
Una recente antologia invita a riscoprire i teorici della moneta irrisi dalle accademie ma che avevano ricette ancora attuali.Montgomery Butchart, Il denaro di domani. Economisti eretici è una raccolta di scritti degli anni Trenta che viene proposta per testarne l'attualità oggi. Perché gli anni Trenta? Perché è stato in quel decennio che le idee più avanzate di politica economica e monetaria hanno preso il sopravvento sulle idee tradizionali. Infatti, fino alla crisi del 1929, la cura consisteva nell'aspettare che la deflazione facesse il suo corso: dopo il periodo di boom, crollavano vendite e profitti, occupazione e salari; ma crollavano anche i prezzi e, quindi, chi avesse avuto riserve liquide avrebbe potuto fare buoni affari. Così, comperando «a poco», i magazzini si svuotavano, gli immobili venivano acquistati per un tozzo di pane, ma – toccato il fondo – si ricominciava a produrre, ad assumere eccetera. Con la crisi del dopo 1929, ciò non accadde più: la domanda dei ricchi (le cui riserve di liquidità si valorizzavano con la deflazione) non era sufficiente a far riprendere l'economia: solo la forza esterna dello Stato avrebbe potuto cambiare la situazione. Tassi di interesse bassi e offerta di moneta abbondante non erano sufficienti a stimolare nuovi investimenti: era il cosiddetto cavallo che non beve. Solo la spesa autonoma e in disavanzo dello Stato, vale a dire i suoi investimenti diretti avrebbero dato il necessario stimolo. Ciò non era una novità assoluta; ma la vera novità fu la rappresentazione della moneta. Dove avrebbe preso lo Stato tale moneta? Così le teorie maledette sull'argomento surclassarono il legame con l'oro (che saltò, a livello internazionale) [...]. La grande rivoluzione, quindi, è stata quella di introdurre la macroeconomia, ovvero una materia «diversa» dove i profitti derivavano dalla quantità delle vendite e queste ultime dal livello dei salari. Questa consapevolezza sarà sufficiente ad evitare le crisi dopo la seconda guerra mondiale (quando le nuove idee keynesiane trionferanno); ma non poteva trovare applicazione immediata e diretta una volta che, come nel 1929 - a causa dei bassi salari - essa si fosse manifestata. Come si diceva occorreva l'azione autonoma dello Stato con moneta esogena, limitata solo dalla capacità di risposta dell'apparato produttivo ai nuovi stimoli: se non ci fossero state capacità produttive inutilizzate, la moneta non avente una copertura aurea avrebbe creato solo un'inutile inflazione. Ecco perché il primo saggio della raccolta in esame è dedicato ad un precursore, Silvio Gesell che, diversi decenni prima (della stessa crisi del 1929) aveva indicato le vie da seguire: ne è autore lo stesso Gesell, scrivendo, poco prima di morire, con lo pseudonimo di J. Stuart Barr (Vita e teorie di Silvio Gesell). Gesell aveva capito - al pari di Proudhon, ma suggerendo soluzioni più pratiche - che il grande nemico del capitalismo sarebbe stato il pieno, ovvero libero dispiegamento delle forze produttive. Entrambi antimarxisti, non valutarono appieno che l'ultima profezia di Marx riguardava proprio il conflitto tra l'organizzazione sociale e le forze (il pieno dispiegamento delle forze) produttive. Le differenze, profonde, tra Marx e i marxisti hanno reso poco proficua la critica dei proudonisti e dei geselliani e, oggi, se ne pagano le conseguenze a vari livelli.Ma torniamo al testo. Qual è la soluzione per Barr/Gesell allo strapotere del denaro rispetto alle merci? Che queste ultime sono deperibili, quindi soggette al calo di valore, mentre il denaro no: ed ecco la soluzione, rendere la moneta deperibile almeno quanto le merci ed ottenere, così, una parità nella concorrenza tra le due. «Denaro libero», secondo questi autori, sarebbe quello soggetto a svalutazione programmata. Un'idea che ebbe successo nella Germania degli anni Trenta e che fu sperimentata col Simec del prof. Auriti, in Italia, all'inizio dell'attuale millennio. [...] Quando si parla di moneta geselliana, aristotelica, ecc. bisognerebbe distinguere tra la circolazione interna e quella internazionale dove i saldi sono storicamente avvenuti in moneta aurea e, più raramente, in quella argentea. Fu da questo punto di osservazione, per conseguire obiettivi di riequilibrio fra i vari sistemi economici (nazionali), che il Keynes dell'ultimo periodo (gli anni della guerra) si dichiara molto vicino a Gesell. A Bretton Woods (1944), Keynes sostiene la introduzione di una moneta virtuale per dirimere gli squilibri commerciali fra i vari Paesi diversamente dotati come capacità produttive (anche allo scopo di aiutare quelli in maggiore ritardo): ciò avrebbe facilitato la circolazione della moneta geselliana o aristotelica all'interno di ciascuna entità nazionale. La proposta di Keynes non piacque agli americani. [...] Dopo lo sganciamento della moneta internazionale dall'oro (1971) ed un periodo di turbolenze valutarie accompagnato da inflazione, si arrivò alla soluzione finale col G7 di Tokyo del 1979: ciascun Paese sarebbe stato l'unico responsabile della propria bilancia dei pagamenti. Fine della solidarietà internazionale, trionfo del liberismo basato sulla scarsità di moneta per i poveracci ed eccesso di liquidità in circolazione (per usi sempre più speculativi). In altri termini, a soli 50 anni dalla crisi del 1929, il mondo non comunista, scelse di tornare indietro, invece di andare avanti. Ciò riguardò l'economia, la finanza e la moneta stessa. Oggi, gli insegnamenti di Gesell, la sponda keynesiana ed altri – tanti ed autorevoli contributi, molti presenti nella raccolta di Butchart – costituiscono un punto di riferimento per la ripresa di quel faticoso cammino che, iniziato negli anni Trenta, fu abbandonato alla fine dei Settanta – inizio degli Ottanta. Il mondo di oggi non funziona perché occorre recuperare principi e valori della «grande trasformazione» - per dirla con Polany - degli anni Trenta, apprezzarne i grandi successi (economici, sociali, industriali e politici); capirne i limiti (cioè il necessario adattamento ad un sistema di commerci sempre più aperto, una domanda di lavoro non più indifferenziata e una spesa pubblica non sempre capace di assorbire efficacemente la disoccupazione); ma per andare avanti non per tornare indietro.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.