
Tante organizzazioni (Unicef, Save the children, Amnesty International, Oxfam, eccetera), dopo aver ignorato per anni la vicenda, manifestano e raccolgono fondi. Ma forse altri sono gli obiettivi.di questa donna pakistana, madre di cinque figli, in carcere da nove anni perché accusata di blasfemia, è cominciata da quasi un decennio. Due anni fa ho così scritto nel mio libro Fuori dal coro (Flaccovio editore): «Asia Bibi, una donna cristiana di 45 anni, di un villaggio del Punjab, condannata alla pena capitale per avere pronunciato, nel corso di una lite con delle compagne di lavoro, alcune frasi ingiuriose nei confronti del profeta Maometto. Del suo caso si era interessato Shahbas Bhatti, ministro per le minoranze religiose; aveva sostenuto la liberazione di Asia e l'abolizione della iniqua legge sulla blasfemia. Ma il cristiano Bhatti, com'è noto, è stato assassinato».Ho promosso con Zapping (il programma di Radio 1 che conducevo), in assoluta solitudine, una campagna per sostenere Asia, che da un giorno all'altro poteva essere consegnata ai boia. Abbiamo raccolto in pochi mesi oltre 200.000 firme che sono state trasmesse al presidente del Pakistan. L'eco è stata grande. Anche i giornali hanno cominciato a parlarne , grazie alla sistematica campagna radiofonica, con spot di personaggi dello spettacolo, dello sport, della cultura (compresi numerosi direttori di quotidiani). Con questa iniziativa, che la stessa Rai non amava molto, siamo riusciti a salvare la vita di Asia: la pena è stata sospesa ed è stato deciso un nuovo processo, che si è concluso dopo sette anni, cioè nei giorni scorsi, con la piena assoluzione. Asia è salva, sottratta in modo definitivo all'impiccagione, grazie alla mobilitazione di una trasmissione radiofonica, che è riuscita a sensibilizzare l'opinione pubblica.Le grandi organizzazioni di tutela dei diritti umani (Unicef, Save the children, Amnesty International, Oxfam, eccetera) sono rimaste in silenzio (o quasi), mentre nuove sigle che fingono di ignorare chi effettivamente si è occupato di Asia nel silenzio generale, anche della Chiesa e delle associazioni cattoliche, rivendicano ora il merito di aver salvato la vita della donna pakistana. E , purtroppo, c'è anche di peggio: qualcuna di queste associazioni continua ad agitarsi, promuovendo manifestazioni di piazza, raccolte di firme e altro. C'è da sospettare che l'interesse sia altro, a giudicare dalla pressante campagna di raccolta fondi, col pretesto che «ancora si deve lottare per salvare la vita di Asia, facendola arrivare in Italia, insieme alla sua famiglia, anch'essa in grave pericolo».Quello che appare certo è che Asia si trova ora in una località segreta e sicura, sorvegliata dalla polizia per prevenire attentati da parte dei fanatici fondamentalisti islamici; nel frattempo si sta organizzando un trasferimento in Europa, quasi sicuramente nel nostro Paese. Se n'è interessato il governo italiano e, in particolare, il ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha preso a cuore il caso. Nei prossimi giorni, appena la Corte suprema pakistana darà «il via libera», il viaggio di Asia e della sua famiglia avrà luogo, nel segreto più assoluto, per ovvie ragioni di sicurezza.Nel frattempo però continua, come si è detto , la «campagna» di un'associazione per raccogliere fondi, con un articolato tariffario. Mi ricorda un'altra campagna umanitaria, condotta sempre da me con Zapping: quella per salvare la vita di Safiya, una donna nigeriana musulmana, condannata alla lapidazione per un presunto adulterio (la donna era divorziata, ma la sharia impone la fedeltà per sette anni successivi alla separazione). Riuscimmo a raccogliere e inviare al presidente della Nigeria oltre mezzo milione di firme (cinque milioni, collegandoci con una serie di siti in diversi Paesi) e a organizzare numerose manifestazioni davanti all'ambasciata nigeriana. Safiya venne assolta. Ma anche allora, due mesi dopo l'assoluzione, vi è stata un'organizzazione «umanitaria» (spagnola) che raccoglieva fondi in tutto il mondo per «salvare la vita di Safiya».Ma le interferenze e le strumentalizzazioni , anche politiche, non mancarono. Ad esempio, il sindaco di Roma di quel tempo, Walter Veltroni (l'uomo che aveva promesso che sarebbe andato in Africa), decise di dare la cittadinanza onoraria a Safyia, organizzando un costoso viaggio per farla arrivare in Campidoglio. Ho incontrato la donna africana, con la sua bambina, alla Sala rossa capitolina. Era molto confusa. Le ho chiesto se fosse contenta della cittadinanza onoraria. Mi rispose che non sapeva che cosa fosse quella «cosa», ma che aveva apprezzato solo «i nuovi denti che il dentista del sindaco le aveva donato». Era una nuova dentiera che portava orgogliosamente, aprendo la bocca per farla vedere a tutti . Anche Asia non ha bisogno di una cittadinanza: vuole solo vivere in pace, da cristiana, col marito e i suoi cinque figli. E speriamo che anche chi si propone di speculare su questa storia amara se ne renda conto.
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