid il 3,6% e Francoforte il 2,09%. Intanto, le agenzie Fitch e Moody’s hanno tagliato il rating sulla Russia il cui debito ora rientra tra gli investimenti speculativi, con giudizi a livello «junk». 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Il problema è che le diverse ville presenti in Gallura venivano da sempre date in gestione da questi gruppi immobiliare a piccole società sarde che fornivano lavoro a muratori, elettricisti, governanti, sorveglianti o anche a professionisti del mondo del turismo. Ora che però il flusso di cassa in arrivo da Mosca si è interrotto, sono iniziati a fioccare i primi licenziamenti. L’allarme è stato lanciato da Cisl Gallura in seguito a quanto già fatto notare dal sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda. Come ha spiegato all’agenzia Agi il segretario territoriale della Cisl, Mirko Idili, si tratta di «una situazione in divenire ma già alcuni manutentori e operai edili sono stati sollevati dall’incarico già da oggi (ieri, ndr) e qualcuno da lunedì prossimo». Secondo il sindacalista che cita l’Osservatorio Sardegna turismo, nel Nord Est dell’isola, più precisamente nella zona tra Olbia e Tempio Pausania, arrivavano ogni anno 40.000 russi, alcuni molto facoltosi, che davano lavoro, secondo la Cisl, a centinaia tra manutentori, colf, addetti alla vigilanza, cuochi, autisti e giardinieri. Come se non bastasse, il conflitto è arrivato dopo la pandemia, evento che aveva già messo a dura prova il turismo sardo. Così nel 2020, secondo Idili, c’è stato un calo dell’occupazione del 60% rispetto al 2019 e ora la preoccupazione è che il 2022 si presenti ancora più nefasto degli anni precedenti con tutti i turisti russi in ritirata. Secondo Assoturismo, infatti, l’escalation militare in Ucraina priverà alberghi e strutture ricettive di qualcosa come 175.000 pernottamenti, con una perdita corrispondente a quasi 20 milioni di euro di fatturato. Oltre alla Costa Smeralda, il timore è che gli stessi problemi si presentino ora in altre località ambite dai turisti russi come Portofino, Capri, Forte dei Marmi o Sabaudia. Sarebbero diversi, infatti, i russi che si stanno organizzando per gestire i propri possedimenti in Italia. In particolar modo, i molti yacht in capo agli oligarchi che prima facevano tappa nel Golfo del Tigullio, in Costiera Amalfitana e sulle coste toscane, ora faranno tappa verso il Montenegro o le Maldive, dove le sanzioni dell’Ue non hanno effetto. Il punto è che questi giganti del mare danno lavoro a tecnici, skipper, cuochi, marinai e chi più ne ha, più ne metta. Tutti professionisti che ora potrebbero essere assunti fuori dall’Italia, dove la manodopera costa decisamente meno. Come per la Costa Smeralda, dunque, ora si teme che tutte le grandi ville e proprietà sparse sul territorio italiano, fino all’anno scorso disponibili su svariati siti immobiliari rigorosamente in cirillico, ora finiscano per essere vuote e quindi senza personale. Un esempio è il Monastero di Torre Paola, sul litorale laziale, di proprietà di un anonimo magnate russo e prima intestato alla Reverenda camera apostolica che lo aveva trasformato in un albergo aperto a tutti. La proprietà, da quando è in mani russe, veniva utilizzata per paradisiache e costose vacanze appannaggio di oligarchi che ora potrebbero non venire più, preferendo mete meno complicate viste le sanzioni Ue.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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