2020-05-04
Le incongruenze di Biden nel caso Tara Reade
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Ha negato seccamente. Intervistato venerdì scorso su Msnbc, Joe Biden ha respinto le accuse di aggressione sessuale, mossegli lo scorso marzo dall'ex collaboratrice, Tara Reade. «Non è vero. Sto dicendo in modo inequivocabile che non è mai, mai successo, e non è mai successo. Non è mai successo», ha dichiarato l'ex vicepresidente. Eppure, nonostante la veemenza della sua difesa, ci sono alcuni punti di incongruenza, che vale forse la pena di prendere in considerazione.Innanzitutto, si è assistito a un'evidente contraddizione di natura politica. Nel corso dell'intervista, il probabile candidato democratico alla Casa Bianca ha asserito: «Le donne hanno il diritto di essere ascoltate e la stampa dovrebbe indagare rigorosamente sulle affermazioni che fanno. Rispetterò sempre questo principio. Ma alla fine, in ogni caso, la verità è ciò che conta. E in questo caso, la verità è che le affermazioni sono false». Il principio, di per sé, non farebbe una piega, visto che banalmente un'accusa, per risultare fondata, deve essere provata o almeno suffragata da qualche evidenza o testimonianza. Peccato però che, nel 2018, Biden si fosse espresso in modo ben diverso. Nel settembre di quell'anno, il giudice conservatore Brett Kavanaugh - nominato da Donald Trump alla Corte Suprema - era stato accusato da tre donne di aggressione e molestie sessuali, più o meno in coincidenza dell'inizio del processo di ratifica al Senato. Per quanto nessuna delle tre accusatrici fosse all'epoca in grado di corroborare le proprie accuse, la linea del Partito democratico fu che costoro avrebbero dovuto comunque essere credute, visto che avevano avuto il coraggio di mettersi contro un uomo potente: questo coraggio, in altre parole, le avrebbe esentate dal produrre evidenze o testimonianze terze per suffragare le proprie accuse. In tal senso, nel settembre del 2018, Biden affermò: «Per una donna che decide di farsi avanti tra le luci abbaglianti della ribalta, a livello nazionale, devi partire dal presupposto che almeno l'essenza di ciò di cui sta parlando è reale, indipendentemente dal fatto che dimentica i fatti». Sulla medesima linea si collocò la senatrice californiana, Kamala Harris, che, nelle stesse ore, in riferimento all'imminente testimonianza in Senato della prima accusatrice di Kavanaugh, Christine Blasey Ford, ebbe a dire: «Io le credo. […] chiunque si presenti a questo punto per essere pronto a testimoniare al Senato degli Stati Uniti contro qualcuno che è stato nominato per una delle posizioni più potenti nel governo degli Stati Uniti, richiede uno straordinario coraggio».Quindi, per ricapitolare: nel caso di Kavanaugh le accusatrici dovevano essere credute sulla parola, in quello di Tara Reade - al contrario - l'ex vicepresidente invoca delle prove. Tra l'altro, non bisogna neppure dimenticare che, nell'aprile del 2019, la stessa Harris si espresse sulle donne che avevano all'epoca accusato l'ex vicepresidente di molestie, dichiarando: «Credo loro e rispetto loro per essere in grado di raccontare la loro storia e per avere il coraggio di farlo». Si tratta tuttavia della stessa Harris che, interpellata pochi giorni fa sul caso Tara Reade, ha replicato: «Posso parlare soltanto del Joe Biden che conosco». Un bel cambio di linea. Tanto che, a voler essere maliziosi, si potrebbe pensare dettato da considerazioni di natura politica: non dimentichiamo infatti che la Harris compaia oggi tra le papabili candidate alla vicepresidenza a fianco di Biden. Tra l'altro, non va neppure trascurato che, due anni fa, molti democratici chiesero il ritiro di Kavanaugh come giudice della Corte Suprema. Usando il loro stesso standard, oggi dovrebbero chiedere allora un passo indietro a Biden nella sua corsa verso la Casa Bianca. Perché non lo fanno?Al di là di questo, dall'intervista su Msnbc è emerso anche un elemento problematico che ha a che fare specificamente con l'accusa. Ricordiamo che la presunta aggressione sessuale sarebbe avvenuta nel 1993, quando Biden era senatore del Delaware. In tal senso, il candidato democratico