2020-12-09
Le nomine spaccano a metà Ferrovie. No del presidente alla lista del Mef
Gianfranco Battisti, amministratore delegato di Fs (Ansa)
Gianluigi Castelli, vicino al renziano Renato Mazzoncini, ha bocciato le proposte di Roberto Gualtieri presentate dall'ad. Sullo sfondo ci sono le divisioni nel governo per il controllo dei miliardi del Recovery plan e per il rimpasto caro a Italia viva.Un evento che passerà alla storia degli annali delle partecipate sta scombussolando un'azienda da oltre 80.000 dipendenti. Lunedì sera il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato ha bocciato le nomine proposte dall'amministratore delegato Gianfranco Battisti per conto dell'azionista, Il Mef. La deflagrazione è stata improvvisa e in netta contraddizione con quanto deciso solo venerdì scorso quando il comitato nomine si era riunito sotto il coordinamento della consigliera Wanda Ternau. Sul tavolo sono state messe le liste proposte dal ministero guidato da Roberto Gualtieri relative alla controllata Trenitalia e Rfi, i cui vertici sono in prorogatio già dallo scorso aprile. Nel primo caso indicato come ad era il nome di Luigi Corradi, già manager di Bombardier. Scelta a dirigere la rete invece Vera Fiorani, attuale direttore finanziario della stessa Rfi. Il comitato a quanto risulta alla Verità non avrebbe alzato alcuna paletta rossa, tanto più che la Fiorani avrebbe rappresentato la prima donna a dirigere un'azienda che si occupa di strade ferrate. Eppure in sede di cda la stessa Ternau ha votato contro le liste dell'azionista pubblico, allineandosi in pieno ai due consiglieri di area leghista nominati dal primo governo Conte. A fare però la differenza è stata la pallina inserita nel bussolotto dal presidente, Gianluigi Castelli, che ha fatto pendere la bilancia dalla parte del no. Si è così opposto non solo a Battisti ma alle scelte del Mef che a loro volta avevano ricevuto l'ok del ministero dei Trasporti guidato da Paola De Micheli. La sberla di Castelli apre uno scenario potenzialmente destabilizzante per l'azienda. Stoppata infatti l'assemblea che avrebbe dovuto ratificare le nomine, l'iter torna indietro. O il Mef ripresenterà le stesse liste, indicando di fatto la porta di uscita al presidente. Oppure Gualtieri darà a Battisti un nuovo elenco cedendo alla scelta di un presidente nominato dal suo predecessore, ma dallo stesso premier. È chiaro che Castelli ha saputo sfruttare appieno il no leghista (atteso per fare ostruzionismo di prassi) per smarcarsi dall'attuale compagine governativa. «Dall'ad di Ferrovie un blitz inopportuno. Rinnovare il board dei nuovi amministratori di Rfi, Trenitalia e Italferr, a pochi mesi dalla scadenza del mandato del cda, dimostra la fame di poltrone del governo Conte. Apprendiamo con favore che il tentativo sia fallito. Per l'esecutivo Pd-5s-Renzi-Leu l'ennesima figuraccia», ha dichiarato a caldo il capogruppo Lega in commissione Trasporti della Camera, Elena Maccanti. Ma tra il Carroccio e Castelli non c'è alcuna comunione d'intenti. Invece, non è un segreto che in queste ore ad esempio i renziani stiano cercando di fare leva sulle polemiche attorno alla task force del Recovery plan con l'intento di infilare Giuseppe Conte in un vicolo chiuso e imporre un rimpasto di governo. Far slittare le nomine significa sicuramente attendere l'esito del voto di questo pomeriggio in Aula. È in fondo l'evento più importante della legislatura che sposta gli equilibri e il potere di gestire nei prossimi anni una massa di fondi mai vista in Italia negli ultimi 50 anni. Tanto più che dei 209 miliardi del Recovery plan, all'incirca 50 potranno essere destinati al gruppo delle Ferrovie. Soprattutto in Rfi, ma anche alle altre partecipate dal momento che Fs è candidata anche a gestire progetti di digitalizzazione. Di fronte a tale prospettiva si comprende quanto sia importante per la politica scegliere i nomi anche delle partecipate di secondo livello. E la frattura tra Castelli e Battisti non si può giustificare con le recenti tensioni legate a qualche nomina. Ad esempio i grillini non hanno visto di buon occhio l'idea di arruolare Guglielmo Bove compliant manager della bollente Atlantia. Lo scontro consumatosi lunedì è qualcosa di più ampio. Il presidente che mantiene buoni rapporti con il renziano Renato Mazzoncini di cui era il capo dell'information technology potrebbe aver annusato un forte indebolimento di Conte, magari proprio tramite il pressing di Italia viva e una parte dei grillini. D'altronde l'Italia è un piccolo Paese e nei trascorsi di Castelli in Eni non si esclude che possa aver avviato la conoscenza di figure di spicco di Ey, come Donato Iacovone, oggi molto vicino a Massimo D'Alema, tra i più attivi quando si tratta di partecipate. Se appare incomprensibile la mossa della Ternau, la scelta di Castelli , non presente al comitato nomine, è comunque di forte rottura. Difficile che sia scaturita da una motivazione di curriculum o di opportunità visto che Battisti scade il prossimo maggio. Resta dunque il ricasco politico. D'altronde mai come in queste ore il Paese è attraversato da tensioni e forze diverse. Che puntano non tanto e non solo a prendere il posto di Conte ma a evitare che l'avvocato del popolo comandi su una montagna di 209 miliardi di euro. Il problema è che le tensioni toccano tutti i gangli dell'Italia.