2018-05-12
Le mani degli stranieri sul governo
Avanzano le trattative tra grillini e leghisti, ma spunta il pressing europeo (soprattutto francese) per un premier che, come Mario Monti, piaccia a Bruxelles. L'opposto di quello che chiedono gli elettori. Del resto, è già successo, no? Nel 2011, siccome Silvio Berlusconi non piaceva più all'Ue, cioè a Nicolas Sarkozy e a Angela Merkel, fu fatto fuori con lo spread e al suo posto insediarono Monti, uno che all'Europa piaceva moltissimo perché aveva la stessa flessibilità di un tedesco del Nord durante l'inverno, cioè zero.Se, per farla finita con sprechi e privilegi della Casta, volete aprire il Parlamento e il Palazzo come una scatola di tonno, che cosa c'è di meglio di mettere a capo del governo un diplomatico? Un uomo esperto nel mantenere cordiali e corrette relazioni con tutti è l'uomo giusto al posto giusto per maneggiare l'apriscatole: ovvio, no? Così, in queste ore che precedono la scelta della persona cui assegnare la guida del nuovo esecutivo gialloverde, ecco spuntare il nome di Giampiero Massolo, ambasciatore di lungo corso e attualmente pensionato di lusso grazie ad alcune importanti presidenze. Il suddetto è un signore sulla sessantina, che ha percorso tutti i gradini dentro il ministero degli Esteri fino a divenirne il segretario generale, ma soprattutto è stato a Bruxelles, rappresentante permanente presso l'Unione europea. Prima di fare il salto dalla diplomazia verso poltrone ben remunerate, Massolo ha anche ricoperto l'incarico di capo del Dis, il dipartimento informazioni per la sicurezza, servizi segreti insomma, il che aggiunge un pizzico di mistero al curriculum. Un tipo simile, con esperienza di mondo, deve aver pensato qualcuno, non ce lo si può far scappare. E così eccolo candidato addirittura alla guida del Paese, di un governo mezzo grillino e mezzo leghista. Ma perché Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovrebbero fare un passo indietro per farne fare uno in avanti a Massolo o a qualsiasi altra persona che abbia il profilo dell'ex ambasciatore? Perché Massolo e i nomi che girano in queste ore per la poltrona di Palazzo Chigi piacciono all'Europa, è la risposta. Sì, ma l'Europa vota in Italia? No, è la replica, ma ci tiene per il debito e dunque conta più di quei milioni di italiani che il 4 marzo si sono presi la briga di mettersi in fila per infilare nell'urna la propria scheda elettorale. Del resto, è già successo, no? Nel 2011, siccome Silvio Berlusconi non piaceva più all'Ue, cioè a Nicolas Sarkozy e a Angela Merkel, fu fatto fuori con lo spread e al suo posto insediarono Mario Monti, uno che all'Europa piaceva moltissimo perché aveva la stessa flessibilità di un tedesco del Nord durante l'inverno, cioè zero. Di votare l'ex rettore della Bocconi per farlo diventare presidente del Consiglio agli italiani non passava neanche per la testa, e infatti quando Monti ci provò, sottoponendosi dopo un anno al governo al rito democratico delle elezioni, dimostrò tutta la propria ininfluenza politica.Non contenta del risultato ottenuto dal sobrio professore in loden, adesso l'Europa ci riprova, con Massolo o con altri che gli somigliano. Invece di lasciare che gli italiani si sbrighino da soli la faccenda, scegliendo da chi vogliono farsi governare, l'Ue ci mette lo zampino. Da giorni l'Italia è bombardata con pressioni di ogni tipo, che arrivano da Bruxelles, ma non solo. Il commissario europeo di stampo francese, Pierre Moscovici, non passa giorno che non dica la sua, proclamando ai quattro venti la preoccupazione per ciò che sta accadendo in Italia. Non diversamente si comporta Jean Claude Juncker, il gran capo della Ue, che anche ieri era a Firenze e ci ha impartito una lezioncina. Emmanuel Macron, amicone e musa ispiratrice di Matteo Renzi, poteva a questo punto stare zitto? Ovviamente no, e così anche lui si è sentito in dovere di far conoscere la sua opinione sul risultato di casa nostra.Insomma, per farla breve, siamo al centro dell'attenzione, destinatari di pressioni per farci digerire un presidente del Consiglio che vada bene all'Europa. Purtroppo anche con qualche risultato. Per capirlo è sufficiente leggere le dichiarazioni provenienti dal Movimento 5 stelle. Messo da parte l'apriscatole, i grillini sembrano animati dal sentimento di disturbare il meno possibile. Arrotolata la bandiera anti euro e qualsiasi velleità di sottoporre l'adesione alla moneta unica agli italiani, i pentastellati parlano come parlerebbe Ignazio Visco, il governatore della Banca d'Italia, pronti a rispettare i vincoli europei e soprattutto a sottostare alle regole sul deficit di bilancio. Nessuna spesa in più, niente sforamento, zero ritocchi alla legge Fornero che gravino sul bilancio. Addirittura, per dimostrarsi adeguati alle richieste, hanno aperto anche qualche spiraglio a un terzo uomo che abbia i connotati di Massolo.Ci mancava poi la benedizione di Sergio Mattarella, il quale tanto per chiarire come la pensa, si è messo ad attaccare qualsiasi aspirazione di sovranità, ossia l'idea di essere padroni in casa propria, che da parte di uno che dovrebbe difendere l'unità nazionale, la Repubblica, il popolo sovrano e tutte queste belle cose costituzionali, sembra un po' una contraddizione. Quella dell'inquilino del Quirinale è parsa un'apertura a un profilo diplomatico simil Massolo. Anzi, è quasi sembrata un'investitura per completare l'opera.Sarà dunque l'ex ambasciatore il presidente del Consiglio? Al momento non lo sappiamo, ma lo temiamo. Non per il soggetto in sé, che pur non essendo da noi conosciuto è da tutti ritenuto una persona a modo, ma perché un diplomatico non pare proprio la persona giusta per fare un lavoro che di diplomatico non ha nulla. Gli italiani hanno votato Lega e 5 stelle per cambiare l'Italia, mica per mantenerla così com'è. Ve lo vedete Massolo, o uno come lui, a dire qualche cosa che non piaccia alla Francia o alla Germania? E come vedete un ambasciatore che deve mandare a quel paese qualche organizzazione internazionale che strilla per le politiche anti migranti? E poi, provate a immaginare un Consiglio dei ministri presieduto da Massolo con Salvini agli Interni e Di Maio agli Esteri. Quanto può durare? Ma, soprattutto, quanto durerebbe la pazienza degli italiani?
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
Continua a leggereRiduci