ha detto venerdì che, se la Reade ha realmente presentato all'epoca una denuncia scritta, potrà nel caso essere reperibile all'interno dell'Archivio Nazionale. A quel punto, l'intervistatrice, Mika Brzezinski, gli ha domandato se intenda rendere pubblici anche i suoi documenti attualmente conservati dall'Università del Delaware: una richiesta che Biden ha seccamente respinto, sostenendo che quell'istituto non possegga documentazione attinente a collaboratori o ex collaboratori. Pur incalzato dalla giornalista, l'ex vicepresidente ha confermato la sua indisponibilità a concedere l'accesso a quegli archivi. La domanda è: perché? Pur ammettendo che l'Università del Delaware non contenga realmente materiali relativi a questa vicenda, non dovrebbe comunque essere primario interesse di Biden dissipare ogni dubbio sull'accusa di aggressione sessuale? Anche perché una tale reticenza non farà prevedibilmente che rinfocolare diffidenza e polemiche politiche, oltre all'ipotesi che quegli archivi possano contenere qualche informazione compromettente (non necessariamente collegata al caso Reade).Certo: va indubbiamente sottolineato che la versione della Reade presenti dei punti non poco traballanti. Ha accusato soltanto recentemente Biden di aggressione sessuale, mentre prima si era limitata a parlare di molestie. Ha inoltre dichiarato pochi giorni fa di non aver inserito l'accusa di «aggressione sessuale» nella denuncia che asserisce di aver fatto nello stesso 1993. Nonostante questi indubbi punti oscuri, non va comunque dimenticato che la versione della Reade sia attualmente suffragata da una serie di testimonianze indirette, due delle quali raccolte dalla testata Business Insider. Una ex vicina di casa della donna ha affermato che la Reade le avrebbe raccontato dell'aggressione sessuale nel 1995 o nel 1996, mentre una sua ex collega ha riferito che, nello stesso periodo, la Reade stessa le avrebbe detto di essere stata molestata dal suo precedente capo. Anche un amico (che ha preferito restare anonimo) ha dichiarato che la donna gli avrebbe riferito dell'aggressione sessuale nel 1993. Ora, non è detto che queste testimonianze terze siano necessariamente attendibili e non vanno quindi ovviamente prese come oro colato. Resta tuttavia il fatto che, nel caso di Christine Blasey Ford due anni fa, la testimonianza di quest'ultima contro Kavanaugh non solo non venne corroborata ma fu addirittura contraddetta. Ciononostante i democratici chiesero egualmente all'epoca che venisse ritirata la candidatura del giudice alla Corte Suprema.Ma non è tutto. Gli ambienti vicini a Biden stanno cercando di lasciare intendere che Tara Reade abbia lanciato la sua accusa per motivazioni politiche. In particolare, il riferimento è al fatto che, a partire da gennaio, la donna sia diventata sostenitrice di Bernie Sanders e che abbia spesso nutrito pubblicamente non poca simpatia per Vladimir Putin. Sennonché questo modo di ragionare tradisce due paradossi. Innanzitutto appare strano che il Partito democratico - da sempre autoproclamato paladino del movimento Me Too - subordini un'accusa di aggressione sessuale alla fede politica dell'accusatrice. Se volessimo comunque adottare questo standard, allora non dovremmo dimenticare che Christine Blasey Ford fosse iscritta al Partito democratico. E che, tra l'altro, i suoi avvocati, Debra Katz e Lisa Banks, fossero strettamente collegati all'asinello, oltre a risultare finanziatori di Barack Obama e Hillary Clinton. Perché allora solo la Reade dovrebbe essere oggi mossa da intenti politici e non all'epoca la Ford?Il doppiopesismo, insomma, è lampante. E rischia di abbattersi come una pericolosa tegola sulla campagna elettorale di Biden, oltre che sull'intero Partito democratico. Perché il problema va al di là della veridicità delle accuse della Reade (su cui sarà l'autorità giudiziaria a dover far luce). La questione è infatti primariamente politica e chiama in causa la coerenza e l'onesta intellettuale di un partito - l'asinello - che cambia standard e criteri di valutazione in base alla propria convenienza. Un atteggiamento di cui a novembre molti elettori potrebbero ricordarsi.