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2020-10-11
Le priorità dei giallorossi. Pillola alle minorenni, eutanasia e bavaglio Lgbt
Qualcuno, nottetempo, deve avere scombinato l'agenda della compagine giallorossa, creando una totale confusione e invertendo l'ordine delle priorità. Altrimenti non si spiega l'assurdità di alcune esternazioni e, soprattutto, l'ossessiva ostinazione con cui i nostri eroi si battono per alcune cause completamente altre. Il governo, tanto per fare un esempio, è in clamoroso e drammatico ritardo su tutto ciò che riguarda il (reale) contrasto al coronavirus: potenziamento di terapie intensive e subintensive, generale riassetto del sistema sanitario, messa in sicurezza delle scuole, reclutamento di nuovi insegnanti...
Disastro anche su un altro tema almeno in parte connesso all'epidemia, ovvero l'immigrazione. Non è vero, come sostiene l'esecutivo, che gli sbarchi si siano arrestati. Proseguono e siamo a quota 24.505 arrivi nel 2020 contro i 7.939 di un anno fa. Nel frattempo la gestione degli stranieri contagiati si è rivelata del tutto inadeguata, con punte di orrore come la morte di un ragazzino di 15 anni ospitato su una nave quarantena. Registrati i fallimenti su due questioni centrali, bisogna prendere atto che i demostellati sono invece attivissimi su quelli che in genere si indicano come «temi etici».
Giusto ieri il presidente della Camera, Roberto Fico, ha preteso un impegno del Parlamento affinché si «diano risposte». Su cosa? Forse sui docenti che mancano? Ma no! Sul fine vita, che diamine. Fico ha inviato un messaggio al XVII Congresso dell'associazione Luca Coscioni carico di emozione. «Le vostre battaglie, i temi rispetto a cui coraggiosamente avete portato avanti tante campagne, sono un costante pungolo per la politica e per l'intera società», ha scritto. «Penso a quelle sul fine vita, rispetto a cui il Parlamento non ha ancora dato risposte. Serve un impegno delle Camere a intervenire su questo fronte». In realtà sarebbe utile un impegno del governo sulla sanità, onde evitare che il fine vita diventi una prospettiva concreta per tanti malati che, data la mala gestione dell'emergenza Covid, passano in secondo piano. Ma a Fico preme di più insistere sull'eutanasia. Forse pensa che sia uno strumento utile a liberarsi di qualche italiano di troppo.
Nel frattempo anche Beppe Sala, sindaco di Milano in quota democratica, non avendo evidentemente altro da fare, si è premurato di intervenire a sostegno del ddl Zan, cioè la legge bavaglio contro l'omotransfobia che il 20 ottobre riprenderà il suo percorso parlamentare (appena superate le regionali hanno pensato bene di sbrigarsi a rimetterla in calendario). Via Twitter, Sala ha issato la bandiera arcobaleno: «Chiedo al Parlamento di accelerare la discussione sul disegno di legge Zan», ha scritto, «e di farlo in tempi rapidi, superando gli ostruzionismi che ne rallentano l'approvazione. Qui non si tratta di politica, ma di diritti umani. Subito una legge contro l'omotransfobia e la misoginia». Ovvio: in questo momento abbiamo bisogno come del pane di una norma utile soltanto a ridurre al silenzio chi non si piega ai dettami dell'ideologia Lgbt. Tutto il resto può aspettare, ma il bavaglio arcobaleno no. Magari potranno andare in giro a metterlo ai milanesi gli stessi agenti che si aggirano in cerca di pericolosi sovversivi con la mascherina abbassata da multare.
Sabato prossimo, a Roma, si terrà una grande manifestazione per la libertà di pensiero contro la mordacchia, segno che non tutta la popolazione è entusiasta del ddl censorio. Ma ai giallorossi non interessa. Anzi si impegnano al massimo per osteggiare qualsiasi iniziativa contraria al pensiero dominante, specie in materia di tutela della vita.
Il colmo si è raggiunto un paio di giorni fa grazie alla responsabile diritti del Pd, Monica Cirinnà. Costei si è scagliata contro una iniziativa di un gruppo di amministratori bresciani (di Fdi e Lega) i quali hanno deciso di sostenere con 400 euro a bambino le donne che rinunciano ad abortire. Secondo la vestale dem si tratta di un «grave attacco alla libertà delle donne». A suo dire, «la scelta di diventare madre o no non si compra, ma deve restare affidata alla responsabilità e alla libertà della donna di autodeterminarsi senza costrizioni». Dove stia la costrizione nel dare aiuto a una donna che liberamente sceglie di essere madre non è dato sapere. Ed è anche curioso che una «esperta di diritti» tenti di toglierli, questi famigerati diritti, invece di concederli.
