2021-05-14
«Le cliniche si fregano le mani ma pazienti e Stato ci rimettono»
Il presidente del Comitato Macula: «Le direzioni sanitarie si oppongono ai medicinali adatti alla malattia perché aumentano i costi». Da una fiala di Avastin si ricavano 22 dosi, il rischio di infezioni è però elevato.«Gli oculisti delle cliniche private vogliono Avastin perché costa meno e consente un maggiore profitto, in quanto da una fiala ricavi anche 22 dosi e il farmaco non è efficace, quindi devi iniettarlo ogni mese. Nonostante questo, almeno 600.000 persone su 1,8 milioni di pazienti con degenerazione della macula, si rivolgono alle cliniche per non perdere la vista in attesa di un'iniezione in ospedale». Massimo Ligustro, presidente del Comitato Macula, vede da un occhio solo. Lavorava come dirigente in una multinazionale e a 49 anni cominciò ad avere problemi di vista. Era il novembre del 2013, si rivolse a una clinica privata di Genova per non perdere tempo. «Terrorizzato come un bambino di due anni perché non distinguevo più il mio cane che è nero, accettai di pagare 1.500 euro a ogni somministrazione di Avastin», racconta. «Mi dicevano di stare tranquillo, ogni volta ero il primo a ricevere l'iniezione intravitreale, poi dalla fiala aperta ricavavano altre dosi. Il rischio di infezione, nel manipolarle e ridurle, sarebbe stato solo per gli altri». Ogni mese Ligustro doveva andare in clinica, finisce per spendere più di 17.000 euro in tre anni ma non migliora. «Come me, tantissime persone sono costrette a scegliere la strada della clinica privata perché perdere la vista non è un problema secondario e, dal momento che ci impongono di farle in sala operatoria, non in ambulatori protetti, le liste d'attesa sono lunghissime», sostiene Ligustro. Aggiunge: «A parte i costi, il problema è che non puoi aprire un prodotto, frazionarlo e poi metterlo in un occhio. Le infezioni dovute a contaminazioni non si contano e siccome sei cronico, ma non te lo dicono, devi continuare a farti fare punturine». Conclude: «Le direzioni sanitarie sono cattive con i medici che prescrivono i farmaci adatti alla maculopatia, perché aumentano i costi. Con la nota 98 dell'Aifa la pressione è diventata ancora più forte. Però con Avastin i pazienti non ricevono i giusti trattamenti e nemmeno ci guadagna il Ssn, dal momento che il farmaco è meno efficace, dura meno e si devono fare più iniezioni che con Lucentis, registrato apposto per gli occhi. Il rimborso, sempre di 290 euro, si moltiplica all'infinito». Massimo Ligustro (iStock) «A nessuno è mai venuto in mente di usare ranibizumab-Lucentis come farmaco antitumorale al posto di bevacizumab - Avastin, cosa che sarebbe perfettamente logico attendersi se fossero davvero tanto simili da essere sostituibili», osserva Luca Pani, specialista in psichiatria, esperto di farmacologia e biologia molecolare, nel suo libro Lo strano caso Avastin- Lucentis. Già direttore generale dell'Aifa, attualmente vive e insegna all'Università di Miami, in Florida. Cita anche il parere espresso il 14 marzo 2014 dalla direzione generale per la salute e la protezione dei consumatori della Commissione europea, secondo la quale «la strategia più responsabile» di un'agenzia regolatoria del farmaco, «in presenza di avvertenze relative alla sicurezza» di un medicinale off label «è quella di proteggere la salute pubblica a prescindere dal costo del farmaco». Già a luglio 2013 la Sif, Società italiana di farmacologia, aveva segnalato come i due medicinali non fossero identici né da un punto di vista farmacologico né da quello strutturale: sono due molecole differenti. «Molto diverse», precisò in un affidavit reso al Tar del Lazio Napoleone Ferrara, professore di patologia e oftalmogia all'università di San Diego, nonché «padre» di Avastin. Aggiunse che il medicinale «in nessun Paese è mai stato registrato come farmaco per il trattamento della maculopatia senile degenerativa e per l'utilizzo intravitreale». Inoltre, essendo un farmaco autorizzato solo per tumori, soprattutto del colon, quando viene usato negli occhi molti eventi avversi non solo a livello visivo non vengono segnalati dalla farmacovigilanza.Nell'aprile del 2013 l'Oms accolse la richiesta di inserire il principio attivo bevacizumab (Avastin) tra i farmaci essenziali, nella sezione preparati oftalmici. Da utilizzarsi «solo in caso di fallimento terapeutico dei medicinali autorizzati» e con precise precauzioni. L'inserimento era in contrasto con le posizioni dell'Ema e avvenne in base alla valutazione di tre esperti. Due, il dottor Gitanjali Batmanabane e il dottor Abdol Majid Cheraghali diedero parere negativo all'inclusione perché «il prodotto non è concesso in licenza per uso intravitreale […] le autorità di regolamentazione rigorose, compresa la Fda, non hanno ancora approvato la sua domanda per il trattamento delle malattie della retina […] perché deve essere suddiviso in flaconcini e qualità e standard possono variare […] e il costo molto basso da solo non può essere determinate per l'inclusione». Il terzo esperto, Nicola Magrini, fu l'unico a dire che «sarebbe molto importante avere bevacizumab nell'elenco dei farmaci essenziali». Due contro uno, però il parere di Magrini passò e il principio attivo riuscì ad entrare nell'elenco Oms. Il caso Ranieri Guerra docet. Nella seconda revisione dei farmaci essenziali del 2015, l'Organizzazione mondiale della sanità suggerisce a Magrini di ritirarsi dalla valutazione perché era stato chiamato a testimoniare «in un procedimento contro Roche e Novartis per attività anticoncorrenziali nei confronti del ranibizumab in esame […] pur essendo stato accertato che non aveva alcun conflitto di interesse diretto rispetto alla valutazione». Arrivato all'Aifa, Magrini è tornato a occuparsi di Avastin.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».