2024-11-17
Le guerre stellari cambiano il mondo
La lotta per conquistare lo Spazio stravolgerà la società e l’economia. Non solo Musk, in gioco ci sono l’ex socio Thiel, Bezos e Luckey, attivo nell’Intelligenza artificiale.Consigliere scientifico di LimesIl Financial Times ha pubblicato in prima pagina una grande foto che ritrae Donald Trump nella sua casa in Florida circondato dai numerosi familiari, e sulla destra in primo piano spicca Elon Musk con il figlio in braccio. «Welcome to the family», titola il quotidiano e se la comunicazione non verbale di un’immagine vale quanto il messaggio, questo ci dice che oggi nel mondo e soprattutto nello Spazio la stella di Musk è destinata a brillare come Sirio. Nel 2002, fondò la SpaceX in un capannone di El Segundo, un sobborgo di Los Angeles, insieme a Tom Mueller, un ingegnere che aveva lavorato alla Trw, storica azienda aerospaziale appaltatrice del Pentagono. Musk aveva provato a comprare dei razzi vettori dai russi ma dopo inconcludenti trattative decise di costruirseli nel suo capannone. Fece un ragionamento semplice e geniale: perché spendere tanti soldi per costruire un razzo e poi dopo averlo lanciato non recuperarne nulla? Da lì nacque l’idea del Falcon, il lanciatore con nove motori ultraperformanti che dopo aver messo in orbita i satelliti, rientra a terra. Una sfida ingegneristica che 20 anni fa era considerata fantascienza. Invece, dal 2010 a oggi i Falcon hanno effettuato 402 missioni, sono rientrati a terra con successo 363 volte su 375 tentativi; praticamente, una media di un lancio nello Spazio ogni 12 giorni. Oggi SpaceX impiega 13.000 addetti, utilizza le basi di lancio della Nasa e del Pentagono ma ha acquistato un terreno sul Golfo del Messico dove ha costruito fabbriche e rampe. Oggi, la Crew Dragon della SpaceX è l’unico mezzo degli Stati Uniti in grado di portare in sicurezza gli astronauti sulla stazione spaziale Iss. Ecco perché Trump non esita a definire Musk uno di quei «geni» che nascono come una piantina nel deserto. Ma questo lo avevano intuito anche i suoi predecessori alla Casa Bianca; è iconica una fotografia del 2010 che ritrae un trentanovenne Musk che mostra a Barack Obama un modellino della Starship, un’astronave rivoluzionaria che in quel momento era solo un’idea ma che 13 anni dopo è realtà. Starship è una nave spaziale alta 50 metri. Vederla sulla rampa di lancio è impressionante, supera per dimensioni il mitico Saturno 5 che portò l’Apollo 11 sulla Luna ma soprattutto sia il primo stadio che la Starship tornano a Terra e si riusano. Negli ultimi 18 mesi Starship ha effettuato i primi cinque voli di prova, ognuno costato 1 miliardo di dollari, di cui tre riusciti. L’ultimo a ottobre scorso è stato clamoroso perché il primo stadio Super Heavy è stato recuperato sulla torre di lancio preso letteralmente «al volo» da due bracci retrattili. Trump nel suo discorso subito dopo il voto si è soffermato estasiato a parlare di questo razzo. Poi ha parlato anche di Starlink, la costellazione di satelliti sempre di proprietà di Musk, che permette a chiunque al mondo di comunicare, anche in situazioni difficili come quella recente dell’uragano Helene. Ecco, ascoltando le parole e il tono di Trump ci siamo detti: e ora cosa aspettarsi dagli Usa nello Spazio? Vedremo. Se usciamo dall’elegia narrativa di un’impresa industriale eccezionale ed entriamo nella realtà del presente e del nostro futuro qualche elemento di riflessione possiamo elaborarlo. Nel mio libro Capitalismo Stellare, come la nuova corsa allo Spazio cambia la Terra (2023, Rubbettino editore) ho provato ad analizzare l’impatto economico, ambientale, sociale e militare dei nuovi sistemi spaziali sviluppati dai miliardari della Silicon Valley, dei quali Musk rappresenta l’esponente più in vista. Il mondo delle telecomunicazioni è stato stravolto dall’avvento di Starlink, che oggi conta più di 7.000 satelliti in orbita, perché la copertura globale e la minima latenza ne fanno uno strumento imbattibile per comunicare in ogni situazione, da casa come dal fronte in battaglia. Starlink ha l’autorizzazione della Fcc per lanciare 12.000 satelliti ma l’obiettivo della società è di averne oltre 40.000. Impresa non impossibile dato che Starship potrà lanciarne oltre 100 per volta. Qui il punto, decisivo, sarà l’assegnazione delle frequenze perché lo spettro elettromagnetico per le comunicazioni non è infinito e Starlink punta a prendersene il più possibile, in tutto il mondo. Si tratta di un tema dirimente perché impatterà il futuro della nostra società e quello degli operatori tradizionali di tlc. Da riparlarne. Ma tra i capitalisti stellari non c’è solo Musk. La Palantir di Peter Thiel, ex socio di Musk, primo finanziatore di Facebook e mentore del nuovo vicepresidente J.D. Vance, manda in orbita satelliti con a bordo l’Intelligenza artificiale della sua piattaforma Apollo. Poi c’è la Blue Origin di Jeff Bezos, fondata due anni prima della SpaceX, che sviluppa razzi riusabili e stazioni spaziali. Il fondatore di Amazon dichiara di voler spostare dalla Terra allo Spazio l’industria pesante ed energivora e, immaginiamo, forse fa riferimento ai data center e alle piattaforme cloud che costituiscono il business da 90 miliardi di dollari l’anno della sua Aws. Blue Origin e SpaceX sono le società che stanno progettando per la Nasa il futuro lander lunare e la società di Musk ha anche l’appalto del Pentagono per Starshield, una rete satellitare per comunicazioni militari. Poi c’è Palmer Luckey, ancora sconosciuto ai più, per poco ancora: la sua Anduril produce per il Pentagono droni a navigazione autonoma ed è valutata 14 miliardi di dollari. Poche settimane fa la Us Space Force ha appaltato ad Anduril un contratto per testare nello Spazio il suo software di Intelligenza artificiale, chiamato «Lattice». Da tenere d’occhio. In conclusione, l’oligarchia tecnopolitica delle Big tech ha molti e diversificati risvolti e il mondo digitale che esse realizzano, con sistemi terrestri e spaziali, si integra con quello reale di tutti quei beni e servizi che noi utilizziamo quotidianamente. È questa la realtà dietro al mito della colonizzazione di Marte.
Ken Follett @Gareth Iwan Jones
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