Da ieri, per altro, in Italia è ancora più semplice evitare la gravidanza. L'Agenzia italiana del farmaco ha infatti stabilito che non sarà più necessaria la prescrizione medica per somministrare alle ragazze minorenni la «pillola dei 5 giorni dopo», cioè l'Ulipistral acetato utilizzato per la «contraccezione d'emergenza». Secondo il direttore dell'Aifa, Nicola Magrini - questa pillola è addirittura «uno strumento etico in quanto consente di evitare i momenti critici che di solito sono a carico solo delle ragazze».
Che splendore, questo democraticissimo mondo al contrario: è «etico» dare la pillola senza ricetta alle ragazzine, ma è da fascisti aiutare le donne che vogliono partorire; è giusto che lo Stato fornisca gratis i farmaci per cambiare sesso (perché chiunque ha il diritto di fare ciò che vuole), però vogliono toglierci per decreto il diritto di opporci all'ideologia Lgbt. E mentre i giallorossi al governo si sbracciano sul «fine vita», un'intera nazione sperimenta già l'eutanasia del pensiero.
Arriva il manuale «antirazzista» per spingere i bambini bianchi a eliminarsi
Nel 1967, la femminista Valerie Solanas pubblicò un «manifesto per l'eliminazione dei maschi». Oltre mezzo secolo dopo, la sociologa Robin Diangelo è riuscita perfino a superarla, proponendo un singolare metodo per l'eliminazione dei bianchi. Tutti quanti, maschi e femmine. Ragione dello sterminio? Molto semplice: i bianchi sono irrimediabilmente razzisti. Anche quelli che pensano di non esserlo, persino quelli che si dichiarano progressisti, antirazzisti e fanatici del multiculturalismo. La vena di follia che riluce all'interno di questo discorso è piuttosto evidente, eppure il libro della Diangelo - appena uscito in Italia con il titolo Fragilità bianca. Perché è così difficile per i bianchi parlare di razzismo (Chiarelettere) - è rimasto per oltre settanta settimane nella classifica dei bestseller del New York Times, diventando un incredibile caso editoriale in tutto il mondo anglofono. Come è facile intuire, il volume ha beneficiato dell'onda di attenzione mediatica sollevata da Black lives matter, dagli abbattitori di statue e da altri esagitati «antifa» ostili a Donald Trump. Tuttavia le tesi della saggista americana meritano di essere prese sul serio, perché sono emblematiche del delirio in cui l'Europa e gli Stati Uniti sono immersi da qualche tempo.
Bisogna precisare, intanto, che la signora è bianca. Di più: il suo tomo si rivolge esclusivamente ai bianchi. Anzi, a una categoria ben precisa di bianchi, come lei stessa ha spiegato in una lunga intervista al Venerdì di Repubblica: «Il mio libro non è pensato per i suprematisti bianchi. Ma per quella parte di società civile e progressista che può e vuole fare meglio. Cerco di aiutarla a guardarsi allo specchio. E a migliorare. Molti mi hanno detto di aver iniziato il libro con scetticismo e, poi, di essercisi riconosciuti». Da un certo punto di vista, viene da sorridere. Immaginiamo lo smacco dei sinceri democratici, convinti da una vita di essere moralmente superiori e «Buoni® », che si ritrovano all'improvviso accusati del peggiore dei peccati. «Il nostro progressismo mantiene e perpetua il razzismo perché, asserragliati dietro la nostra falsa certezza», scrive la studiosa-attivista, «ci precludiamo di comprendere la verità». E la «verità» è che i bianchi nel loro complesso sono responsabili della peggiore oppressione della Storia.
Per la Diangelo, «in senso biologico le razze non esistono, ma come costrutti sociali hanno un peso enorme e informano ogni aspetto delle nostre vite». Una curiosa contraddizione: per essere un'antirazzista, la sociologa attribuisce alla razza un'importanza incredibile. E, di nuovo, rifila un colpo mortale ai progressisti di casa nostra, i quali vorrebbero eliminare la parola «razza», mentre gli attivisti americani ne sono ossessionati e non fanno che rimarcane l'esistenza.
