2022-05-31
Le priorità dei 5 stelle in Lombardia: far approvare una mini legge Zan
Nel riquadro Simone Verni, consigliere M5s in Regione Lombardia (Ansa)
Scuola, lavoro, media e istituzioni: vogliono l’ideologia gender in tutta la Regione.Gli indefessi seguaci dell’onorevole Alessandro Zan sono arrivati anche al Pirellone. È stato, infatti, depositato presso il Consiglio regionale della Lombardia, il progetto di legge numero 109, a prima firma del consigliere grillino Simone Verni, avente per oggetto «norme contro la discriminazione determinata dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere». Si tratta dell’ennesimo tentativo di introdurre una prospettiva ideologica, anche a livello regionale, attraverso una proposta normativa decisamente problematica a cominciare dal titolo. Si pretende, infatti, di introdurre in concetto di «identità di genere», riconducibile alla cosiddetta ideologia «gender», ovvero all’idea che uno possa sentirsi uomo o donna, indipendentemente dal sesso di nascita. Ciò che conterebbe, in pratica, è la percezione soggettiva e non l’evidenza oggettiva. Tale termine non trova una definizione nel nostro ordinamento giuridico. In realtà, il primo tentativo di precisarlo a livello normativo nazionale è stato fatto con il progetto di legge Zan che, com’è noto, non è stato approvato in Senato. L’articolo 1, lettera «d», di quel progetto definiva espressamente l’identità di genere come «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». E proprio tale definizione è stato uno dei motivi che hanno determinato l’affossamento del ddl Zan. Giusto per non apparire «omofobi», merita di essere citata la netta opposizione delle femministe rispetto alla formulazione di questo concetto. Francesca Izzo, fondatrice di «Se non ora quando?», uno dei più radicali movimenti femministi, in un’intervista resa a Repubblica è stata chiarissima rispondendo alla domanda su quali fossero i motivi di opposizione al ddl Zan: «È il gender, ovvero l’espressione identità di genere, che è una questione molto controversa, perché con questa espressione di sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato; così la realtà dei corpi, in particolare dei corpi femminili, viene dissolta».Uscita dalla porta del Senato, ora questa idea con cui si intende cancellare il sesso pretende di entrare dalla finestra della Regione Lombardia. Il progetto di legge 109, oltre a introdurre il controverso e non definito concetto di «identità di genere», prevede anche ingerenze nelle «politiche educative, scolastiche e formative». L’articolo 2, infatti, prevede espressamente che Regione Lombardia operi per la «la sensibilizzazione e la diffusione della cultura dei diritti e della pedagogia della inclusione in ambito scolastico», realizzando o promuovendo «iniziative di informazione e formazione per studenti, genitori e docenti», anche sul «rispetto dell’identità di genere».L’articolo 4, che porta il titolo «Responsabilità sociale delle imprese», intende rivolgersi a chi opera nel mondo del lavoro, precisando che la Regione dovrà promuovere le imprese che adotteranno «standard di certificazione etica internazionali o nazionali», da individuare con deliberazione della Giunta regionale, che richiedono «l’adesione a specifici protocolli di garanzia del principio di non discriminazione e di parità di trattamento con riferimento» anche all’identità di genere. Precisa, inoltre, il secondo comma dello stesso articolo, che Regione Lombardia, nella concessione di finanziamenti, benefici e vantaggi economici comunque denominati ad imprese, debba considerare «titolo di preferenza» l’adozione di tali standard di certificazione etica.Ce n’è anche per il personale regionale. L’articolo 5 prevede l’obbligo di istituire apposite «iniziative di informazione periodica rivolte al personale regionale» e di inserire nei corsi di formazione interna «appositi moduli» sul tema dell’identità di genere. È pure contemplata, all’articolo 6, una disposizione sulla «comunicazione istituzionale e diffusione delle informazioni», la quale prevede che la Regione, «anche attraverso i propri uffici per le relazioni con il pubblico e i propri strumenti informativi, adotti nelle proprie comunicazioni istituzionali, modelli di comunicazione privi di riferimenti discriminatori, stereotipi e pregiudizi riferiti all’orientamento sessuale o all’identità di genere». Il rischio è quello di veder adottate a livello istituzionale regionale le strampalate iniziative, sempre più diffuse negli atenei universitari, del cosiddetto «linguaggio inclusivo» come ad esempio l’uso di schwa e degli asterischi al posto del plurale maschile indifferenziato. L’articolo 11 vorrebbe attribuire al Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom) compiti di vigilanza sulla «programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale eventualmente discriminatori». È, infine, prevista, all’articolo 14, anche l’istituzione di un ennesimo organismo burocratico: il Coordinamento tecnico regionale sulle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.Il dato desolante è che, con tutti i problemi che sta vivendo la società lombarda, il Consiglio regionale dovrà pure occuparsi di questa strampalata iniziativa. La legge è stata calendarizzata e sarà in discussione nelle commissioni.