2023-09-09
«Le radio facciano sentire musica classica»
Il violinista di fama internazionale: «Basterebbe anche solo un minuto al giorno: l’inizio della “Quinta” di Beethoven è molto rock. L’Arena di Verona mi ha dato sensazioni uniche. Roberto Bolle è un amico. E che emozione lavorare con Dee Dee Bridgewater».Potenza della musica. Alessandro Quarta è partito dal Salento per conquistare il mondo sulle note magiche del suo violino, ha collaborato con i più grandi artisti della musica internazionale e adesso si lancia in un nuovo progetto, sempre più etereo e onirico.Com’è nata la sua passione per il violino? «Ho un fratello e una sorella molto più grandi di me. Quando avevo un anno e mezzo e mio fratello quasi quattordici, mentre lui studiava violino e pianoforte io andavo a rubare il mattarello della pasta di mia mamma, mi mettevo dietro la porta e facevo finta di suonare. I miei, appena hanno visto questa scena, hanno detto: “Forse è meglio che gli togliamo quel mattarello e gli diamo un violino vero”. A tre anni mi hanno regalato un violino e non l’ho più lasciato».Come ha proseguito? «Da bambino ho scritto, come regalo di Natale, la mia prima composizione per due violini e pianoforte dedicata a me, mio fratello e mia sorella. Negli anni mi sono avvicinato ad altri strumenti, al pianoforte, alla chitarra, al basso e ora sono polistrumentista e compositore. Ovviamente il violino è diventato la mia vita, la mia donna, una parte di me».Qual è il nuovo progetto a cui si sta dedicando? «Il progetto nuovo si chiama I cinque elementi. La prima mondiale sarà il 30 settembre a Cremona, nel Museo del violino, con Giuseppe Magagnino al pianoforte, l’orchestra Bruno Maderna di Forlì e il quintetto Artem Strings Quartet. Poi partirà il tour internazionale».Con Magagnino collabora da anni. «Ci siamo conosciuti quindici anni fa con la nascita del mio Alessandro Quarta Quintet, ci siamo trovati benissimo ed è nato il duo. Giuseppe è uno dei migliori pianisti jazz italiani e solo con lui mi sento me stesso perché mi capisce al volo e sono libero di andare ovunque musicalmente e stilisticamente. Abbiamo suonato ovunque con il nostro progetto No Limits, che portiamo avanti dal 2018. Si chiama così perché parte da un repertorio classico e arriva al rock, jazz, pop, per estendersi fino a Piazzolla. È un progetto che piace tantissimo al pubblico».Qual è il luogo dove ha suonato che le ha dato più emozioni? «L’Arena di Verona perché è il teatro all’aperto più importante. Vi ho suonato la prima volta nel 2018 quando ho eseguito Dorian Gray per Roberto Bolle. Quest’anno abbiamo replicato con Etere. È stato meraviglioso, soprattutto perché Roberto ha scelto entrambi i brani come chiusura del suo Roberto Bolle and Friends».Com’è nato il rapporto? «Nel 2018 mi ha chiamato la mia manager Mariarita Napoli: “Roberto Bolle vuole che tu scriva un brano per lui che deve avere come titolo Dorian Gray”. Dopo cinque anni di tour, alla fine di gennaio, Roberto mi ha chiamato: “Mi piacerebbe che tu mi scrivessi un altro brano”. Io stavo preparando il progetto I cinque elementi, ovvero terra, acqua, aria, fuoco ed etere. Avevo appena finito Aria e dovevo scrivere Fuoco ed Etere. Mi sono fermato perché ho detto: “Adesso come faccio?”. Dorian Gray era stato un grande successo, temevo di non riuscire a ripetermi». Cosa ha fatto allora? «Mi sono preso una pausa di una settimana, poi mi è venuta una grande idea: ma perché non dedico a Roberto Bolle il quinto elemento? Etere per i greci era il quinto elemento, l’elemento più importante di tutti, dedicato agli dei, alle stelle, alla bellezza e alla perfezione affinché gli altri quattro elementi potessero dialogare assieme. Ho scritto Etere, gliel’ho mandato e lui mi ha risposto: “Bellissimo”».Quindi si è creato un rapporto umano tra di voi? «Ormai ci conosciamo bene, è dal 2018 che stiamo sui palchi insieme e lui si fida di me ciecamente, sia dal punto di vista della composizione sia dal punto di vista violinistico, quindi c’è un rapporto di stima reciproca e di amicizia».Che effetto le ha fatto esibirsi sul palco del Festival di Sanremo insieme a Il Volo, nel 2019? «È stata una bellissima esperienza. Mi ricordo una cosa: io suono sempre con gli occhi chiusi. Ho finito di suonare, ho aperto gli occhi, ho sentito un boato e mi sono ritrovato in ginocchio con il pubblico dell’Ariston entusiasta. Avevo l’adrenalina a mille».Avevate fatto molte prove, prima? «Assolutamente no. Sono entrato, ho fatto il sound check e ho improvvisato. Quello che avete ascoltato è tutta una mia improvvisazione».Tra gli artisti con cui ha collaborato, con chi ha legato in particolare dal punto di vista musicale? «Musicalmente mi ha dato tantissimo Dee Dee Bridgewater. Ho preparato per lei degli arrangiamenti per orchestra e voce e alla fine della prova lei è venuta da me piangendo, mi ha abbracciato e mi ha detto: “Che meraviglia! Ti andrebbe di arrangiare il mio prossimo disco?”