Questa razza, tuttavia, nella concezione di teorici come la Diangelo assomiglia molto al gender: è appunto un «costrutto sociale», creato appositamente da una categoria di persone (i bianchi) per opprimere tutti gli altri, e in particolare i neri. Secondo la signora - e numerosi altri attivisti - il «bianco» non si definisce per il suo colore della pelle, ma per il mondo in cui si comporta, per il sistema di potere di cui si fa ingranaggio.
Il razzista non è «una persona che disprezza scientemente qualcuno per via della razza». No, sarebbe troppo facile. Un bianco non ha bisogno di disprezzare nessuno: è razzista in quanto bianco, poiché «il razzismo è un sistema» e tutti i bianchi non fanno altro che perpetrarlo. Come se ne esce? Poiché la razza è un costrutto sociale, dice la Diangelo, allora la si può smontare. Quindi la soluzione è smettere di essere bianchi o comunque «diventare meno bianchi», distruggere la «bianchezza» che è in noi.
In che modo? Chiaro: i bianchi devono sottoporsi all'autodafé, riconoscere il proprio ruolo di carnefici e passare - dopo opportuna rieducazione - lo scettro del potere alle vittime, cioè ai neri. I quali, poiché non sono parte del «sistema» dominante, possono anche nutrire pregiudizi verso chicchessia, ma non possono mai e poi mai essere definiti razzisti. Ovviamente, poi, a chi ha le pelle scura non è affatto richiesto di rinunciare alla propria razza o di cancellarla: deve al contrario difenderla, esaltarla, usarla come strumento di lotta.
È l'approdo di decenni di politicamente corretto. Si è arrivati a teorizzare l'autocancellazione dei bianchi, a indicare la «bianchezza» come il peccato originale. Se ci pensate, questo castello di idee si fonda su una discriminazione spaventosa, su un odio razziale terrificante e, soprattutto, sull'odio di sé. Fra un po', il solo modo per evitare l'accusa di razzismo sarà strapparsi la pelle di dosso.
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Cattedre vuote e invasione incontrollata, ma la maggioranza spinge per fine vita e ddl Zan. Condanne a chi aiuta le mamme, mentre evitare le gravidanze è sempre più facile.Nel suo delirante libro, la sociologa Robin Diangelo criminalizza chiunque non abbia la pelle scura: una sorta di peccato originale. Perfino i fanatici dell'accoglienza sarebbero colpevoli dell'oppressione delle altre razze.Lo speciale contiene due articoli.Qualcuno, nottetempo, deve avere scombinato l'agenda della compagine giallorossa, creando una totale confusione e invertendo l'ordine delle priorità. Altrimenti non si spiega l'assurdità di alcune esternazioni e, soprattutto, l'ossessiva ostinazione con cui i nostri eroi si battono per alcune cause completamente altre. Il governo, tanto per fare un esempio, è in clamoroso e drammatico ritardo su tutto ciò che riguarda il (reale) contrasto al coronavirus: potenziamento di terapie intensive e subintensive, generale riassetto del sistema sanitario, messa in sicurezza delle scuole, reclutamento di nuovi insegnanti... Disastro anche su un altro tema almeno in parte connesso all'epidemia, ovvero l'immigrazione. Non è vero, come sostiene l'esecutivo, che gli sbarchi si siano arrestati. Proseguono e siamo a quota 24.505 arrivi nel 2020 contro i 7.939 di un anno fa. Nel frattempo la gestione degli stranieri contagiati si è rivelata del tutto inadeguata, con punte di orrore come la morte di un ragazzino di 15 anni ospitato su una nave quarantena. Registrati i fallimenti su due questioni centrali, bisogna prendere atto che i demostellati sono invece attivissimi su quelli che in genere si indicano come «temi etici».Giusto ieri il presidente della Camera, Roberto Fico, ha preteso un impegno del Parlamento affinché si «diano risposte». Su cosa? Forse sui docenti che mancano? Ma no! Sul fine vita, che diamine. Fico ha inviato un messaggio al XVII Congresso dell'associazione Luca Coscioni carico di emozione. «Le vostre battaglie, i temi rispetto a cui coraggiosamente avete portato avanti tante campagne, sono un costante pungolo per la politica e per l'intera società», ha scritto. «Penso a quelle sul fine vita, rispetto a cui il Parlamento non ha ancora dato risposte. Serve un impegno delle Camere a intervenire su questo fronte». In realtà sarebbe utile un impegno del governo sulla sanità, onde evitare che il fine vita diventi una prospettiva concreta per tanti malati che, data la mala