2021-04-18
Le manie complottiste prosperano se la classe politica è inadeguata
La tendenza un po' paranoica a cercare oscure trame dietro fenomeni che non si comprendono è antica quanto l'uomo. Ma basterebbe poco a disinnescarla. Per dirla con Luigi Einaudi: «Serve il buongoverno».«Tu a quale complotto tieni?». A esprimersi così francamente sono magari in pochi, ma il succo è quello. Mentre la realtà diventa sempre più complessa da seguire e comprendere, il racconto degli scenari misteriosi su chi tira i fili di ciò che accade occupa sempre più la fantasia e anche i sentimenti delle persone. E sostituisce le vecchie appartenenze ideologiche, marginalizza quelle religiose, per non parlare degli sbrecciati relitti delle antiche culture. Oggi il retropensiero sui complotti in corso è un passaggio quasi obbligatorio: ogni gruppo, genere e età ha i suoi preferiti, a cui non intende rinunciare. Il sospetto (a volte fede) sulla loro esistenza diventa così il sale di conversazioni altrimenti insipide, l'interesse che rinsalda o affonda le amicizie e scalda perfino passioni che altrimenti stenterebbero ad accendersi. Come mai, però, ciò accade? Perché una buona parte delle persone lascia che le storie sui complotti occupino spazi importanti della propria vita, prendendo nell'immaginario collettivo un posto assimilabile a quello che avevano le vicende del cinema e dei suoi protagonisti nell'Età dell'oro? Sono infatti i complotti i film più visti, anche diverse volte al giorno, almeno nella propria testa (oltre che nei film ad essi dedicati nelle ricostruzioni romanzesche). Il fatto è che nelle società attuali il potere è diventato per le masse da una parte molto più visibile (come non vederne i templi, le bande celebranti con tamburi e fiati, le favole raccontate dai capi-comunicazione?), ma dall'altra molto più misterioso. Ciò suscita interesse, ma anche ansia e timore, e il risultato è che pochi riescono a sottrarsi allo spettacolo. Anche perché (al di là degli effetti speciali), fake o no, in effetti la vita stessa sembra spesso dipendere dai complotti, almeno in parte, a cominciare dalla salute e dai soldi: «Come mai le mascherine arrivano più di un mese dopo il virus annunciato già da sei, e all'inizio fan ridere?», «Se mi chiudo in casa e non posso vedere nessuno, come campo?». Non tutte, dunque, sono solo «paranoie». Il fatto è che nell'attuale organizzazione del potere non ti vengono mai fornite le chiavi per capire cosa realmente stia accadendo. La trasparenza è celebrata a parole ma l'opacità è maggiore di quella di epoche ufficialmente più buie.Nell'Ancien régime ad esempio (prima delle grandi rivoluzioni democratiche) il potere era molto più riconoscibile e a portata di mano: il «corpo del re» era certo sacro, ma anche lì da vedere e magari toccare (mentre oggi non si sa bene neppure chi comandi davvero). E a complottare erano soprattutto quelli che dal potere erano esclusi, e non potevano nascondersi più di tanto. I conflitti poi riguardavano al massimo il paese vicino, non i continenti al di là dei mari e dei cieli, e tanto meno la galassia, che si poteva ancora contemplare placidamente con la fidanzata (Elon Musk con le sue navette per Marte era ancora di là da venire). Le vicende e i meccanismi della politica e dei poteri sono invece oggi diventati straordinariamente complessi, solo parzialmente noti, e comunque di difficile comprensione. Tanto che quando capita che magistrati e potere giudiziario siano ufficialmente costretti ad occuparsi di aspetti (di solito marginali) dei «complotti» (stragi, attentati etc.), anch'essi finiscono con impiegare mesi e magari anni per capirci qualcosa, e di solito non ci riescono affatto. Pur ammettendo ampie dosi di immaginazione nei racconti sui complotti, tutto ciò conferma l'antico adagio clinico: «Ogni paranoico ha le sue ragioni» e alimenta la passione collettiva sulle oscure trame; ognuno ha la sua preferita, che completa con i suoi tratti stilistici personali. D'altra parte, come mostra anche ogni psicoanalisi, l'ombra, ciò che non viene mostrato, ma in parte è intuito o comunque sospettato, diventa fatalmente irresistibile. Così le masse delle grandi democrazie cadono preda del tormentone obbligatorio del complotto. Che quindi, a quanto risulta ai sociologi della comunicazione e agli storici, assume oggi caratteristiche particolari. Come racconta bene il più recente libro sull'argomento (Le theories du complot, Edizioni Que sais-je), del politologo Pierre-André Taguieff, docente all'Institut d'études politiques di Parigi. Fu il filosofo della scienza Karl Popper (fra i primi a dimostrare come la scienza proceda necessariamente per tentativi ed errori), a notare già nel 1945 la presenza nel dibattito storico-politico di una nuova «teoria della cospirazione», marcatamente economica, secondo la quale per capire ciò che sta accadendo basta considerare che «tutto ciò che accade è voluto da quelli che ne traggono vantaggio». Insomma: «Guarda chi ci guadagna e hai trovato il responsabile». Un'osservazione che mette l'economia al centro della storia attuale, ed equipara però i vincitori a dei profittatori. In effetti le teorie dei complotti vengono sempre da chi sta perdendo o ha già perso la partita, o addirittura non ha nemmeno potuto giocare perché non gli è stato consentito l'accesso in campo. Questa è una ragione sufficiente (secondo chi scrive) per non lasciarsene catturare, anche se sarebbe stupido e pericoloso ignorarle del tutto, come ogni altro elemento della realtà, soprattutto se nascosto.Le teorie della cospirazione prosperano però per la mancata risposta a un bisogno ancora più profondo e importante. Un bisogno umano che si ripresenta inderogabilmente «ad ogni generazione» come notava la personalità più acuta e saggia della storia dell'Italia repubblicana, Luigi Einaudi, economista e presidente della Repubblica (già maestro di più d'uno dei maestri dell'attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi). Si tratta della necessità di un «buongoverno» che garantisca «quel bene supremo che è la libertà dell'uomo» su cui poggia «la legittimità» e con essa la tenuta delle istituzioni. Non è una cosa particolarmente complicata: il buongoverno per l'economista Einaudi viene infatti ancora prima dell'economia, e riconosce che la nazione le questioni morali sono più profonde e fondanti di quelle economiche. Si tratta di aspetti semplici: «Virtù civiche come prudenza, parsimonia, onestà, operosità, rettitudine, rispetto di tradizioni e consuetudini, legami sociali, di famiglia e di vicinato». La società forte è fondata su questa vivente rappresentazione del bene, che deve essere condivisa e praticata dai più, a cominciare dai suoi governanti. Altrimenti si moltiplicano le paure e i timori. E le teorie dei complotti.
Jose Mourinho (Getty Images)