2021-09-19
«Le piccole imprese sono spinte a fuggire»
Il presidente di Assocalzaturifici: «Anche gli anni scorsi sono stati poco floridi, da decenni manca una politica industriale. Pure le sanzioni alla Russia hanno creato difficoltà enormi alle aziende italiane, impossibilitate a vendere lì dalla mattina alla sera».Siro Badon, dal 2019 e fino al 2023 presidente di Assocalzaturifici, l'associazione che rappresenta a livello nazionale le imprese del settore delle calzature, nell'immediatezza della nomina, ha tracciato le linee guida del suo mondato: made in Italy, innovazione del settore, sostenibilità del ciclo produttivo, attenzione al mondo delle fiere e dialogo con le istituzioni. Il rispetto per la parola data, sta nei fatti e lo dimostra con l'apertura del Micam, la manifestazione fieristica della calzatura più importante al mondo, in calendario da oggi al 21 settembre, in presenza. «È il segno della ripartenza per un comparto produttivo determinante per il made in Italy e l'economia del nostro Paese», afferma. Badon, d'altronde, forte della sua esperienza personale nel campo della produzione di scarpe, non ha avuto difficoltà a cambiare marcia sulla strada da percorrere per cercare di uscire da una crisi che affonda le sue radici a prima della pandemia. Presidente, qual è la sua storia?«Dobbiamo tornare indietro nel tempo e arrivare agli anni 50, precisamente al 1955 quando prese vita, fondata da mio padre, la Zeno Badon, dal suo nome. Nel 1958 nacque mio fratello Roberto e l'azienda iniziò a chiamarsi Robert ma senza registrazione del marchio. Negli anni '80 ci siamo resi conto che come Robert producevano dalle ruote di motociclette ai parafanghi. A quel punto ci siamo affidati a un'agenzia che intelligentemente ha aggiunto il De. Da allora ci chiamiamo De Robert». Azienda di famiglia ancora oggi?«Si, io e mio fratello siamo la seconda generazione e ora è arrivata la terza rappresentata dai due figli miei e due di mio fratello che sono in grado tranquillamente di gestire l'azienda. Il più vecchio ha 40 anni e il più giovane 32. Sono il futuro».La De Robert non ha una linea sua ma producete per conto terzi. È sempre stato così?«No, abbiamo prodotto il nostro marchio fino al 2014/2015 poi quando ci siamo resi conto che soffriva in modo terrificante s'è cercato di cambiare. Produrre la vera scarpa made in Italy costa molto e il prodotto anonimo non si vende. La nostra azienda è nella Riviera del Brenta dove il fatto della legalità, della trasparenza, visto e considerato che abbiamo gli insediamenti delle grandi case di moda, sono fondamentali, non si discutono».Come eravate strutturati?«Eravamo la classica azienda con lo stilista esterno e i collaboratori interni che sviluppavano un campionario con cui andavi alle fiere mentre i rappresentanti andavano in giro per il mondo a vendere le scarpe, la classica situazione. La produzione per conto terzi è iniziata un po' alla volta nel 2017 e si è ingrandita nel 2018 nella nuova sede». Dove si trova?«Sempre nello stesso paese, Saonara, in provincia di Padova. Abbiamo solo cambiato numero civico».La Riviera del Brenta è uno dei distretti più famosi e importanti per la produzione di scarpe di alta qualità. Qual è il valore aggiunto di quella zona?«Credo che sia il know how dei nostri professionisti. Non voglio togliere niente agli altri territori ma la professionalità della Riviera è unica. Abbiamo una scuola di formazione al Politecnico, siamo i soli ad avere una filiera completa a 360° non facile da trovare. Qui c'è da chi ti vende i macchinari, a chi te li prepara, i tacchi, le forme, gli accessori, le pelli, gli stilisti, la formazione. L'Associazione Calzaturifici della Riviera del Brenta è molto vicina agli associati».Per quali marchi produce?«Solo francesi. Ci siamo adeguati ai tempi e alle richieste. Oltre al prodotto classico e di lusso abbiamo inserito nel 2018 anche una catena per la produzione, sempre per le grandi griffe, di scarpe sneaker di lusso. Oggi la nostra azienda produce 800/900 scarpe al giorno. Per noi lavorano 85 addetti». Da presidente di Assocalzaturifici, qual è la situazione oggi dopo la pandemia? «È stato un anno molto pesante. Non si veniva da anni floridi, anche il 2018 e 2019 non avevano dato particolari soddisfazioni. Noi rappresentiamo il classico made in Italy, la classica struttura industriale del paese. Le nostre seimila e oltre aziende sono per la gran parte piccole, hanno una forza lavoro che va dai 10 ai 15 dipendenti, aziende che fino le cose funzionano in un certo modo vanno avanti altrimenti è tutto un problema».Un esempio?«Le sanzioni alla Russia hanno creato difficoltà enormi alle territoriali italiane. Non erano state previste e si sono ritrovate dalla sera alla mattina con una vicenda politica risolta con le sanzioni. Fino al giorno prima andavano in quel Paese, portavano le loro scarpe apprezzatissime, e improvvisamente tutto cambia. Non tutte le aziende hanno strutture tali preparate a cambiare impostazione e politica industriale e noi soffriamo di questo, delle dimensioni e delle strutture delle nostre aziende». Siete stati aiutati?«Non voglio scendere nell'arena della politica ma posso dire che sono decenni che non c'è una politica industriale. Vista la situazione attuale stanno aiutando le aziende anche piccole ad andare all'estero. Qui c'era l'idea che piccolo era bello ma dalla sera alla mattina non è stato più così. A febbraio 2020 è crollato il mondo, ci hanno chiusi i negozi, chiuse le frontiere, le aziende avevano pronte la scarpe da spedire ma sono rimaste in magazzino, non siamo stati in grado di fare campagna vendite. È stato un momento molto pesante. Sicuramente il mondo non sarà più quello di prima, stiamo cercando, come associazione, di portare avanti un discorso di digitalizzazione, di internazionalizzazione, di sostenibilità».
Jose Mourinho (Getty Images)