gestione dell'emergenza Covid, passano in secondo piano. Ma a Fico preme di più insistere sull'eutanasia. Forse pensa che sia uno strumento utile a liberarsi di qualche italiano di troppo.Nel frattempo anche Beppe Sala, sindaco di Milano in quota democratica, non avendo evidentemente altro da fare, si è premurato di intervenire a sostegno del ddl Zan, cioè la legge bavaglio contro l'omotransfobia che il 20 ottobre riprenderà il suo percorso parlamentare (appena superate le regionali hanno pensato bene di sbrigarsi a rimetterla in calendario). Via Twitter, Sala ha issato la bandiera arcobaleno: «Chiedo al Parlamento di accelerare la discussione sul disegno di legge Zan», ha scritto, «e di farlo in tempi rapidi, superando gli ostruzionismi che ne rallentano l'approvazione. Qui non si tratta di politica, ma di diritti umani. Subito una legge contro l'omotransfobia e la misoginia». Ovvio: in questo momento abbiamo bisogno come del pane di una norma utile soltanto a ridurre al silenzio chi non si piega ai dettami dell'ideologia Lgbt. Tutto il resto può aspettare, ma il bavaglio arcobaleno no. Magari potranno andare in giro a metterlo ai milanesi gli stessi agenti che si aggirano in cerca di pericolosi sovversivi con la mascherina abbassata da multare.Sabato prossimo, a Roma, si terrà una grande manifestazione per la libertà di pensiero contro la mordacchia, segno che non tutta la popolazione è entusiasta del ddl censorio. Ma ai giallorossi non interessa. Anzi si impegnano al massimo per osteggiare qualsiasi iniziativa contraria al pensiero dominante, specie in materia di tutela della vita.Il colmo si è raggiunto un paio di giorni fa grazie alla responsabile diritti del Pd, Monica Cirinnà. Costei si è scagliata contro una iniziativa di un gruppo di amministratori bresciani (di Fdi e Lega) i quali hanno deciso di sostenere con 400 euro a bambino le donne che rinunciano ad abortire. Secondo la vestale dem si tratta di un «grave attacco alla libertà delle donne». A suo dire, «la scelta di diventare madre o no non si compra, ma deve restare affidata alla responsabilità e alla libertà della donna di autodeterminarsi senza costrizioni». Dove stia la costrizione nel dare aiuto a una donna che liberamente sceglie di essere madre non è dato sapere. Ed è anche curioso che una «esperta di diritti» tenti di toglierli, questi famigerati diritti, invece di concederli. Da ieri, per altro, in Italia è ancora più semplice evitare la gravidanza. L'Agenzia italiana del farmaco ha infatti stabilito che non sarà più necessaria la prescrizione medica per somministrare alle ragazze minorenni la «pillola dei 5 giorni dopo», cioè l'Ulipistral acetato utilizzato per la «contraccezione d'emergenza». Secondo il direttore dell'Aifa, Nicola Magrini - questa pillola è addirittura «uno strumento etico in quanto consente di evitare i momenti critici che di solito sono a carico solo delle ragazze». Che splendore, questo democraticissimo mondo al contrario: è «etico» dare la pillola senza ricetta alle ragazzine, ma è da fascisti aiutare le donne che vogliono partorire; è giusto che lo Stato fornisca gratis i farmaci per cambiare sesso (perché chiunque ha il diritto di fare ciò che vuole), però vogliono toglierci per decreto il diritto di opporci all'ideologia Lgbt. E mentre i giallorossi al governo si sbracciano sul «fine vita», un'intera nazione sperimenta già l'eutanasia del pensiero. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-priorita-dei-giallorossi-pillola-alle-minorenni-eutanasia-e-bavaglio-lgbt-2648161734.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="arriva-il-manuale-antirazzista-per-spingere-i-bambini-bianchi-a-eliminarsi" data-post-id="2648161734" data-published-at="1602357209" data-use-pagination="False"> Arriva il manuale «antirazzista» per spingere i bambini bianchi a eliminarsi Nel 1967, la femminista Valerie Solanas pubblicò un «manifesto per l'eliminazione dei maschi». Oltre mezzo secolo dopo, la sociologa Robin Diangelo è riuscita perfino a superarla, proponendo un singolare metodo per l'eliminazione dei bianchi. Tutti quanti, maschi e femmine. Ragione dello sterminio? Molto semplice: i bianchi sono irrimediabilmente razzisti. Anche quelli che pensano di non esserlo, persino quelli che si dichiarano progressisti, antirazzisti e fanatici del multiculturalismo. La vena di follia che riluce all'interno di questo discorso