. Sono rimasto pietrificato perché i suoi dischi, fino ad allora, erano arrangiati da Quincy Jones, non sapevo che cosa dire e mi sono messo a piangere pure io. Stiamo parlando della cantante jazz più famosa al mondo». Ha collaborato anche con Lucio Dalla. «Soprattutto quando conduceva il programma televisivo La bella e la besthia. Dopo le prove rimanevamo assieme, io al pianoforte oppure il suo arrangiatore Beppe D’Onghia al pianoforte e io al violino, e lui cantava. Improvvisavamo su temi classici, napoletani, jazz. Aveva una cultura musicale veramente immensa».Cose ne pensa dei duetti che vanno tanto di moda nella musica leggera contemporanea? «Sono operazioni di etichetta discografica, di arte c’è ben poco. Io penso che per scrivere un brano e collaborare con qualcuno ci si debba conoscere, non dal punto di vista mediatico, ma come persona. Non mi piace collaborare con personaggi creati a tavolino soltanto per business».Ha dichiarato provocatoriamente che tutte le radio dovrebbero proporre un brano di musica classica al giorno. «Questa sarebbe la mia idea più bella. Se le radio, una volta al giorno, dedicassero dieci minuti di sola musica classica, o anche un minuto, senza far sentire l’intero brano, in vari momenti della programmazione, potremmo aiutare non soltanto i giovani a conoscere la musica, ma l’essere umano a riconoscere la bellezza dell’esistenza. Non, ovviamente, la musica classica “pesante”, ma la Quinta Sinfonia di Beethoven o l’Aria sulla quarta corda di Bach, che tutti conoscono come la sigla di SuperQuark, oppure brani inseriti in celebri colonne sonore che tutti hanno ascoltato senza magari sapere il nome del compositore. Raccontando, quindi, anche qualche aneddoto. Poi basta con le etichette: come si fa a definire l’inizio della Quinta di Beethoven un brano classico? È molto rock».La definiscono, appunto, un violinista rock. «Oggi la musica classica l’hanno portata a livello di nicchia. Se un’orchestra sta in frac sul palco e la gente è abituata ad andare a teatro con l’abito da sera, mi sembra chiaro che stai mettendo da parte a priori i giovani. Se mi dai la possibilità di andare nei teatri anche in jeans, il gioco diventa coinvolgente. A volte io neanche mi cambio la maglietta dalle prove, salgo sul palco e suono. La gente mi deve ascoltare, non mi deve vedere. Io dico sempre: mi piace sentirmi anche un pittore perché il mio pennello è il violino, i miei colori sono le emozioni e la mia tela è l’aria. Bisogna arrivare al cuore della gente, la musica è emozione».Utilizza due violini d’epoca. «Sto tradendo un Giovanni Battista Guadagnini del 1761, che ho acquistato anni fa, per un Alessandro Gagliano del 1723 che appartiene a Clelia Biondi di Avellino. La sua famiglia lo tramanda di generazione in generazione. È un violino che costa tantissimo, quindi non hai la possibilità di prenderlo oggi e pagarlo domani, però la famiglia Biondi, che mi accolto come uno di loro, mi ha dato la possibilità di provarlo per un po’ di tempo. È una cosa molto bella che non tutti i proprietari di strumenti musicali concedono. Sono molto riconoscente». Ci sono delle differenze tra i due violini? «Oggi, dei due, mi emoziona moltissimo l’Alessandro Gagliano per la bellezza, la manifattura e perché è integro, a differenza del Guadagnini che ha delle piccole rotture, ovviamente messe a posto come si deve. Ha un suono straripante, profondo, dolce, me ne sono innamorato subito». Quante ore si esercita al giorno? «Bisogna studiare tanto perché la perfezione si avvicini… La perfezione intesa non solo a livello tecnico, ma come suono, intonazione, musicalità, pensiero. Ho un mio mantra: la tensione maniacale alla cura dei dettagli per far sì che, quando sali sul palco, sei sempre perfetto. Per questo ci vogliono tante ore di studio al giorno. Farne cinque-sei, come facevo prima, non è facile per via degli impegni, ma tre sono obbligatorie. Bisogna fare tanti sacrifici per arrivare ad essere perfetto». Oltre al violino, il suo grande amore è il Salento. «Sono legatissimo al Salento… il sole, il mare, il vento! Infatti, quando sono stato ospite internazionale alla Notte della Taranta, ho portato tre brani, tra i quali una composizione che ho dedicato alla mia terra, Bedda mia».Vive lì? «Dopo tanti anni in cui ho cambiato vari Stati, vuoi per studio vuoi per carriera, sono tornato nel 2009 nella mia terra e non mi sposto più. Viaggio moltissimo, però poi voglio tornare a casa, anche perché mi aiuta moltissimo a scrivere. Ogni anno dedico alla mia città, Lecce, un concerto di beneficenza in teatro, insieme all’associazione Inner Wheel, a sostegno del reparto pediatrico oncologico. Ho avuto un tumore al collo nel 2020 e, a causa di questo, non potevo più reggere il violino e, quindi, sono molto sensibile a queste situazioni».
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.