2022-05-01
Le idee di Fdi per governare. Prima però va ritrovato il rapporto con gli alleati
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Oggi giornata conclusiva della kermesse. Ieri sul palco Luca Ricolfi, Carlo Nordio, Marcello Pera, Paolo Del Debbio e Giulio Tremonti. In mancanza di una strategia comune con Lega e Fdi, tuttavia, vince il Pd.Giorgia Meloni, al volante della vettura targata Fratelli d’Italia, ha messo la freccia, si è spostata in corsia di sorpasso, e si prepara a superare e distanziare tutte le altre macchine che percorrono l’autostrada della politica italiana. Secondo non pochi sondaggi, Fdi è già primo partito: una performance eccezionale, se si considera il 4,3% raccolto alle politiche del 2018.La tre giorni milanese al Mico che si chiuderà oggi (4.600 delegati, scenografia imponente, ospiti di prestigio) serve a consolidare questo posizionamento, a sfondare anche al Nord, e a trasmettere l’idea di un partito che scrive il suo programma allargandosi rispetto al cerchio più stretto dei propri dirigenti storici. Dal lato della legittimazione, c’è un felice paradosso: quel risultato di maggiore credibilità che la Lega cercava entrando nel governo di Mario Draghi, la Meloni l’ha centrato restandone fuori. Dal lato del consenso, invece, non c’è da essere sorpresi: come il sostegno al governo di Mario Monti - a suo tempo - dissanguò l’allora Pdl e fece la fortuna della Lega (che stette fuori), allo stesso modo oggi è proprio chi sta all’opposizione ad avere davanti a sé praterie. La direzione di marcia della Meloni appare dunque assai azzeccata: opposizione lineare ma non distruttiva; atlantismo in politica estera (anche se non sono stati molti, in questi due mesi, i dirigenti del suo partito ad esprimersi a voce alta accanto a lei su questi temi: si può citare in positivo il senatore Giovanbattista Fazzolari); e, in politica interna, il tentativo di transitare dal sovranismo al conservatorismo, anche pensando alla famiglia politica che la Meloni presiede a Bruxelles. I dubbi e le incognite stanno forse in due aspetti. Il primo: se la direzione è giusta (e lo è), perché non accelerare ancora di più, liberandosi di alcune timidezze? Qualche esempio? Sull’Europa, la Meloni ha criticato l’Ue per «essersi presentata all’appuntamento della storia senza una difesa, senza una politica estera»: sorprendentemente, da parte sua, una critica più «unionista» che «scettica», quasi a dimostrare di essere lei più europeista di altri. O ancora, in economia, accenti molto tradizionali (e un po’ dirigisti) su esigenze di «politica industriale». O perfino l’illusione di risolvere problemi reali costruendo dicasteri (il «ministero del mare»). Sul fisco, servirebbe più coraggio: si sono uditi riferimenti a un «fisco equo» o a proposte del tipo «più assumi, meno paghi», ma non l’annuncio di una battaglia campale per un megataglio di tasse, per un autentico choc fiscale. Sia chiaro: accelerare non è mai facile. La Meloni non vuole spaventare il suo mondo di riferimento, e punta a far marciare compatto il corpo militante del partito. Esigenza comprensibile: e tuttavia correre ancora di più sarebbe forse consigliabile, per evitare il rischio che l’evocazione «conservatrice» appaia come una riuscita (ma ancora un po’ vaga) mossa di marketing. Il secondo problema ha a che fare con il rapporto con il resto della coalizione. Non si tratta di stabilire chi ne sia responsabile, ma il senso di disarticolazione oggi trasmesso dal centrodestra è disarmante: per ora, né vertici per incontrarsi, né candidature comuni a tutte le amministrative. In ultima analisi, altrettanti regali al Pd. Può anche darsi che, alla fine, Fdi ne esca benissimo come partito: ma, con una coalizione litigiosa, sfasciata o inesistente, il rischio di un’altra legislatura bruciata per il centrodestra è alto. Ieri, a margine dei lavori, la Meloni è parsa fredda: «Salvini viene? Ne so quello che sapete voi, io non l’ho sentito, se passa siamo contenti». E subito dopo: «Alla gente non frega niente quando si vedono Salvini e Meloni: i temi sono altri». Conclusione: «Sono sempre disponibile al vertice: incroceremo le agende e ci vedremo». Tornando ai lavori, sono stati sei gli interventi più attesi, introdotti ciascuno da un dirigente di Fdi. Paolo Del Debbio si è occupato di periferie, emarginazione, disuguaglianze, elogiando l’attitudine di Fdi a studiare i problemi e ad andare oltre quella che ha definito la «tempistica abituale della politica italiana: otto ore, come per un antibiotico, non di più». Anche Guido Crosetto, più protagonista interno che invitato esterno, ha rivendicato l’impegno a parlare di contenuti, e ha (a nostro avviso giustamente) criticato alcune ingenerosità e sottovalutazioni mediatiche rispetto alla conferenza di Fdi. Luca Ricolfi, che ha affrontato quella che ha definito la «distruzione della scuola e dell’università», ha sottolineato «di essere l’unica persona dichiaratamente di sinistra invitata qui, ma non sono stupito: le migliori idee della sinistra sono state abbandonate dalla sinistra, e alcune di esse si trovano oggi a destra, a partire dal tema della libertà di espressione». Carlo Nordio ha sottolineato le contraddizioni della giustizia, con un assetto costituzionale che non rende possibili né la discrezionalità dell’azione penale né la separazione delle carriere, e che invece conferisce un immenso (e non bilanciato) potere al pubblico ministero. Marcello Pera ha valorizzato l’opportunità di una riforma presidenzialista. L’ex presidente del Senato ha anche insistito sulla necessaria «anima» a suo avviso da dare all’Europa, evocandone l’identità cristiana, e descrivendo i conservatori come aperti a cambiamenti compatibili con la tradizione in cui si è cresciuti. Giulio Tremonti ha pronunciato un intervento punteggiato da osservazioni polemiche verso l’attuale premier, a partire dalla lettera Draghi-Trichet del 2011 («confondeva l’austerità con la moralità, la politica con il tasso di interesse»). Torna la poco lusinghiera immagine di Metternich («Italia espressione geografica») e c’è tuttora il rischio di essere «calpesti e derisi». Stilettata finale: «Chi di spread ferisce…».
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