è piuttosto evidente, eppure il libro della Diangelo - appena uscito in Italia con il titolo Fragilità bianca. Perché è così difficile per i bianchi parlare di razzismo (Chiarelettere) - è rimasto per oltre settanta settimane nella classifica dei bestseller del New York Times, diventando un incredibile caso editoriale in tutto il mondo anglofono. Come è facile intuire, il volume ha beneficiato dell'onda di attenzione mediatica sollevata da Black lives matter, dagli abbattitori di statue e da altri esagitati «antifa» ostili a Donald Trump. Tuttavia le tesi della saggista americana meritano di essere prese sul serio, perché sono emblematiche del delirio in cui l'Europa e gli Stati Uniti sono immersi da qualche tempo. Bisogna precisare, intanto, che la signora è bianca. Di più: il suo tomo si rivolge esclusivamente ai bianchi. Anzi, a una categoria ben precisa di bianchi, come lei stessa ha spiegato in una lunga intervista al Venerdì di Repubblica: «Il mio libro non è pensato per i suprematisti bianchi. Ma per quella parte di società civile e progressista che può e vuole fare meglio. Cerco di aiutarla a guardarsi allo specchio. E a migliorare. Molti mi hanno detto di aver iniziato il libro con scetticismo e, poi, di essercisi riconosciuti». Da un certo punto di vista, viene da sorridere. Immaginiamo lo smacco dei sinceri democratici, convinti da una vita di essere moralmente superiori e «Buoni® », che si ritrovano all'improvviso accusati del peggiore dei peccati. «Il nostro progressismo mantiene e perpetua il razzismo perché, asserragliati dietro la nostra falsa certezza», scrive la studiosa-attivista, «ci precludiamo di comprendere la verità». E la «verità» è che i bianchi nel loro complesso sono responsabili della peggiore oppressione della Storia. Per la Diangelo, «in senso biologico le razze non esistono, ma come costrutti sociali hanno un peso enorme e informano ogni aspetto delle nostre vite». Una curiosa contraddizione: per essere un'antirazzista, la sociologa attribuisce alla razza un'importanza incredibile. E, di nuovo, rifila un colpo mortale ai progressisti di casa nostra, i quali vorrebbero eliminare la parola «razza», mentre gli attivisti americani ne sono ossessionati e non fanno che rimarcane l'esistenza. Questa razza, tuttavia, nella concezione di teorici come la Diangelo assomiglia molto al gender: è appunto un «costrutto sociale», creato appositamente da una categoria di persone (i bianchi) per opprimere tutti gli altri, e in particolare i neri. Secondo la signora - e numerosi altri attivisti - il «bianco» non si definisce per il suo colore della pelle, ma per il mondo in cui si comporta, per il sistema di potere di cui si fa ingranaggio. Il razzista non è «una persona che disprezza scientemente qualcuno per via della razza». No, sarebbe troppo facile. Un bianco non ha bisogno di disprezzare nessuno: è razzista in quanto bianco, poiché «il razzismo è un sistema» e tutti i bianchi non fanno altro che perpetrarlo. Come se ne esce? Poiché la razza è un costrutto sociale, dice la Diangelo, allora la si può smontare. Quindi la soluzione è smettere di essere bianchi o comunque «diventare meno bianchi», distruggere la «bianchezza» che è in noi. In che modo? Chiaro: i bianchi devono sottoporsi all'autodafé, riconoscere il proprio ruolo di carnefici e passare - dopo opportuna rieducazione - lo scettro del potere alle vittime, cioè ai neri. I quali, poiché non sono parte del «sistema» dominante, possono anche nutrire pregiudizi verso chicchessia, ma non possono mai e poi mai essere definiti razzisti. Ovviamente, poi, a chi ha le pelle scura non è affatto richiesto di rinunciare alla propria razza o di cancellarla: deve al contrario difenderla, esaltarla, usarla come strumento di lotta. È l'approdo di decenni di politicamente corretto. Si è arrivati a teorizzare l'autocancellazione dei bianchi, a indicare la «bianchezza» come il peccato originale. Se ci pensate, questo castello di idee si fonda su una discriminazione spaventosa, su un odio razziale terrificante e, soprattutto, sull'odio di sé. Fra un po', il solo modo per evitare l'accusa di razzismo sarà strapparsi la pelle di dosso.
Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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(Imagoeconomica)
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
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