2021-06-24
Le famiglie italiane grate a Francesco. Però è solo l’inizio
Papa Francesco (Danny Lawson/PA Images via Getty Images)
L'intervento vaticano sulla legge bavaglio rinfranca un popolo in lotta da anni. La battaglia sarà ancora lunga. E sarà dura.Vorrei iniziare con una citazione della Sacra Bibbia, dal libro del Deuteronomio: «Il grido del mio popolo è giunto fino a me» (Dt.3,7). Sono le parole con cui Yahweh annuncia il suo intervento contro il faraone d'Egitto, in difesa del popolo ebreo, schiavo da centinaia di anni. È certamente un paragone forte e anche un po' azzardato, me ne rendo conto, ma può essere utile per descrivere il senso di soddisfazione e di gratitudine che il grande popolo pro family ha avvertito leggendo la nota della Santa Sede sul tanto discusso tema del ddl Zan. In verità è da molto tempo che viene denunciato da varie parti, sia di appartenenza cristiana che laica e agnostica, quanto quel testo di legge sia palesemente in contrasto con la libertà di pensiero, di manifestazione delle opinioni e della libertà educativa in capo alla famiglia - con i propri principi e valori di riferimento - e al mondo dell'educazione scolastica che non può e non deve svolgere un compito di indottrinamento ideologico. La segreteria di Stato, riferendosi alla Costituzione e al Concordato, rivisto nel 1984, ha affermato in modo inequivocabile che «alcuni contenuti» del testo Zan «riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall'art. 2, commi 1 e 3». In particolare, al comma 3 si dichiara che è «garantita ai cattolici e alle loro associazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Il riferimento diretto è all'articolo 4 del ddl Zan che introduce di fatto un vero e proprio «reato di opinione», ma anche agli articoli 1 e 7 che viaggiano di pari passo e prevedono un indottrinamento scolastico secondo l'ideologia gender. In uno Stato veramente democratico tutta questa discussione non avrebbe senso e non dovrebbe neppure esistere, considerato che il sale della democrazia sta proprio nella libertà di pensiero che la nostra Costituzione peraltro riconosce e garantisce all'articolo 21. Ma in questi tempi di evidente crisi a opera di una dittatura certamente più sottile di quella del manganello e dell'olio di ricino, ma non meno pericolosa - dato che si arma del codice penale, con la previsione di anni di reclusione - è diventato un imperativo categorico manifestare un forte dissenso, dai circoli culturali, ai convegni e ai dibattiti televisivi, fino alle piazze stracolme di popolo preoccupato per il futuro del nostro Paese. Anche in occasione del tentativo di varare questa legge illiberale e liberticida si è cercato di utilizzare la strategia del «silenzio» e del «fatto compiuto»: niente esposizione pubblica (magari complice la chiusura pandemica), qualche finto dibattito nelle segrete stanze e poi rapidamente al voto, sfruttando il vergognoso status attuale di un Parlamento la cui composizione non corrisponde per nulla al sentire della maggioranza del popolo italiano. Ma si sa che chiunque osi parlare di elezioni non può che essere - a prescindere - un pericoloso fascista sovranista, irrispettoso delle istituzioni. Così, da almeno due anni, il mondo pro family, in tutte le sue svariate coloriture, ha scelto di far sentire la propria voce di grande allarme per un disegno di legge impresentabile sotto il profilo giuridico, ideologicamente arrangiato, divisivo, a tratti provocatorio, e in aperto contrasto con la storia e la cultura del nostro popolo. Oltre che assolutamente inutile, sul piano della difesa delle persone omosessuali fatte segno di discriminazioni o violenze, visto che chiunque ha commesso questi reati è già stato condannato e alloggia nelle patrie galere. Così, in questi mesi, anche chi taceva, magari per ignoranza o magari in ossequio al tragico motto «a me chi me lo fa fare», ha deciso di rompere il silenzio e abbiamo assistito a interventi di persone gay, lesbiche, militanti della galassia Lgbt+, femministe radicali, atei professi, agnostici laici convinti anche con sfumature anticlericali di condanna dei numerosi passaggi critici di una legge che stava per essere imposta al nostro popolo che ha certamente difetti, ma che non è per nulla omotransfobico. Siamo certi di poter affermare che non c'è cittadino italiano che non si indigni di fronte ad atti di violenza verso chiunque perpetrati, comprese le persone omotransessuali, che questa legge vorrebbe rinchiudere in un recinto ipertutelato, in una riserva per cittadini di serie A, generando - questa sì - un moto di insopportabile privilegio, discriminatorio soprattutto verso le persone più deboli che hanno bisogno di tanto, di tutto, dal lavoro alla salute, dallo stipendio alla cassa integrazione, e per i quali non esiste condotta privilegiata alcuna. Lo dobbiamo ripetere fino allo sfinimento: premesso che non è il tema fondamentale, ma dove sta il buon senso di allocare 4 milioni euro in favore di questa legge (con previsione di successive implementazioni) mentre la sofferenza, anche economica, del nostro popolo è palpabile dalle Alpi al mare? «Quem Deus vult perdere, dementat» è la notissima locuzione cristiana, che calza perfettamente ai nostri tempi: l'ideologia annebbia, confonde, danneggia e non può essere altrimenti anche per un disegno di legge che ha licenziato il semplice e naturale buon senso. Dunque, più che legittimo e giustificato l'intervento, fermo ma rispettoso, della Santa Sede. Ma non possiamo e non dobbiamo fermarci qui. Non si dimentichi - soprattutto da parte dei genitori e delle famiglie, che hanno la responsabilità educativa dei loro figli - che l'imposizione ideologica delle identità variabili di genere costituisce un danno enorme per la crescita equilibrata dei ragazzi. I generi sono due, maschio e femmina, così ce li ha consegnati la natura e il «menù» dei 50 e rotti generi è una pura invenzione, anzi uno «sbaglio della mente» come ci ha detto papa Francesco.