
- I generali dem attendono il loro leader al varco delle amministrative, dopo il fallimento del patto con i grillini. E sono pronti a fargli fare la fine di Zinga. Inutili i diversivi dell'ex premier che prova a intestarsi le riaperture e a difendere l'Ue dai servizi della tv di Stato
- La giornalista passa in vantaggio su Eleonora «Tinny» Andreatta nella corsa alla presidenza della Rai
Lo speciale contiene due articoli
«Finalmente si va a riaprire, e non grazie a chi voleva riaprire»: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, Enrico Letta. Il segretario del Pd è già politicamente al capolinea, e basta leggere il tweet di ieri mattina sulle imminenti riaperture per rendersi conto della considerazione che ha dei suoi stessi elettori. «Finalmente si va a riaprire», cinguetta Letta, «e non grazie a chi voleva riaprire troppo presto, sbracando irresponsabilmente. Oggi ci saremmo preparati a richiudere, in quel caso. Si riapre, e irreversibilmente, perché nelle scorse settimane si è stati responsabili. Serietà nostra e del governo». Un indovinello, uno scioglilingua, una barzelletta che non fa ridere se non i follower di Letta, che non si fanno prendere per il… naso così platealmente. «Mamma mia», scrive Paolo, «che comunicazione. Fai scendere il latte alle ginocchia. All'asilo di mia figlia sento discussioni più mature»; «Fosse per voi sarebbe tutto chiuso», incalza Thomas; «Non è che negli ultimi mesi siamo stati tutti su Marte», commenta Miriam; «Fosse per voi e Leu saremmo stati chiusi per tutta l'estate», sottolinea Sergio. Ce ne sarebbero decine, centinaia, di commenti pepati (alcuni irriferibili) a quello che un utente definisce «il tweet dell'anno», con evidente scarsa fiducia nelle potenzialità di Enrico Letta, che ha ancora sei mesi e mezzo di tempo per superarsi. Certo è che il tentativo di intestarsi le imminenti riaperture è quanto meno goffo: chiunque, negli ultimi mesi, abbia letto almeno una volta un giornale, ascoltato un tg, aperto un social network, sa perfettamente che se fosse stato per Pd e Leu gli italiani sarebbero ancora reclusi nelle loro case e senza alcuna speranza di tornare a vivere, lavorare, produrre. Non potendo dire la verità, ovvero che è stata la Lega di Matteo Salvini a spingere il governo ad accelerare sulle riaperture, Letta si dedica all'enigmistica, scrive tweet da avanspettacolo e si becca le sacrosante rampogne degli utenti dei social.
Ma non è tutto: nel corso del suo intervento alla direzione nazionale del Pd di ieri, Letta ci delizia con un'altra chicca: «È assolutamente inaccettabile», sentenzia, «quello che è successo alla Rai, con quel programma andato in onda su Rai 2 (Anni 20, ndr), nel quale si è fatta una propaganda anti europea becera, insopportabile e totalmente contraria al servizio pubblico. Ora mi chiedo: cos'altro deve succedere in Rai? Noi siamo per un cambiamento radicale», aggiunge il nipote di zio Gianni, «forte, importante. Vogliamo una discontinuità profonda, lo voglio dire al premier, che nelle prossime settimane farò delle proposte sul futuro della guida dell'azienda di servizio pubblico». «Discontinuità profonda»: tradotto dal lettiano, significa più poltrone alla sinistra, e in particolare al Pd. Come al solito, la sete di occupazione di incarichi del servizio pubblico radiotelevisivo da parte dei dem è implacabile, e Letta stavolta la nasconde dietro una difesa dell'Europa che non ha alcun senso, considerato che il programma scandalo evocato dal leader del Pd si è limitato a trasmettere un servizio che mette in luce le assurde imposizioni della Commissione europea riguardo agli alimenti. Nostalgia dei bei tempi di Telekabul, quando la Rai era sostanzialmente al servizio della sinistra? Probabile, possibile, quasi certo. Peccato però (per Letta) che quando i sedicenti progressisti facevano il bello e il cattivo tempo in Rai, ghettizzando qualunque giornalista, autore o professionista che non fosse fedele alla linea, almeno la loro coalizione, che si chiamasse Unione o Ulivo, alle elezioni otteneva quasi la metà dei consensi degli italiani. Oggi come oggi, il Pd ne rappresenta meno di un quinto: sarebbe il caso che Enrico Letta se ne rendesse conto.
In estrema sintesi, Letta è già sostanzialmente bollito: i capicorrente del Pd, che hanno graticolato a dovere Nicola Zingaretti, lo sanno bene e preparano il trappolone anche al segretario a scadenza autunno 2021. Tra il 15 settembre e il 15 ottobre, infatti, si svolgeranno le elezioni amministrative: tra le tante città chiamate al voto ci sono Milano, Roma, Napoli, Torino. Ebbene, la gioiosa macchina da guerra che Letta e il suo gemello diverso, Giuseppe Conte, avevano annunciato per contrastare il centrodestra alla fine non si è messa in moto. L'alleanza dei sogni (o degli incubi), come tutti sanno, non è decollata: clamoroso il caso di Roma, dove è bastata qualche dichiarazione dei pentastellati per far naufragare il progetto di candidare Nicola Zingaretti. E arriva la retromarcia: «L'identità», dice Letta, «è il cuore della questione. Con una identità debole, qualunque alleanza ci fagociterà. La questione del M5s è intimamente collegata a questo». Avete letto bene: il segretario del Pd ha paura di essere fagocitato dal M5s, ovvero dall'unico partito più in crisi del suo. Siamo di fronte a una resa anticipata, a una sorta di ritirata tutt'altro che strategica.
Enrico Letta sa benissimo che un minuto dopo la probabile disfatta alle amministrative dall'interno del suo partito gli chiederanno di togliere il disturbo: in agguato c'è su tutti Base riformista, la corrente dei nostalgici di Matteo Renzi, guidata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e da Luca Lotti. Il duo non ha dimenticato il modo brutale con il quale, con la scusa della parità di genere, Letta ha defenestrato i due ex capigruppo alla Camera e al Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, e aspetta il segretario al varco. Il dopo Letta, nel Pd, è già iniziato.






