I velivoli come Colibrì, che affianca l’organizzazione di Luca Casarini, in Italia non potrebbero operare. Ma aggirano i divieti sfruttando norme di altri Stati, come Malta, nonostante rischi per la sicurezza e il fattore attrazione per i barconi. Serve un intervento europeo.
I velivoli come Colibrì, che affianca l’organizzazione di Luca Casarini, in Italia non potrebbero operare. Ma aggirano i divieti sfruttando norme di altri Stati, come Malta, nonostante rischi per la sicurezza e il fattore attrazione per i barconi. Serve un intervento europeo.Nel maggio scorso l’Ente nazionale per l’aviazione civile aveva vietato l’approdo e il decollo dagli aeroporti italiani di aeromobili adibiti alle operazioni di ricerca e salvataggio (Sar) eseguite da Ong che volano nel Mediterraneo, scali che sovente erano quelli di Catania, Palermo, Comiso, Trapani Birgi, Lampedusa e Pantelleria. Il provvedimento, simile a quello emesso nel 2019 con il governo Conte, specificava la natura dei voli delle Ong come operati per scopi Sar con piloti e aeromobili civili invece che da quelli appartenenti alle Forze armate e alle organizzazioni istituzionali deputate a farlo. In Italia a doversene occupare è lo Stato e la normativa in materia è complessa, regolata dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) fino al ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, passando per la Convenzione di Amburgo (1979, in vigore dal 1985), quindi aggiornata con la pubblicazione del documento Sar dell’Icao Manuale internazionale di ricerca e soccorso aero marittimo, che l’Italia ha seguito per scrivere il decreto numero 45 del 4 febbraio 2021 che disciplina l’attività attribuendone il coordinamento alla Guardia costiera nazionale. Ma se in fatto di aviazione civile tutta l’Unione europea è regolata dall’agenzia Easa di Colonia (European aviation safety agency), non tutti gli Stati membri hanno la medesima regolamentazione che si è data l’Italia. E se i privati possono eseguire queste operazioni aeree senza un mandato governativo né insegne, è impossibile garantire che non si tratti di procurati naufragi - ovvero di reati - o di una sorta di servizio d’avvistamento concordato per guidare le navi Ong verso gli scafisti. Il divieto dell’Enac riguarda lo spazio aereo nazionale e specifica: «Il soggetto istituzionale titolato ad intervenire e coordinare l’attività Sar, tramite il Rescue coordination center (Rcc) o i Rescue sub centre designati (Rsc), è il comando generale della Guardia costiera, abilitata al compimento di operazioni di ricerca e soccorso con l’impiego di unità proprie o, anche, avvalendosi di unità militari di altri corpi, purché operino nell’alveo delle convenzioni internazionali». È logico chiedersi perché Malta e altre nazioni, seppure siano parte dell’Unione e di Easa, nonché impegnate nelle operazioni Sar, non applichino le stesse regole. Per esempio, alcuni aeromobili usati per questi voli hanno marche di registrazione svizzere, un Paese non Ue ma Easa che non vieta operazioni Sar private, come il caso del bimotore Beech Baron della Humanitarian pilots initiative foundation. La stessa Guardia costiera ha più volte avvisato della presenza non coordinata né segnalata di altri velivoli nelle zone di ricerca, fatto che può far nascere un problema di sicurezza per i mezzi aerei ufficiali e per i loro equipaggi, sia favorire un aumento incontrollato delle operazioni di recupero da parte dei mezzi navali. Sapendo della possibilità di essere avvistati, gli scafisti possono sfruttare l’occasione per incrementare il traffico di esseri umani. Chissà perché l’Europa, sempre tanto preoccupata per la sicurezza, non se ne occupa con una norma comune, anche perché le Ong delle sanzioni amministrative italiane se ne fregano e hanno la convinzione di essere al di sopra delle leggi andando ben oltre il dovere della salvaguardia della vita umana in mare. Infine, c’è la questione delle capacità operative degli aeroplani delle Ong, comunque aeromobili leggeri: si rischia di far decollare altri aeromobili per andare a cercare chi a sua volta cercava i migranti, magari spegnendo gli apparati di bordo che consentono di tracciarne il volo per non far conoscere rotta e posizione, con tutti i rischi connessi qualora nella stessa zona ci fossero velivoli o elicotteri delle Forze dell’ordine, titolate a compiere quelle operazioni.Intanto però gli aerei come Colibrì, che ha affiancato la Mare Jonio della Ong di Luca Casarini nella sua ultima operazione, continua a volare. Già nel 2019, come ricordato, il governo italiano aveva cercato di risolvere la situazione vietando a Moonbird e a Colibrì di decollare da Lampedusa e dagli altri scali del nostro Paese. Nel novembre 2023 l’Enac aveva contestato alla Ong Pilotes volontaires di avere indebitamente operato con il velivolo Colibrì 2 in attività per l’assistenza ai migranti che attraversano il Mediterraneo, ma a inizio luglio il Tar ha dato ragione all’organizzazione no profit. In particolare la Ong, con sede legale in Francia, aveva fatto ricorso contro il provvedimento con il quale nel novembre 2023 l’Enac, sulla base della ricostruzione della Guardia costiera sull’attività compiuta l’11 novembre dello scorso anno, le aveva contestato di avere «indebitamente operato al di fuori delle regole nazionali e sovranazionali, mettendo in pericolo l’incolumità delle persone migranti, peraltro non assistite secondo i protocolli vigenti e approvati dall’Autorità marittima», intimandole «di astenersi dal compimento di ogni ulteriore attività rientranti nell’ambito Sar, non escludendosi - in caso di reiterate elusioni di tali indicazioni - l’adozione di misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile». Per i giudici, però, l’Enac non poteva agire perché «i fatti posti a base del provvedimento si sono svolti al di fuori dello spazio aereo italiano; il velivolo della ricorrente è stato registrato in Austria». Si sarebbe verificato «un caso di carenza del potere prescrittivo in concreto», visto che «l’autorità competente era unicamente quella di bandiera del velivolo, cioè quella austriaca». Quello che serce dunque è un’azione europea, in modo da imporre a tutti di seguire le stesse regole.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.





